Cosa ne pensano gli studenti Eramus della Brexit? Lo avevamo chiesto la scorsa settimana ai nostri colleghi di banco europei. Tra loro, anche Cosimo Di Gregorio, ex studente di letteratura, ormai professore di lettere. Ci ha lasciato delle risposte degne di nota, che meritavano di trovare uno spazio a sé. Andiamo allora a scovare, insieme a lui, le curiose origini del nostro continente, scoprendo il mito del Ratto di Europa.
1. Cosa significa Europa per uno studente Erasmus? Perché dare confidenza a un progetto di un’Europa unita senza barriere?
Dato che non sono sicuro di sapere cosa sia l’Europa per uno studente Erasmus, dirò cosa è stata Parigi per me.
Parigi è stata la città dove ho incontrato, per la prima volta nella mia vita, un mondo sconosciuto e diverso da quello che conoscevo o che almeno credevo di conoscere. Vengo da una provincia del Sud e di fatto non ho viaggiato molto.
Quando sono partito nel settembre del 2010 per seguire un semestre di studio all’estero, non ero in grado di parlare francese (andavo in giro con un ridicolo dizionarietto rosso per non morire di fame e di sete) e avevo viaggiato ancora meno di oggi. A pensarci, ero un vero incosciente: non sapevo bene cosa avrei fatto dopo, una volta arrivato, ero mosso solo da un vago desiderio di conoscere e di fare esperienze.
Lo studente Erasmus spicca nella fauna dei suoi simili per una certa curiosità di fondo. Per come la vedo io, questa curiosità è ciò che gli permette di superare i confini ristretti del proprio stato nazionale e delle proprie abitudini per aprirsi a un’idea più allargata di comunità.
2. Cosa pensi della Brexit? Pensi che abbia aperto il vaso di pandora e che sia il primo passo verso l’autodistruzione dell’Europa?
Non credo che la Brexit sia la fine dell’Europa (il nostro continente ha superato momenti di gran lunga più difficili e dolorosi), credo piuttosto sia la conseguenza più vistosa di un insieme di politiche fallimentari da parte di governi nazionali ed europei. In questo senso, la Brexit è solo l’ultimo capitolo di un percorso cominciato con il fallimento greco (anch’esso attestato da un referendum) che coinvolge tutti i paesi dell’eurozona, da quelli dell’area mediterranea a quelli posti a più alte latitudini.
In un contesto internazionale lacerato da una lunga crisi economica, non si è stati in grado di porre le basi culturali di un comune sentire europeo, oltre che di fornire risposte convincenti alla sofferenza degli strati più deboli della società. Detto più semplicemente, non siamo stati capaci di dare una risposta convincente alla domanda: cosa vuol dire davvero essere europeo?
Di Giuseppe Patania (18.01.1780 – 23.02.1852), Foto: Muesse – Galleria d’Arte Moderna (Palermo),
Foto: Opera propria, Pubblico dominio
Il mito del Ratto di Europa
Mi piace, a questo proposito, ricordare un altro mito: il ratto di Europa. Europa è un’incantevole vergine figlia di Agenore, re di Tiro (città dell’antica fenicia, corrispondente all’odierna Siria). Ecco una prima sorpresa dunque: Europa, la fanciulla che dà il nome al nostro continente, non è europea! Lo diventerà, in un certo senso, solo quando Zeus la scorge mentre si bagna nuda nelle acque del mare e la desidera. Per farla propria, il re degli dei prende le sembianze di un bellissimo toro bianco, raggiunge la spiaggia e si siede ai piedi della ragazza.
Dopo l’iniziale spavento, Europa si avvicina, accarezza la testa del docile animale e gli sale in groppa. Solo allora il toro si lancia in una corsa sfrenata verso il mare, lo attraversa e raggiunge l’isola di Creta. Dalla loro unione nascerà Minosse, leggendario re di Creta.
Il termine “Europa” col tempo sarà impiegato per indicare prima la Grecia centrale e poi le terre a nord del Mediterraneo. Oggi l’immagine di questo mitico viaggio si ritrova ancora sulla moneta greca da due euro.
Per diventare Europa – sembra suggerirci insomma il mito – bisogna prima desiderarla, poi compiere un lungo viaggio, infine piantare un seme duraturo.
Foto apertura: © Creative Commons – Flickr: Chad Miller, Europa