In occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne (25 novembre) la marea transfemminista di “Non Una di Meno” torna in piazza. L’appuntamento per la “Manifestazione Nazionale Contro la Violenza Maschile e di Genere” è in programma sabato 23 novembre (ore 14.00 da Piazza della Repubblica a Roma, qui tutti i dettagli).
All’indomani della manifestazione, il 24 novembre, è convocata l’assemblea nazionale di Non Una Di Meno verso lo sciopero del prossimo 8 marzo 2020 (ore 10:00, quartiere San Lorenzo di Roma).
Di seguito, l’appello completo di Non Una Di Meno per annunciare gli eventi verso la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Appello Non Una Di Meno: «Contro la vostra violenza, la nostra rivolta»
«In tutto il mondo le donne sono in rivolta contro la violenza patriarcale, razzista, istituzionale, ambientale ed economica. In Sud America, in Medio Oriente, In Asia, in Africa, in Europa le donne e le persone lgbtqipa+ stanno affermando chiaramente che nessun processo di democratizzazione e liberazione è possibile senza trasformazione radicale dell’esistente. In Cile, in Messico, in Ecuador, in Argentina, in Brasile, le donne lottano contro la violenza patriarcale e economica che attacca i corpi e l’ambiente.
Le donne curde stanno difendendo e portando avanti un processo rivoluzionario femminista, ecologista e democratico e combattono per la liberazione da ogni fondamentalismo e contro l’autoritarismo turco. Il 23 novembre ci uniremo a queste sollevazioni globali, dalle quali traiamo forza e convinzione!
Abbiamo disvelato la natura strutturale e politica della violenza maschile, che agisce sulle donne e sulle soggettività lgbtqipa+. A quattro anni dall’esplosione del movimento femminista è il momento di affermare, a partire dalle lotte, dalle pratiche, dalla solidarietà femminista, rivendicazioni chiare e non negoziabili su cui vogliamo risposte.
Ogni 72 ore in Italia una donna viene uccisa da una persona di sua conoscenza, solitamente il suo partner, e continuano le violenze omolesbotransfobiche. Sono i giornali a valutare quale dei tanti femminicidi debba essere raccontato e come. Quello del “gigante buono” – come nel caso di Elisa Pomarelli – o quello di chi “se l’è cercata”. Quello della vittima dell’invasore nero o del raptus di gelosia, nel caso si tratti di un marito italiano.
Noi invece sappiamo che la violenza può colpire chiunque di noi e che non ha passaporto, colore né classe sociale, ma spesso ha le chiavi di casa. È la storia di tante donne e di persone non conformi al modello patriarcale che ogni giorno si ribellano a molestie, stalking, violenza domestica, psicologica, sessuale ma trovano ulteriore violenza nei tribunali.
È tempo di dire basta alla Giustizia Patriarcale: se in Parlamento la Pas (sindrome da alienazione parentale) finisce nel cassetto insieme al Ddl Pillon, nelle cause di divorzio è sempre più frequente il suo utilizzo per giustificare l’allontanamento dei minori dalle madri, diventando così uno strumento punitivo per le donne che si separano e un deterrente alla denuncia per le donne che subiscono violenza domestica. Vogliamo la Pas fuori dai tribunali!
Il Codice Rosso ha già fallito confermandosi una mera operazione propagandistica: è necessario riconoscere le donne come soggetto attivo e intervenire efficacemente prima e non dopo che la violenza o il femminicidio si compiono.
Per questo il lavoro dei centri antiviolenza femministi va riconosciuto, garantito e valorizzato perché siamo stanche di finire sul banco degli imputati o ricordate in maniera strumentale in qualche pessimo articolo di giornale. Gli spazi femministi sono invece sotto attacco in tutto il Paese e le risorse per le realtà che sostengono le donne che resistono alla violenza sono sempre più vincolate e carenti. Difendiamo e moltiplichiamo gli spazi femministi e transfemmninisti, come Lucha y Siesta, le case delle donne e tutti gli spazi di autodeterminazione sotto minaccia di sgombero!
