Parapà, perché Sanremo è Sanremo! Ammettetelo: avete anche voi letto canticchiando il jingle del programma che è da sempre il più seguito dell’anno del palinsesto televisivo della nostra penisola.
Con picchi che sfiorano il 60% dei telespettatori, Sanremo raccoglie davanti alle televisioni ogni sera circa la metà della popolazione italiana.
Ecco perché è fondamentale porre attenzione a quelli che sono i messaggi che vengono lanciati dal palco dell’Ariston: che si passi la settimana della kermesse sul divano a commentare abiti, esibizioni e monologhi, o che la sera si esca per una pizza, è praticamente impossibile non sapere quello che succede nella città ligure durante il Festival.
Che entri nelle case degli italiani in diretta, sera dopo sera, o che venga filtrato dai post dei social network, quello che succede a Sanremo non resta mai a Sanremo.
Il settantesimo appuntamento con il festival è ormai giunto a termine, non senza successi, non senza scandali, non senza scivoloni e polemiche.
Ma la notizia che veramente andrebbe data, quella nota positiva su cui concentrarsi non è tanto un obbligo morale quanto un piacere, è la scossa data alla mascolinità tossica dopo un inizio piuttosto polemico della kermesse, anticipato dall’infelice frase di Amadeus, durante la consueta, preliminare conferenza stampa di presentazione, ai danni delle donne in generale e di Francesca Sofia Novello in particolare.
Per fare un breve riassunto: per il conduttore, la donna, bellissima, è da elogiare in quanto in grado “di stare un passo indietro” rispetto al famoso compagno Valentino Rossi.
E questo “passo indietro” è un po’ il motore portante della scelta delle varie co-conduttrici che Amadeus ha deciso di coinvolgere per presentare i ventiquattro brani inediti in gara.
Il presentatore proverà a giustificarsi in seguito dichiarando che le sue intenzioni erano quelle di sottolineare come la brava Francesca Sofia, pur avendo la possibilità di cavalcare l’onda della popolarità del fidanzato, non abbia mai approfittato della notorietà di lui.
Per quanto sia assurdo pensare che per un evento della portata del Festival di Sanremo non ci sia – perdonate il gioco di parole – fior fiore di autori a scrivere i comunicati che verranno dati in sala stampa, sicuramente la frase evitabile di Amadeus assume un peso inferiore se realmente motivata dalle giustificazioni poi da lui date.
Purtroppo le accuse di maschilismo ai danni di Amadeus, invece di ricevere in risposta le scuse da parte del presentatore, fatte magari in prima serata, hanno generato gag e numerose frecciatine lanciate dal co-conduttore Fiorello, che per cinque serate ci ha tenuto a fare battute, creando analogismi che terminassero in “-ismo”, come se davvero ci fosse da scherzare su una tematica seria e un problema realmente esistente come il sessismo.
Ma come ho detto, le mie parole vogliono concentrarsi su un messaggio positivo che è arrivato nei salotti italiani: la voglia, per la prima volta su un palco così importante, di dare una scossa alla mascolinità tossica e al binarismo di genere.
Dal palco dell’Ariston un passo avanti oltre al binarismo di genere grazie ad Achille Lauro
A veicolare il messaggio in questione, combattendo i retaggi di una mentalità patriarcale che ha una forte necessità di essere calpestata, sono stati Achille Lauro (nome d’arte di Lauro de Marinis), in gara con Me ne frego e il suo chitarrista e produttore, con lui sul palco, Boss Doms (al secolo Edoardo Manozzi).
I look di entrambi, ma del cantante in particolar modo, sono stati, per ogni esibizione, volti a celebrare figure storiche, famose per le loro scelte anticonformiste: San Francesco, che si spoglia volontariamente delle sue ricchezze; Ziggy Stardust, alter ego di David Bowie, libero da ogni convenzione, tanto in campo artistico quanto in campo sessuale; la marchesa Luisa Casati, che fece della sua vita una vera e propria opera d’arte, e che fu, contemporaneamente, musa e mecenate degli artisti principali del suo tempo; la regina d’Inghilterra e Irlanda, Elisabetta I Tudor, famosa per essere rimasta nubile, la quale preferì sposare la sua stessa patria, e per essa morire.
Indipendentemente dai personaggi ricordati, quello che è necessario sottolineare ed elogiare è la voglia da parte del concorrente di combattere, in maniera esemplare, una divisione di genere netta, che prevede un ruolo maschile e femminile, che inevitabilmente discrimina e taglia fuori da molti discorsi una larga fetta di persone che non si sente rappresentata totalmente in uno o nell’altro genere.
Quella del binarismo è una tematica delicata: è da molti data per scontata una divisione uomo-donna, ed è necessario proprio per questo che se ne parli sempre di più.
È chiaro che sia necessario fare passi avanti al fine di una maggiore inclusività in molteplici ambiti della vita quotidiana.
E così, Achille Lauro ha combattuto la mascolinità tossica e la definizione binaria di genere, presentandosi, su Rai 1, davanti a metà della popolazione italiana, con una tutina dorata, con i tacchi, con delle scelte di trucco che i più direbbero essere da femmina, quando sta finalmente diventando chiaro che il da maschio e il da femmina sono etichette inutili, discriminanti, convenzionali e da abolire.
Lo ha fatto, soprattutto, con la forza delle parole, regalandoci un’esibizione de Gli uomini non cambiano di Mia Martini, negandole una definizione specifica di genere, e alternando i verbi ora al femminile, ora al maschile.
Lo ha fatto, parallelamente, caricando sui suoi diversi profili social le fotografie delle serate (e del dietro le quinte), accompagnandole da descrizioni che vi invito caldamente a leggere.
Serviva forse Achille Lauro per farci aprire gli occhi su tematiche così importanti?
Non credo. Anzi, sono sicura di no: da tempo è in atto una guerra in difesa della fluidità di genere.
Sono molte le voci che si sono battute e si continuano a battere perché vengano riconosciuti i diritti di tutti, perché si smetta di proteggere il machismo, e guardando ai suoi precedenti lavori, lo stesso Lauro è parte di queste voci.
Sono voci forti, importanti, e sempre più numerose, per fortuna, ma Achille Lauro è riuscito a far sentire la sua voce, a dare un grido in difesa della libertà di tutti, in un momento in cui godeva di massima visibilità, e soprattutto, in un periodo in cui si organizza il Family Day e ancora si sente parlare di indottrinamento di teorie gender. Ed è questo che va applaudito.
A scriverlo è un essere umano che si identifica nel genere femminile, che è eterosessuale, e che non trarrebbe nessun vantaggio personale dal vedere pari diritti per tutti, indipendentemente dall’orientamento sessuale o dal genere in cui ci si identifica, se non una totale gioia e l’immenso piacere e onore di dire: siamo, oggi, veramente tutti uguali.
E non è forse questo un enorme vantaggio? Io dico di sì.
A scriverlo è una persona che oggi si sveglia felice di aver assistito a questo piccolo, grande passo avanti, con la speranza che, grazie alla cassa di risonanza sanremese e grazie al fatto che Achille Lauro ha indubbiamente un seguito di giovani, esista almeno un ragazzo che stamattina, vestendosi, abbia deciso di mettere una bella maglietta rosa, una bella maglietta da femmina e abbia canticchiato, mentre si allacciava le scarpe, Me ne frego.
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