Vector, la numero uno in Italia per l’inclusione Lgbt: «Ascoltare, fare e costruire insieme»

Per cambiare il mondo si deve partire da se stessi… o magari dalla propria azienda. Lo sa bene la Vector, industria di trasporti internazionali dal 1978, che da 5 anni mette in pratica l’inclusione LGBT. Nel concreto, non dà per scontato che tutti i suoi dipendenti siano eterosessuali ma mette sullo stesso piano (e garantisce gli stessi diritti) anche a lesbiche, gay, bisessuali e transgender.

Così, dopo l’adesione a Parks – Liberi e Uguali nel 2015, per due anni (2016 e 2018) ha vinto il premio LGBT Diversity Index per le piccole e medie imprese. Parks, infatti, è un’associazione “creata per aiutare le aziende socie a comprendere e realizzare al massimo le potenzialità di business legate allo sviluppo di strategie e buone pratiche rispettose della diversità”.

Tanto ha fatto Camilla Buttà, pricing manager e diversity inclusion manager di Vector. «L’inclusione è il futuro ed è vincente – commenta – Se crei un ambiente di lavoro il più possibile aperto e accogliente fidelizzi le persone che lavorano per te, si sentono bene e si sentono parte del progetto, sono i primi sponsor dell’azienda. Dal punto di vista imprenditoriale è un investimento ma, prima di tutto, è giusto e corretto».

La tematica dell’inclusione in Vector non si ferma alla comunità Lgtb. I 130 dipendenti dell’azienda di Castellanza (Varese) sono chiamati a riflettere anche attorno a disabilità, differenze di genere, differenze culturali e immigrazione tramite incontri e laboratori.

E il tutto ha sempre risvolti positivi. Pensiamo solo all’ultimo coming out: “Un nostro dipendente – racconta Camilla – ci ha rivelato di aver trovato la forza di parlare della propria omosessualità in famiglia dopo aver visto l’esperienza serena delle altre persone qui in azienda”.

Una realtà virtuosa e di confine, insomma, che abbiamo deciso di conoscere e intervistare…

Come vi siete approcciati alla tematica dell’inclusione Lgbt in azienda?

«Ci stiamo lavorando da 5 anni. L’azienda da sempre valorizza le diversità in quanto plusvalore. Questo si è rispecchiato, ad esempio, nelle scelte di impiego al momento dei colloqui.

Abbiamo da sempre tantissime donne e siamo una delle poche aziende che a livello di manager ha tutte donne (a parte la proprietà): la responsabile del reparto aereo è una donna, così come la responsabile del reparto commerciale e quella del reparto mare.

Inoltre abbiamo assunto da sempre persone di diversa origine in ruoli chiave aziendali. Per esempio, la trade manager del mercato coreano è una donna coreana: conosce la cultura, il paese, la lingua e ha sviluppato il mercato. Lo stesso abbiamo fatto con una ragazza iraniana.

In azienda parliamo circa 20 lingue e questo, per noi, è un valore aggiunto. Ci permette di avere un rapporto di dialogo con tutti i nostri corrispondenti e clienti in giro per il mondo.

5 anni fa, inoltre, sapendo che in azienda erano presenti membri della comunità Lgbt ma tanti di loro vivevano ancora o nel segreto o con poche persone fidate, abbiamo deciso di iniziare un percorso di politiche inclusive riguardanti anche questa tematica.

Abbiamo conosciuto Parks e abbiamo avviato un percorso strutturato rispetto a quelle che, fino a quel momento, erano state “buone pratiche” aziendali. Abbiamo creato il Diversity Team, ad adesione volontaria. Ora siamo in 15, tra manager e nuovi assunti. Ci incontriamo una volta ogni due o tre mesi per realizzare riflessioni alla luce di questioni emerse in azienda tramite questionari anonimi. Chiediamo annualmente, ai nostri dipendenti, quali sono le tematiche verso le quali sentono il bisogno di trattare.

Anche il vecchio regolamento aziendale è stato modificato rendendolo più flessibile e inclusivo. Abbiamo inserito la flessibilità di orario in entrata e uscita: si può entrare tra le 8 e le 9:30 e uscire dalle 17:30 in poi, sempre coordinandosi con gli altri colleghi.

La novità ha riguardato anche il congedo matrimoniale per le coppie Lgbt ovvero per le coppie omosessuali sposate all’estero prima della Legge Cirinnà. Inoltre abbiamo concesso il congedo per genitorialità anche ai genitori non biologici. Ad esempio, in azienda abbiamo Giada che ha avuto una bambina con la sua compagna. La piccola è la figlia biologica della sua compagna e Giada ha avuto la possibilità di avere 5 giorni di congedo dal giorno del parto, così come riconosciuto dalla Legge per le coppie eterosessuali. Inoltre riconosciamo ogni tipo di richiesta come per le visite mediche anche se, di fronte alla legge, questo non è ancora possibile».

