Disabile e gay, una doppia diversità che rendono combattivo Pierluigi Lenzi, 37enne bolognese. Affetto da una malattia neurologica, l’atassia (da quando aveva 16 anni), nel 2014 ha deciso di prendere in mano la situazione e formare un gruppo che riunisse ragazzi e ragazze, uomini e donne, nella sua stessa condizione. Nasce così Jump Cassero (legato allo storico lgbt center bolognese), prima di tutto per dire una verità troppo spesso taciuta: sì, anche i disabili hanno una sessualità. E sì, anche i disabili possono essere omosessuali.
“Pierluigi è un uomo di 37 anni, che ha una malattia neurologica da quando ne aveva 16. Quindi è un Pierluigi nato 2 volte – sottolinea di se stesso – una prima volta con il parto e una seconda volta a 16 anni. Sostanzialmente Pierluigi è un combattente come tutti coloro che sono in una situazione difficile come la mia: o combatte o si arrende. Le vie di mezzo sono molto difficili da tenere”.
Hai capito subito di voler combattere?
“Questa malattia, l’atassia, è progressiva ed è cominciata in modo molto latente. Mi sono cominciati a fare male i piedi e poi ho iniziato a trascinarmeli dietro. Quindi non sono bene entrato subito nella consapevolezza di dove sarei poi arrivato.
Per assurdo, faccio un esempio: con un tumore, sai che arrivi in un determinato punto. Con una malattia progressiva neurologica non sai dove arriverai e quando arriverai. L’ho detto: è difficile sentirsi a casa quando si è in un trasloco continuo.
Non so dire se fin da subito sono stato combattente ma ho avuto un carattere combattivo fin da piccolo”.
Raccontami allora chi era Pierluigi da ragazzino…
“Sono stato un ragazzino cresciuto in una bellissima famiglia, con due genitori molto moderni, aperti mentalmente e amorevoli. Però sono sempre stato un bambino tormentato. Questo tormento nasceva dalla consapevolezza di essere omosessuale. L’ho sempre saputo. Lo sentivo fin da piccolo.
Il mio primo ricordo risale all’asilo, dalla recita di Natale: c’era un mio amichetto vestito da pastore, con un sacco di iuta. Io appoggiai la mano su questo sacco di iuta, all’altezza della spalla e, nel toccare il ruvido di questo tessuto, ebbi la netta sensazione che quel bimbo mi piaceva”.
Com’è stato il cooming out in famiglia?
“Hanno avuto un po’ di scompenso. I miei ora hanno 70 anni, non appartengono insomma alla generazione di oggi dove c’è una maggiore apertura, anche se di più si potrebbe fare. Un po’ di scompiglio c’è stato: i miei provenivano da famiglie molto tradizionali, mia sorella è sposata e ha bambini. Quindi, insomma, puoi ben capire come è stato.
Poi, quando c’è l’amore si supera tutto. E si impara ad apprezzare anche la diversità. Una volta mio papà mia ha detto: non sei mio figlio gay o etero, sei mio figlio. Così ho capito che mio padre aveva accettato. Non viviamo comunque insieme, stiamo insieme soprattutto d’estate. È ovvio che io non gli sbatto costantemente in faccia la mia omosessualità, come ogni figlio non sbatte in faccia la propria sessualità ai genitori. Ma se bisogna parlarne, ne posso parlare”.
A proposito di sessualità: dal video di Jump Cassero, volete far emergere il messaggio che “anche chi è in sedia a rotelle ha pulsioni sessuali”. Vi sentite esclusi agli occhi degli altri per questo aspetto?
“Parlo per me: indubbiamente bisogna faticare un po’ di più. È un po’ come il classico discorso della ‘donna bella’ che per far capire che oltre la bellezza ha anche intelligenza, deve faticare il doppio. Più o meno la situazione è questa: sei disabile e devi comunque dimostrare che, nonostante la carrozzella, nonostante la voce un po’ impastata, nonostante tante cose, sei presente e sei capace di intendere e volere.