L’indipendenza economica è la condizione fondamentale per affrancarsi dalla violenza, per essere libere di scegliere: le molestie e gli abusi si riproducono in condizioni di minaccia e di ricatto, nella vergogna e nella solitudine, ma ancora permane il limite di un anno di tempo entro cui denunciare. Questo limite è un’arma in mano a molestatori e stupratori.
Vogliamo essere liber* dalla povertà, dallo sfruttamento, dal rischio di licenziamento o del mancato rinnovo di contratto e dei documenti di soggiorno. In un paese in cui solo una donna su due lavora, la maternità può costarti il posto di lavoro e la disparità salariale è un dato di fatto, non serve la propaganda, ci vogliono atti concreti: vogliamo un salario minimo europeo, un reddito di autodeterminazione svincolato dalla famiglia e dai documenti di soggiorno, congedi di maternità, paternità e parentali di uguale durata e retribuiti per entrambi i genitori.
Se scegliere di fare un figlio non è semplice, non lo è nemmeno non farlo: obiezione di coscienza dilagante e smantellamento del welfare ostacolano la nostra autodeterminazione psicologica, sessuale e riproduttiva. Riprendiamoci i consultori pubblici e rompiamo il monopolio degli obiettori sulle nostre scelte: vogliamo educazione sessuale per conoscere, educazione al rispetto di generi e orientamenti sessuali, spazi per condividere, contraccezione gratuita per proteggerci, la pillola abortiva senza ricovero e fino a 12 settimane per decidere. Vogliamo servizi socio-sanitari pubblici e laici che garantiscano la salute e la libera scelta di tutte e tutti.
L’Italia è il paese in Europa con il più alto numero di uccisioni di persone trans ‒ spesso donne trans, migranti e sex workers. La presa di parola delle persone trans e lgbtqiap+ contro la violenza di genere e dei generi è un fiume che ingrossa e rafforza la marea femminista e transfemminista che si riverserà a Roma il 23 novembre con la Trans Freedom March: l’autodeterminazione non ha confini!
La guerra contro le persone migranti sta raggiungendo intensità senza precedenti, non soltanto nel Mediterraneo, e colpisce soprattutto le donne facendo dello stupro un’arma di soggezione. Vogliamo fermare la violenza degli accordi che esternalizzano le frontiere, disseminando Europa, Mediterraneo e Nord Africa di lager del XXI secolo. Vogliamo essere liber* di muoverci attraverso i confini e di restare se lo vogliamo. vogliamo l’abrogazione dei decreti sicurezza che criminalizzano la migrazione, la solidarietà e il dissenso, di tutte le leggi che legano il permesso di soggiorno al lavoro o alla famiglia e di quelle che alimentano il razzismo negando la cittadinanza a chi è nat* o cresciut* in Italia. Un permesso di soggiorno europeo senza condizioni, asilo e cittadinanza sono i soli strumenti possibili contro violenza e sfruttamento. Reclamiamo l’accesso al welfare per tutt* contro la distruzione dello Stato sociale che anno dopo anno taglia risorse mentre aumenta la spesa militare.
La lotta femminista e transfemminista crea resistenza e alternativa nella costruzione di legami e intrecci attraverso la riappropriazione dello sciopero come pratica di conflitto come processo di trasformazione dell’esistente che opponga la cura, l’autodeterminazione e l’equità sociale allo sfruttamento dei corpi e dell’ambiente.
Scendiamo in piazza il 23 Novembre anche per tutte quelle donne e quelle persone che vedono limitata la propria libertà. Le donne e le persone trans detenute, le persone sottoposte a misure restrittive o confinate all’interno di strutture psichiatriche che le sottopongono a misure di contenimento inappropriate e violente».