Piero ha trovato la sua forza interiore nella filosofia orientale, in particolar modo nel Taoismo. Ne ha fatto la sua ragione di vita riuscendo ad accettare la sua malattia con un approccio sereno e ne è uscito più forte ogni volta.
La sua battaglia contro il cancro ha aperto in lui nuovi orizzonti, non si è mai perso d’animo e ha scritto nella sua degenza in ospedale un bellissimo libro di poesie.
Nei suoi diversi lavori svolti è stato a contatto con moltissime persone e di loro dice che: “i suoi clienti sono stati i suoi migliori insegnanti. Da ognuno di loro ha imparato qualcosa”. Qualcosa che gli ha lasciato un segno.
Ha vissuto esperienze che l’hanno portato a visioni della vita ultraterrene ed è ritornato con dei racconti da condividere. Conosciamolo meglio con questa intervista…
Ciao Piero, presentati
«Mi chiamo Pierantonio Bartoli, detto Piero. Sono nato a Imola il 22 marzo 1944, ho dunque 76 anni. Vivo a Monaco di Baviera dal 1968, cioè da quasi 52 anni, ma non continuati. Sono, infatti, ritornato in Italia nel 1972, per dirigere un albergo in Trentino, dove sono rimasto fino al 1977.
Di nuovo ritornato a Monaco, occupato dapprima in gastronomia, poi come negoziante di vini, ci sono rimasto fino al 1988. Mi sono in seguito trasferito a Maiorca, acquistando un piccolo albergo, per ritornarmene a Monaco nel 1992, dove tuttora abito. Abbandonata la gastronomia, ho iniziato poi la mia carriera di tassista indipendente, professione che ho amato moltissimo e che ho proseguito fino al 2015, quando mi fu diagnosticato, per la seconda volta, un cancro linfatico».
Ed ecco appunto che un giorno ti viene diagnosticato il cancro. Qual è stata la tua reazione iniziale?
«Come già accennato, il cancro l’ho avuto due volte, a distanza di 11 anni l´una dall´altra, di conseguenza anche due reazioni, benché piuttosto simili. Il primo cancro linfatico, nel 2004, fu certamente una sorpresa… fu infatti scoperto casualmente durante un controllo annuale a base di ultrasuoni.
Lo stupore chiaramente fu grande, ma non avvertii paura… anche perché mi resi conto che quella era l´occasione buona per mettere in pratica la mia nuova convinzione, sviluppata negli anni precedenti attraverso diversi studi sulle filosofie orientali, in particolar modo il Taoismo. Il Tao insegna che ogni situazione della vita, sia essa positiva o negativa, è sempre a vantaggio della nostra crescita interna, e va quindi accolta, cioè accettata senza giudicarla. Profondamente convinto di questo e arricchito dalle supplementari energie derivanti da questo credo, ho di conseguenza presto accettato questa nuova sfida della vita accogliendola come si fa, educatamente, con un ospite non proprio gradito.
Accettare è la forma più efficace per lenire il dolore. Quindi io non penso: “Perché deve capitare proprio a me?”, ma penso: “E perché a me no?”
Per quanto riguarda il secondo cancro linfatico, nel 2015, la mia reazione è stata quasi identica, e ho accettato questa nuova prova come un’ulteriore possibilità per maturare internamente».
Tu parli della tua battaglia contro il cancro come una fortuna che è capitata nella tua vita. Ci spieghi questo tuo punto di vista?
«Ci provo… Al giorno d’oggi la nostra esistenza ha assunto un’andatura incredibile, le nostre giornate le passiamo sempre indaffarati in ogni tipo di attività, corriamo a destra e manca quasi senza sosta, e nelle rare pause siamo talmente sfiniti che non abbiamo quasi più nemmeno voglia di pensare.
Ecco il vantaggio di una grave malattia: improvvisamente si ferma il mondo attorno a te, entri in una nuova dimensione nella quale tutto si riduce all’essenziale… e ti rendi conto di quanto ogni cosa diventi relativa, come svanisca il valore di situazioni che fino a poco prima erano importanti. E ti accorgi che ora l’unica cosa che conta sei tu, e che finalmente hai tempo da dedicare a te stesso!
È qui che inizia il lato positivo della tua infermità… ora sei solo, giorni e giorni solo, ora hai finalmente la possibilità di conoscere profondamente il tuo intimo, di iniziare muti ma profondi colloqui col tuo io, di imparare a conoscere la tua vera essenza, il tuo inconscio, e ad accettare le tue debolezze e le tue paure e di conseguenza anche la sorte che in quel momento ti colpisce».
