Violenza sulle donne e dati Istat: “Criticità confermate. Meno di un euro al giorno per le donne vittime di violenza”

In vista della giornata contro la violenza sulle donne, in programma il 25 novembre, pubblichiamo i dati dell’indagine condotta dall’Istat, in collaborazione con il Dipartimento per le Pari Opportunità, il CNR e le Regioni, sui 281 Centri antiviolenza (CAV) che svolgono attività a sostegno delle donne maltrattate e dei loro figli.

In breve, l’analisi racconta che, nel 2017, si sono rivolte ai Centri antiviolenza 43.467 donne; il 67,2% ha iniziato un percorso di uscita dalla violenza. Tra le donne che hanno iniziato tale percorso, il 63,7% ha figli, minorenni nel 72,8% dei casi. Le donne straniere costituiscono il 27% di quelle prese in carico.

Come entrare a contatto con un centro antiviolenza donne

Le modalità per entrare in contatto con i Cav sono di vario tipo: il 95,3% dei Centri mette a disposizione il numero telefonico 1522, che accoglie le richieste di aiuto e sostegno delle vittime di violenza e stalking, il 97,6% dei Centri garantisce una reperibilità h24. In alternativa si può andare presso i singoli Centri, aperti mediamente 5 giorni a settimana per circa 7 ore al giorno.

L’89,7% dei Centri è aperto 5 o più giorni a settimana. I servizi offerti sono molteplici, dall’accoglienza (99,6%) al supporto psicologico (94,9%), dal supporto legale (96,8%) all’accompagnamento nel percorso verso l’autonomia abitativa (58,1%) e lavorativa (79,1%) e in generale verso l’autonomia (82,6%).

Meno diffusi, il servizio di sostegno alla genitorialità (62,5%), quello di supporto ai figli minori (49,8%) e quello di mediazione linguistica (48,6%). L’82,2% dei Centri effettua la valutazione del rischio di recidiva della violenza sulla donna. Per gestire le situazioni di emergenza l’85,8% dei Centri antiviolenza è collegato con una casa rifugio.

I Centri antiviolenza hanno profili organizzativi diversi sul territorio. Per erogare i servizi, il 68,5% lavora in collaborazione con le reti territoriali antiviolenza. Laddove la rete non esiste, i Centri hanno comunque siglato protocolli bilaterali con i soggetti che si occupano di violenza contro le donne (75,9% dei casi dove non esiste una rete). Qui il report completo.

La rete D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza) commenta i dati Istat sui centri antiviolenza (CAV)

“Il quadro che emerge dalla rilevazione sui centri antiviolenza pubblicata oggi da ISTAT e relativa al 2017 conferma le criticità che la rete D.i.Re da sempre e continuamente mette in evidenza”, commenta Lella Palladino, presidente di D.i.Re, Donne in rete contro la violenza, la più grande organizzazione nazionale che si occupa di violenza contro le donne: “I centri antiviolenza sono troppo pochi, con interi territori scoperti, personale solo parzialmente retribuito, risorse assolutamente al di sotto del bisogno”.

“Nel 2017 i fondi pubblici per i centri antiviolenza sono stati 12 milioni di euro, che – se divisi per il numero delle donne accolte secondo l’ISTAT – fa meno di 1 euro al giorno, 76 centesimi per la precisione”, rileva Mariangela Zanni, consigliera D.i.Re ed esponente del Centro veneto progetti donna. “Una cifra ridicola, che spiega il dato ISTAT del massiccio ricorso al volontariato da parte dei centri antiviolenza, nonostante essi siano un tassello imprescindibile del Piano nazionale antiviolenza”.

Da un’analisi comparata tra i dati ISTAT pubblicati oggi e i dati raccolti nei centri antiviolenza della rete D.i.Re “emerge che delle 43.167 donne che nel 2017 si sono rivolte a uno dei 281 centri antiviolenza censiti da ISTAT, quasi la metà, vale a dire 20.137, si sono rivolte a uno dei centri antiviolenza della rete  D.i.Re”, sottolinea Palladino.

“Un indicatore importante a conferma della metodologia dei centri antiviolenza D.i.Re, orientata da un’ottica di genere e incentrata sulla relazione tra donne, che garantisce segretezza e anonimato, un ascolto empatico e non giudicante e l’autodeterminazione delle scelte. Elementi indispensabili per chi si accinge ad affrontare un percorso complesso come quello necessario per ritrovare la propria autonomia”, fa notare Palladino. “Da qui bisognerebbe partire per strutturare una risposta nazionale come chiede la Convenzione di Istanbul”, conclude la presidente.

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