Già a partire da agosto 2019 si conosceva la data d’uscita di The L Word: Generation Q, 8 dicembre. Da allora stiamo attendendo questa serie per diversi motivi. La genesi di quella che per molt* è stata una bibbia nascosta e privata – quasi l’iniziazione a una religione – è quasi più rilevante della trama.
The L Word è stato più di un semplice show, era una serie di nicchia che accomunava un pubblico abbastanza omogeneo, un codice che aiutava a riconoscersi tra simili, una rappresentazione, per quanto falsata, di una realtà immaginaria sulla quale poter fantasticare. Per chi l’ha vista, The L Word diceva molto più del suo pubblico di quanto non facessero le altre serie.
Quando nel 2009 terminò, suscitò sentimenti contrastanti di disappunto e delusione per l’assurdità degli episodi finali, ma anche tristezza per il vuoto che avrebbe lasciato nel panorama della cinematografia a tematica LGTBQI.
Sebbene rimproverata per la rappresentazione maldestra di transgender e personaggi bisessuali, niente più di questa serie tv ha caratterizzato la L di una parola che ancora oggi nasconde molte realtà e ancora oggi rimane tabù. Appunto The L Word. L’aggiunta della “generazione Q” non è casuale, ma rappresentativa di una vera e propria rivoluzione, anche sociale.
La domanda è: serviva il revival di The L Word?
Sebbene oggi i tempi siano cambiati e nel panorama LGTBQI ci sia una concorrenza degna in quanto a rappresentazione e storia delle proprie radici, come lo fa egregiamente Pose, la risposta è sì. The L word serviva, ci serviva sapere che Bette, Alice e Shane sarebbero tornate e ci serviva il loro esempio di donne ambiziose, di successo, donne forti per le quali la sessualità non è un elemento decorativo di sfondo in una vita, ma l’elemento che ancora dopo anni le accomuna in una lotta continua. Non lotta identitaria quanto più interrogazione e messa in discussione di ciò che significa essere donne, lesbiche, madri, compagne, in una società che non riesce a essere Queer quanto si augura.
Nel primo episodio ritroviamo le tre protagoniste Bette, Shane e Alice sempre interpretate rispettivamente da Jennifer Beals, Katherine Moennig e Leisha Hailey. La prima si candida alle elezioni per diventare il nuovo sindaco di Los Angeles, la seconda, dopo esser diventata una parrucchiera di successo e aver vissuto a Parigi e New York torna in città e Alice è diventata nel frattempo conduttrice di un famoso Talk-Show nel quale è impossibile evitare di vedere un omaggio a Ellen de Generes.
Attorno a queste tre donne di successo si articolano le vite delle loro dipendenti, collaboratrici e forse nuove amiche Sophie (Rosanny Zayas) e Dani (Arienne Mandi), il loro coinquilino transgender Micah (Leo Sheng) e l’esuberante Finley (Jaqueline Toboni). Le diverse etnie miste palesi sin dal primo episodio e la rivendicazione da parte di Bette che si definisce “biracial”, lasciano chiaramente intendere quanto l’intersezionalità sia parte integrante della scrittura dello show.
Le tematiche del primo episodio di The L Word: Generation Q
Sempre nell’episodio pilota emergono chiaramente le numerose tematiche che verranno affrontate nei prossimi episodi: rapporto tra genitori e figli, adolescenza, sessualità, equilibrio tra vita lavorativa e intima, tecnologia (Bette vuole che la figlia sappia della sua défaillance da lei, non da “fucking Twitter”) ed è forse questa l’unica pecca e allo stesso tempo il punto che riesce a stregare di questa serie, ossia la sua ambizione di affrontare così tante tematiche e talvolta arrivare al parossismo. Sperando che si tenga su questo registro e questa volta nel finale di stagione non debba esserci un’inchiesta per cercare di capire chi ha ucciso Jenny, la generazione Q promette bene.
Il primo episodio della serie originale che risale al lontano 2004 si apriva con questa scena: due donne sposate che vanno in una clinica per concepire, quella che in seguito si rivelerà esser loro figlia. Se a distanza di 15 anni questa immagine è ancora rivoluzionaria ciò accade perché sì, c’è ancora bisogno di The L Word. La Q annessa è il giusto tributo a una comunità che vuole includere tutt* ma che deve preservare la propria diversità.
In Italia, nel 2019 c’è ancora chi crede che le parole “ideologia gender” significhino davvero qualcosa. Negli Stati Uniti quanto meno The L Word ci prova a contrastare quel vuoto, con una soap per persone nostalgiche che hanno bisogno di evadere, certo, ma che continueranno a ringraziare l’unico modo di vedere la vita di donne che ne amano altre.
The L Word in breve
The L Word: serie composta da 6 stagioni (70 episodi) andati in onda dal 2004 al 2009 sul network via cavo americano Showtime, creata da Ilene Chaiken, Kathy Greenberg e Michele Abbott.
Nel 2008 la creatrice Ilene Chaiken aveva lavorato uno spinoff di The L Word che si sarebbe intitolato The Farm. Tuttavia, Nell’estate 2008 Showtime annunciò di avere declinato la possibilità di produrlo.
Nel 2017, a Entertainment Weekly, si era vociferato il ritorno di The L Word.
Nel 2019 il ritorno con The L Word: Generation Q, scritto da Marja-Lewis Ryan con produttrice esecutiva Ilene Chaiken insieme a Jennifer Beals, Katherine Moennig e Leisha Hailey. L’episodio pilota è andato in onda l’8 dicembre e in Italia lo show sarà distribuito da Sky.