Hai affermato di aver vissuto esperienze ultraterrene. Ci racconti, in particolare, cosa ti è successo? Come e se queste situazioni hanno influenzato la tua vita?
«È successo tre volte. La prima volta, avevo 31 anni, durante un bagno notturno con amici nel lago di Garda. Ho salvato una ragazza che stava per annegare. Col risultato che per salvare lei sono quasi annegato io… Alcuni amici sono riusciti a riportarmi a riva, dopo che già da diversi minuti ero sparito sott’acqua. In quei pochi minuti ho rivisto a una velocità impressionante tutto il film della mia vita, fino ai minimi particolari. E la calda, benevola, luminosissima luce che stava per risucchiarmi dentro di lei.
La seconda e la terza esperienza premortale le ho vissute entrambe in ospedale, durante le crisi più gravi delle mie malattie, aggravate la prima volta da una doppia polmonite, e la seconda da doppie embolie polmonari. Entrambe le volte hanno potuto esperimentare chiaramente il distacco del mio spirito dal corpo, la levitazione della mia coscienza, che lasciando sul letto le mie spoglie fluttuava verso il soffitto della camera. E dall´alto ho potuto effettivamente osservare me stesso mentre morivo! E dietro a me, ad accogliermi, la stessa luce che ho descritto sopra. Entrambe le volte venni salvato in extremis dai sopravvenuti assistenti con interventi disperati, che potei tranquillamente osservare dall´alto, quasi divertito, per poi ridiscendere e rientrare nel mio corpo.
Mi rendo conto che, per molti, non è facile credere a tutto ciò… ed io non voglio convincere nessuno… ma per me sono state esperienze stupende, trascendentali, ma di un realismo assoluto, che mi hanno ripagato di tutto.
Da allora, sono spariti in me i dubbi su un’eventuale continuazione dell’esistenza. Sono sparite le paure riguardanti la morte, e la vita ha assunto un sapore ancora più gustoso. Ora so che la morte non è altro che una porta, che al momento giusto si schiude per introdurre il nostro io, la nostra essenza, alla sua vera destinazione. E il nostro corpo non è altro che un veicolo, il veicolo necessario per giungere alla meta».
I tuoi lavori e la tua vita ti hanno portato ad avere molto contatto con le persone, a osservarle e a studiarle. Quanto è stato importante per te il loro ruolo nella tua malattia?
«Un ruolo importantissimo. Come già accennato sopra, due sono state le attività da me svolte: gastronomo e tassista.
Entrambe, ma soprattutto la seconda, hanno contribuito a sviluppare in me una profonda conoscenza delle vicende della vita, in tutte le sue sfaccettature.
Devi sapere che una gran parte dei clienti che trasportavo erano persone anziane, malate, inabili, o handicappati. Da loro ho appreso risvolti della vita quasi sconosciuti alla maggior parte di noi. E da loro ho imparato a essere umile, a sopportare, a scoprire il molto nel poco, e a lottare. E soprattutto ad accettare ogni situazione, non solo le positive…!
Anche le ultime righe della mia biografia, contenuta nel libro “fratellosasso” rispondono da sole a questa tua domanda:
“I miei clienti sono stati i miei migliori insegnanti. Da ognuno di loro ho imparato qualcosa”.
Sono anche stato spesso sorpreso dall’assennatezza di persone che d’acchito non avrei proprio considerato. E questo mi ha insegnato a non giudicare mai… un esempio fra i tanti: un giorno, seduto nel mio Taxi, aspettavo clienti. Mi si avvicina un tipo e mi chiede se posso condurlo a casa. Premetto che costui aveva già interpellato, senza successo, tre tassisti che mi precedevano nella fila, ma questo, osservando il tipo non mi sorprese affatto: sembrava un barbone, dismesso, malvestito, trasandato e con due enormi fasciature alle gambe, dal ginocchio in giú, piedi compresi… Fasce sporche di sangue e di altro… insomma faceva proprio impressione!
Ma mi fece tanta compassione che decisi di farlo salire. Subito dopo un odore nauseante si diffuse nell´abitacolo, tanto che fui costretto ad aprire tutti i finestrini! Lui mi guardò comprensivo, spiegandomi che quel tanfo non era causato da mancanza d´igiene da parte sua, bensì dalla cancrena che progressivamente gli stava facendo marcire le gambe e altro. E mi confidò che aveva ancora solo qualche settimana di vita. Da quel momento iniziò fra di noi una profonda conversazione sulla vita e la morte, talmente interessante che avrei desiderato non finisse mai.
