Riecco l’abbraccio a distanza: siamo precari come i “Soldati” di Ungaretti ma più di cento anni dopo

Quando a marzo la direttrice di Sguardi ha lanciato l’iniziativa “Uno scambio di sguardi”  e mi ha invitato a scrivere una lettera a un “compagno di quarantena” per rielaborare ed esprimere le mie emozioni durante quella nuova situazione di lockdown, io ho sempre rimandato. Non perché non avessi nulla da dire ma proprio il contrario, avevo mille pensieri per la testa e non riuscivo a organizzarli; chi mi conosce lo sa che io sono un vulcano di idee sul momento però poi ho bisogno di tempo per rielaborare tutto a mente fredda, farmi un’idea sicura e trarne gli insegnamenti del  caso. Così è stato anche in questa situazione e solo un paio di mesi fa ho realizzato bene la mia difficoltà dei mesi della prima ondata di pandemia.

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I mesi primaverili stando sempre in casa mi sono pesati a livello fisico, ma per il  resto pensavo di essermela “cavata bene” sia perché essendo già abituata a lavorare da casa non sentivo molta differenza rispetto a prima, sia perché avendo molti cari amici che abitano lontano già prima non uscivo molto ma anzi con le videochiamate, le riunioni su Zoom e gli aperitivi su Skype è stata un’occasione per sentirmi più partecipe e unirmi in amicizia a loro ancora di più!

Riflettendo in quei mesi mi sembrava di vivere un enorme paradosso: “lontani ma vicini”, “distanti ma uniti” erano due degli slogan che andavano per la maggiore in quel periodo. Due frasi cariche di significato ma che forse non ho capito nel  profondo proprio perché sono già abituata a vivere una quotidianità a distanza; questo fino a giugno  quando è potuta iniziare un’estate “anomala”. Al mare in Puglia, in un paesino dove non avevano avuto grossi problemi  di Coronavirus nei mesi precedenti, ho vissuto delle settimane allegre senza l’obbligo della mascherina e dove qualche abbraccio con persone che non vedevo dall’anno precedente, devo essere sincera e dire che è scappato. In quelle settimane ho vissuto una sorta di normalità che quasi mi ha fatto  dimenticare mascherine e distanziamenti, finchè sono tornata a casa ed è stato quasi automatico avere sempre la mascherina e mantenere  la distanza da tutti, è stato allora che ho realizzato che la cosa che  mi è mancata di più  durante il lookdown è stato l’abbraccio, il contatto con l’altro (del resto l’uomo è un animale sociale, come avevo già scritto in un articolo a maggio): una mancanza che mi ha sfinito lentamente e di cui mi sono resa conto solo quando dal mattino alla sera ne sono stata privata nuovamente!

L’estate continuava e pur continuando a stare attenti e a rispettare le norme anticontagio si iniziava a vedere la classica “luce in fondo al tunnel”; fino alla seconda metà di agosto quando i contagi hanno iniziato una lenta risalita. Sul banco dell’accusa sono finite prima le  vacanze con la voglia di libertà e la voglia di normalità, e subito dopo i comportamenti scorretti di certe persone che non rispettavano le regole sottovalutando il rischio; mi sono chiesta se fossero inconsapevoli o incoscienti o forse ero io troppo paurosa? Queste le riflessioni dopo  le vacanze estive che si sperava fossero a conclusione di mesi di fatica e sconforto e invece negli ultimi quindici  giorni  c’è stata  un’impennata di contagi e subito nuove restrizioni con lo spettro giornaliero di ulteriori chiusure e limitazioni. Ma i contagi aumentano sempre più e anche se dicono che questa seconda ondata sia diversa dalla prima, che gli ospedali sono più liberi e che tutti noi siamo più preparati ad affrontarla, torna l’incertezza a fare da padrona, la precarietà sul domani e la diffidenza verso tutti.

È vero che bisogna vivere nel qui ed ora ma è anche vero che bisogna conoscere il  passato per affrontare il presente con uno sguardo al futuro; questo clima di vivere alla giornata avendo l’insicurezza di quali nuove restrizioni ci saranno in vigore da domani mattina ci fa ben capire il senso della  poesia “Soldati” di Giuseppe Ungaretti:

Soldati

Si sta come

d’autunno

sugli alberi

le foglie

Con questi versi il poeta Ungaretti voleva esprimere la condizione e le emozioni dei soldati in trincea durante la Prima Guerra Mondiale paragonando la loro condizione di incertezza a quella delle foglie sugli alberi pronte a cadere da un momento all’altro durante i mesi autunnali.

Mi è venuta in mente questa poesia per descrivere l’angoscia e il senso di precarietà che sto provando in questi giorni: il non poter programmare se domani potrò andare in palestra per la necessaria fisioterapia, le voci di imminenti coprifuoco serali, la preoccupazione generale per la triste situazione economica e l’idea ventilata di un lockdown in occasione delle feste natalizie fanno letteralmente tremare una persona positiva e sognatrice come me.

Mentre scrivo queste riflessioni alla radio sento la canzone “Me la caverò” di Max Pezzali e penso che certamente dovremo rimboccarci le maniche e rispettare le limitazioni ancora per molti mesi ma che alla fine ce la caveremo e usciremo probabilmente provati, ma vincitori­ dalla guerra  contro questo nemico invisibile: “Me la caverò, proprio come ho sempre fatto con le gambe ammortizzando il botto. Poi mi rialzerò, ammaccato non distrutto”.

Valentina

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