Ci sono libri che difficilmente possono essere racchiusi in una categoria. Sono i libri che preferisco perché se già si ribellano a un genere, un’etichetta, significa che hanno una storia di valore al loro interno.
“Prairie Ostrich”, romanzo di debutto di Tamai Kobayashi edito nel 2013 da Goose Lane Editions è uno di quei libri. L’autrice, nata in Giappone e cresciuta in Canada racconta nel suo romanzo dai toni pacati, una semplice ma complessa vicenda familiare; gli occhi attraverso i quali il presente della narrazione ci trasporta all’interno di una cittadina fittizia del Canada negli anni 70, sono quelli di Egg Murakami. Siamo a Bittercreek, una provincia rurale, quella di Alberta, ed Egg, bambina dalla mente inquisitrice e riflessiva, assiste impotente al dramma che sta avvenendo all’interno della propria famiglia.
Dopo la morte del fratello, infatti, il padre si è chiuso nella fattoria per prendersi cura degli struzzi, la madre affoga il dolore nell’alcol. Solo la sorella Kathy, la cosa più simile a un adulto che Egg conosca, responsabilmente cerca di tenere insieme i pezzi della famiglia prendendosi cura di lei. Egg si sente diversa, non c’è nessuno come lei nel quale potersi rispecchiare, così ricerca se stessa nei libri, nei supereroi. Lo sguardo di Egg, non ancora disincantato, perché la sorella modifica i finali delle storie per proteggerla, ma già abbastanza lucido sulle questioni importanti, smaschera le ipocrisie degli adulti durante il corso la narrazione.
Non c’è nessuno di giapponese come lei a Bittercreek, i bianchi sono i “normali” ma in quella presunta normalità si annida l’ingiustizia, il germe della cattiveria sotto forma di bullismo e omofobia. Egg assiste: non è ancora in grado di formulare pensieri che spieghino i grandi perché. Ma alla fine la piccola eroina reagisce, lo fa con lo spirito dolce e apparentemente ingenuo di una bambina che vuole salvare tutti per affermare la propria resistenza.
Romanzo dalle tinte pallide, da leggere con empatia, “Prairie Ostrich” è una piccola perla per chi apprezza uno sguardo ristretto, su un mondo vasto e incomprensibile. Quello degli adulti, a quanto pare, perché Egg ce li mostra in tutta la loro vulnerabilità e tutte le loro contraddizioni.
Una storia davvero toccante, che ci ricorda all’improvviso come il sentimento di non appartenenza di chi si sente diverso è sempre il risultato di un’ alterità percepita e una inflitta. Se la prima la si può connotare positivamente quando la si rivendica, così come la propria identità, la seconda ha un nome ben preciso che Egg, amante dei dizionari, ancora non ha imparato: discriminazione.
Una “favola” solo per i forti di stomaco, quindi, perché chi legge con il cuore, che si identifichi o meno, soffre sempre del dolore altrui. Anche quando è finzione.
Peccato che il libro non sia ancora stato tradotto in italiano.
L’autrice, con questo libro ha vinto il Dayne Ogilvie Prize per autori LGBTQI+ emergenti, oltre a questo romanzo ha pubblicato due racconti brevi e un cortometraggio.