Insomma, la legge italiana non riconosce i genitori omosessuali, Vector sì…

«Esatto. Penso che le aziende possano anticipare la legge, arrivare dove lo Stato non arriva e fare pressione. Qual è il grosso problema della Divesity Inclusion? Ha un costo (comunque limitato) per l’azienda. Molto spesso queste tematiche sono appannaggio solo delle multinazionali o delle grandi aziende che hanno tantissimi dipendenti.

Le aziende medio/piccole non si mettono neppure nell’ottica di iniziare tutto questo percorso. Invece potrebbero rappresentare un gruppo di forza sul Governo affinché arrivi a garantire parità di diritti a tutti. Purtroppo stiamo andando invece “in direzione ostinata e contraria”».

Inoltre i dipendenti della vostra azienda hanno visto con i loro occhi cosa significa famiglia omogenitoriale…

«Esatto. Quella di Giada è stata una bellissima testimonianza. Quando abbiamo iniziato a parlare di omosessualità molti avevano lo stesso parere: “Niente in contrario verso le coppie omosessuali ma non sono d’accordo per l’adozione perché, secondo me, un bambino deve avere una mamma e un papà”. Bene, vedendo la quotidianità di Giada, della sua compagna e della loro bambina, tutti hanno cambiato parere. È una bambina felicissima, partecipa agli eventi che facciamo e ha cambiato la mentalità di tutti: non c’è stato bisogno di spiegare, hanno visto con i loro occhi che è possibile e che non serve essere un maschio e una femmina per essere buoni genitori.

Di fatto, abbiamo realizzato anche un incontro con Agedo, l’associazione di famiglie omogenitoriali, parlando dell’omosessualità al di là del pregiudizio. Sono intervenuti per l’occasione un ragazzo omosessuale, una famiglia omogenitoriale e una psicologa. Così abbiamo avuto il punto di vista scientifico e le testimonianze».

Vector è attenta anche alla transessualità?

«Sì, sempre per quanto riguarda il regolamento, dal primo gennaio abbiamo incluso la transessualità. Pensiamo alle persone che iniziano il percorso di transizione dopo essere state assunte in azienda: sarà definito il momento del cambio del nome, del cambio abbigliamento, dell’utilizzo dei bagni e così via.

Il nostro ultimo laboratorio è stato proprio sul tema della transessualità. Lo abbiamo realizzato il 23 ottobre affittando una sala. Eravamo in 100 tra dipendenti, parenti e amici. Sono intervenuti un avvocato, un esponente di Parks, una psicologa e due genitori con figli che hanno effettuato la transizione di genere (una mtf e un ftm). È stato bello sentire la testimonianza della famiglia, ci hanno fatto capire che rinasci genitore, riscopri la relazione con tuo figlio e ti scontri con tutti. Sono state testimonianze molto forti».

Vector inclusione genitori figli transessuali

Di cosa si occupa il Diversity Team?

«Il compito del Diversity Team, quindi, è di spiegare ai dipendenti come e perché vengono fatti questi cambiamenti. Lo facciamo con una serie di workshop ad adesione volontaria. Tutti tranne uno, quello sui pregiudizi inconsapevoli. In quel caso la partecipazione è obbligatoria: l’idea è che tutti abbiamo dei pregiudizi, spesso sono semplicemente inconsapevoli e determinati solo dalla mancanza di conoscenza. Questi pregiudizi non ti permettono di vedere la realtà così com’è, come dovresti vederla, nella libertà e accoglienza totale dell’altro.

Questo laboratorio lo riproponiamo ogni anno. Inoltre realizziamo anche una serie di iniziative, alcune in orario di lavoro, altre no, sempre ad adesione volontaria. Ora stiamo aprendo questi incontri anche a parenti ed amici, prima erano riservati solo ai dipendenti».

Altre tematiche oltre al mondo Lgbt?

«Abbiamo organizzato un aperitivo in sedia a rotelle. Luca, un nostro dipendente, è sulla sedia a rotelle a seguito di un incidente. Così abbiamo affittato 20 sedie a rotelle, ci siamo ritrovati in un parcheggio e siamo andati in un locale a fare un aperitivo. Quindi abbiamo aperto una riflessione su cosa significhi essere una persona con disabilità e affacciarsi al mondo del lavoro. Spesso, se un datore di lavoro deve scegliere tra una persona in sedia a rotelle e una persona normodotata, sceglie la seconda. Questo è sicuramente discriminante e rischi di perdere una persona che ha valore.