E questo personaggio si rivelò non solo intelligentissimo, ma anche ricco di dignità, di umanità, e di infinita saggezza! E di un’emanazione talmente benefica, che al momento di separarci non ho saputo resistere al bisogno di abbracciarlo, ringraziandolo per tutto ciò che di lui sarebbe indelebilmente restato in me! Una preziosa esperienza, che non dimenticherò mai. E ce ne furono anche molte altre…».
Quando eri in ospedale, assorto nei tuoi pensieri, hai occupato il tempo scrivendo un bellissimo libro di poesie, come se la malattia ti avesse ispirato. Ci racconti questa esperienza?
«I libri da me scritti sono due: “Einsteinsein” lo scrissi in tedesco, durante e dopo la prima degenza ospedaliera, e il secondo, “fratellosasso”, durante e dopo la seconda.
Direi che sono nati quasi per caso… dapprima assomigliavano più a un diario che a una raccolta di poesie. Scrivevo infatti impressioni e sensazioni che frequentemente mi venivano fornite dalla mia mente, a quei tempi l’unico organo ancora sano nel mio corpo tartassato. E anche i suggerimenti che la vita mi bisbigliava, nonché vecchie reminiscenze e nuove convinzioni. Erano solo appunti che scrivevo per me, per poter ricordare questa esperienza, per sottolinearne la grande importanza. Solo più tardi mi resi conto che quelle mie impressioni avrebbero potuto interessare anche ad altri, e decisi conseguentemente di pubblicarle».
Ci faresti dono di una o due poesie a te particolarmente care, spiegandoci il loro contenuto? A me viene in mente quella del sasso come materia vivente per esempio.
«Premetto, per comprendere meglio il senso di molte mie poesie, che considero la nostra Terra un essere vivente, e non una materia morta. Una materia morta non genera vita, cosa che lei invece produce da sempre e in continuazione.
Di conseguenza tutti noi siamo suoi figli, come anche le piante e gli animali. Figurativamente parlando, anche il sasso è un suo figlio, quindi, metaforicamente, anche mio fratello.
E a lui ho dedicato la prima poesia del mio libro:
Fratello sasso
Fratello sasso, che vivi in riva al mare
tutta un’eternità all’aria aperta
ricco di tempo per poter sognare
su questa tua bell’isola deserta…
Osservo e ammiro tanto la tua calma
figlia d’un’invidiabile esperienza
sarai di pietra, ma tu hai un’alma
un cuor che batte, una tua coscienza…
Emani la malia di chi è sereno
un’aura che tonifica e conforta
che mostra quanto tu d’amor sia pieno
e in un ambito di pace mi trasporta…
Io ti parlo aprendo il mio pensiero
stimando il tuo parere come amico
e tu che tutto sei ma non ciarliero
paziente ascolti tutto ciò che dico…
Seduto accanto a te mi trovo ora
e questo posto un giorno sarà mio
pazienta solamente un poco ancora
e per sempre qui con te ci sarò anch’io…!
La seguente poesia ha per me un significato particolare ed è in coerenza con quanto scritto sopra, in risposta alla tua domanda precedente:
Guarigione
Addio, addio
il tuo tempo è scaduto
caro dolore…
Ti ho accolto
accettato
ed ospitato
come un amico…
Ed umile e paziente
ho sofferto fin troppo
la tua presenza…
Così penetrante
martellante
e persistente..!
Ora il male si calma
si rilassa la mente
ed il corpo riposa…
Solo l’anima
continua ad urlare…
Ma è un urlo di gioia…!
E per ultima una poesia che mi sta molto a cuore:
Coscienza
Credendo vero il falso e falso il vero
appare a me irreale la realtà
ma mai è bianco ciò che vedo nero
e falsa non è mai la verità…
Per fare bene ed evitare il male
guardo senz’occhi e vedo l’invisibile
odo una muta voce intestinale
che mi consiglia a fare l’infattibile…
Voce che parla senza dir parola
atona, zitta, ma ben ascoltabile
che incita, sostiene e che consola
e mi aiuta a pensar all’impensabile…
Voce che nasce da una bocca arcana
che non ha denti, eppur a volte morde
che mai emise un’avvertenza vana
e sedurre sa pur le orecchie sorde…
Essa è l’essenza mia, il mio essenziale
d’un incosciente essa è la coscienza
io morirò, ma morirò immortale
mezzo ignorante e pieno di sapienza…!