Delle volte sarebbe meglio essere un po’ meno coscienti. Dopo aver fatto tanta fatica, personalmente posso dire di non avere riscontrato particolare difficoltà. Sono single e lo sono perché la vita, tante volte, ti porta ad esserlo. Spero che in futuro potrò comunque dividere il mio percorso di vita con qualcuno. Però ho 37 anni e non mi accontento. Più vai avanti e più diventi esigente ed è giusto anche così, per avere dignità”.
Ma questa tua condizione ti ha portato ad aprire il gruppo Jump Cassero?
“Ho contattato un attivista del Cassero al quale ho espresso questa mia volontà mettermi in comunicazione con altre persone che vivevano questa doppia diversità. Mi ha messo in contatto con due persone, ci siamo incontrati insieme nell’aprile del 2014 e abbiamo deciso di creare questo piccolo gruppo.
Siamo in pochi, siamo i 6 ora. Così abbiamo dato il nome Jump per sottolineare il fatto che volevamo fare un ‘salto’, oltre le barriere fisiche ma anche, sopratutto, culturali”.
Come si concretizza il vostro impegno in Jump Cassero?
“Ci incontriamo una volta a settimana. Durante questi incontri parliamo un po’ di progetti che abbiamo in cantiere e di eventuali collaborazioni che vogliamo portare avanti con altre realtà. Ognuno di noi si documenta su un evento di attualità e poi ne discutiamo assieme per conoscerci sempre meglio ed essere ancora di più uniti tra noi.
I grandi progetti, fino ad oggi, sono stati relativi. La visibilità vera sta arrivando ora. Di progetti degni di nota arriveranno, speriamo, da ora in poi. Ma siamo attivi da diverso tempo. L’importante è che siamo l’unico gruppo di disabili LGBT attivo in Italia. Ce n’era uno a Roma ma non c’è più”.
Torniamo a te, come vivi le tue giornate, la tua quotidianità?
“Ultimamente sto attraversando un momento psicologicamente difficile per motivi miei. Ma, in generale, lavoro in biblioteca comunale del paese dove vivo in provincia di Bologna. È un lavoro part time che mi consente anche di coltivare le mie passioni, il mio impegno sociale per il gruppo.
Amo scrivere, ho scritto tre libri di poesie e amo il cinema. Sono un tipo piuttosto solitario, ho amici ma ne ho pochi: quelli che ho sono amici di una vita. Amo molto la solitudine per il mio carattere un po’ malinconico: anche quando ero un bimbo mi perdevo a guardare gli alberi o il cielo… i miei compagni giocavano a pallone e io dicevo: ‘Mah’.
Quindi sei anche romantico…
“Romantico è un parolone. Diciamo che sono sentimentale”.
Come vedi il tuo futuro? Qual è il tuo sogno?
“Il futuro non lo vedo. Nel senso che, se ci penso, mi viene ansia. E di ansia ne ho già a bizzeffe quindi, se ne evitiamo un po’, va meglio. Però, il mio sogno è essere sereno, raggiungere la serenità, quello è il mio sogno più grande. Imparare a stare bene con me stesso perché non è facile.
E poi imparare ad accettarmi completamente come disabile: quando sogno, mi sogno in piedi. L’immagine che ho di me è quella: io da ragazzino senza problemi. Quindi, insomma, non ci si accetta. Bisogna imparare a conviverci. Il mio sogno è imparare a convivere con tutti i miei limiti”.
Cos’è per te la vita?
“La vita è un percorso a ostacoli: se non riesci a saltarli, giragli intorno”.
La tua canzone preferita?
“Drink Before The War di Sinead O’Connor”.
Per contattare Jump Cassero, ecco il recapito di Pierluigi: cel 349.6941664 mail: jump@cassero.it