Inoltre, tra i nostri incontri si è parlato anche di multiculturalità attraverso un laboratorio di cucina: abbiamo realizzato una cena con piatti di differenti culture.

Vector inclusione cena multiculturale

Ci siamo anche iscritti al Progetto Libellula, il primo network di aziende contro la violenza di genere. Dopo un questionario anonimo interno legato a questo tema, ne è uscito un quadro disarmante. Così abbiamo realizzato due incontri. Ad esempio, ragionando per pregiudizi, ora gli uomini si sentono inferiori alle donne che guadagnano più di loro. O ancora, sempre attorno a questa tematica, si pensa che la violenza sia legata alla gelosia. No, non sei violento se mi ami.

Così in azienda abbiamo voluto realizzare un ambiente protetto nel quale ci si può confrontare. Ad esempio, abbiamo molte donne manager che guadagnano di più rispetto ai mariti, questo non deve certo portare uno squilibrio in famiglia.

C’è tantissimo da fare. Con 3 colleghe ho partecipato ad un workshop sul coraggio femminile, “cuor di leonesse” e mi piacerebbe riproporlo. Quindi riflettere attorno all’essere mamma, donna, lavoratrice».

Vector inclusione Progetto Libellula

Come hanno reagito i dipendenti, 5 anni fa, quando avete iniziato a portare in azienda la tematica della diversità Lgbt?

«Abbiamo avuto tante reazioni diverse. C’è stato chi ha preso con entusiasmo il progetto e si è lanciato e chi all’inizio ha avuto paura e remore, soprattutto le persone che lavoravano qui da più tempo. “Perché dobbiamo parlarne se non abbiamo mai avuto problemi?”, “perché dobbiamo portare il privato in azienda?” dicevano. Proprio per questo abbiamo deciso di rendere obbligatorio il laboratorio sui pregiudizi inconsapevoli. È vero che non ci sono problemi ma a volte c’è ignoranza. Non nella sua accezione negativa ma intesa come non conoscenza e la non conoscenza può portare il pregiudizio. Questo pregiudizio può andare a inficiare, complicare o mettere l’altro in una situazione di disagio. Per noi invece l’azienda deve essere un luogo dove si può fare cultura.

Se un domani un nostro collaboratore dovesse mai sposarsi, avere un figlio, e il figlio, crescendo, dovesse dirgli di essere omosessuale, sono certa che questa persona avrà in mano degli strumenti in più per relazionarsi con suo figlio.

Certo, non obblighiamo nessuno a cambiare idea. Resta il fatto che qui, in azienda, certi atteggiamenti non vengono tollerati. Abbiamo notato comunque il cambiamento in azienda: se certe battute venivano fatte, ora non le senti più.

Insomma, anche grazie a Parks e il confronto con le grandi aziende, abbiamo dato una struttura e riempito di contenuti le nostre buone pratiche. Il grosso cambiamento è stato proprio strutturale: non devo dire le battute omofobiche perché non posso da regolamento ma perché non mi appartengono più, non mi fanno più ridere e trovo che siano stupide».

Prossimi progetti legati all’inclusività?

«Per il prossimo anno stiamo pensando ad un incontro sui migranti, raccontando storie di chi, quel viaggio, lo ha fatto sul serio. Abbiamo tantissimi ragazzi migranti, soprattutto in magazzino e tra gli autisti: anche loro hanno storie da raccontare. Il concetto per noi è sempre quello: dietro ogni persona c’è un mondo e una storia da raccontare.

Certo, tutto questo va realizzato compatibilmente con il nostro lavoro, è molto stressante e ha tempi molto stretti ma vendiamo un servizio e i servizi li fanno le persone».

Il percorso attorno alla tematica dell’inclusione è partito dalla seconda generazione di Vector. Come ha reagito la prima generazione?

«Benissimo, mio papà era entusiasta. È molto importante avere imprenditori che ci credono. Deve essere un’attitudine del management.

Pensa che, un mese fa, abbiamo aderito alle linee guida dell’Onu sempre riguardo le politiche inclusive Lgbt: siamo l’azienda numero 200 a livello mondiale. Siamo stati la prima piccola media impresa ad entrarci.

Il concetto è sempre quello: ascoltare, fare e costruire insieme. Certo, tutti non li renderemo mai felici, ma andremo avanti sempre in questa direzione».

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