Che consiglio puoi dare alle persone che si trovano ad affrontare una malattia o che non riescono a superarla? Perché tu ne hai fatto quasi un dono e magari con le tue parole sapresti aiutare o alleviare il dolore di qualcuno.
«Ognuno di noi ha un rapporto diverso con le vicissitudini della nostra esistenza, e io, sinceramente, non so se sono in grado di dar consigli a chi soffre, a chi lotta con la malattia. Io posso solo descrivere ciò che per me è risultato essenziale: Accettare.
Semplicemente accettare, accogliere questa prova della vita che, per quanto dura, porterà immancabilmente con sé anche un dono: la crescita del proprio bagaglio spirituale, il rafforzamento della propria coscienza. E in caso di guarigione, la consapevolezza di essere ancora utile su questa terra, e di godere ogni sfumatura della vita, con un gusto e un´attenzione finora sconosciuti».
È bello come tu rimanga sempre una persona super attiva e propositiva. Dove la trovi tutta questa forza?
«Attivo lo sono sempre stato, da sempre avverto stimoli dentro di me che mi spingono a intraprendere qualcosa in continuazione. Inoltre ho sempre avuto il forte desiderio di apprendere e di imparare sempre cose nuove. In piú amo moltissimo viaggiare, imparare lingue nuove e intrattenermi con gente di tutto il mondo, cosa che come tassista avevo la possibilità di fare in continuazione.
Possiedo interesse per le più disparate cose, sono curioso come un bambino… e ancor oggi, nonostante l´età, godo con piacere di questa prerogativa, e cerco, nei limiti del possibile, di assecondare ogni mio impulso e di soddisfare ancora qualche mio desiderio. Considerando anche il fatto che non mi resta più tanto tempo…!».
Cos’è per te la vita?
«Un immenso mistero… ed è giusto che sia così!
Preferisco rispondere a questa domanda con due mie poesie, la prima, “Scuola”, abbastanza seria, e la seconda “Illusione”, un po´ meno… Penso che la mia opinione sulla vita, sia sospesa fra queste due suggestioni…».
Scuola
Cosa crediam che sia poi questa vita
un Luna-Park per il divertimento?
O un tunnel buio senza via d’uscita
dei desideri il pozzo, od un tormento?
Essa di certo è l’uno ed anche l’altro
a volte tristi e a volte allegri siamo
ma il vero senso suo, che noi peraltro
con sufficienza spesso trascuriamo
è quello di formarci un’esperienza
di crescer mentalmente, d’imparare
di ampliar la nostra conoscenza
e il nostro potenziale migliorare…
Essa è una scuola, critica e severa
che forgia tutti noi, giorno per giorno
e ci prepara alla missione vera
del nostro viaggio che non ha ritorno…
E la morte è l’esame d’ammissione
che consente ai più maturi, ai migliori
d’ottenere l’agognata promozione
ed accedere a livelli superiori…
Qui giunti s’apre a noi la vera vita
e vivremo a livello di coscienza
la beltà della sapienza più infinita
ch’è il nostro vero senso d’esistenza…!
Illusione
La vita è soltanto un’illusione
il sogno d’una mente fantasiosa
una finta realtà, una finzione
un’orgia di visioni senza posa…
Essa è fittizia, è solo evanescenza
una mirabolante messinscena
copia d’una virtuale trascendenza
di utopie stracarica e strapiena…
In questa gigantesca montatura
questa tragicommedia appariscente
siamo soltanto la caricatura
d’un essere vivente inesistente…
E di fatto, noi non esistiamo
siamo l’immagine d’una imitazione
dell’ombra falsa che noi proiettiamo
fedeli al contenuto del copione…
Attori siam d’un film di fantascienza
che chissaddío mai l’avrà ideato
vuoto di trama in ogni sua sequenza
e che mai fu e mai più verrà girato…!
La tua canzone preferita?
«Forse ti deludo… nessuna in particolare. Posso però dirti che amo molto la musica latino-americana, in quanto essa risveglia in me ricordi primordiali… come se in una precedente vita fossi stato un indio peruviano!
Per non deluderti del tutto posso però rivelarti qual è il mio libro preferito… in realtà sono due: Siddhartha, di Hermann Hesse, e Wu-wei, di Theo Fischer.
Grazie per l’intervista!».
Grazie a te!