Quando si leggono le parole di Nina Varela è chiaro che non sia spaventata, né di scrivere di emozioni né dell’essere queer. Nina ha scritto un romanzo young adult davvero avvincente: Crier’s War (non tradotto in italiano), una favola ambientata nel reame della fantascienza nella quale due ragazze, una umana e una “creata”, un automa, combattono insieme per liberare loro stesse da un sistema patriarcale oppressivo che vuole i loro rispettivi generi, separati e diversi. Crier’s War è una storia ispiratrice, sulla rivoluzione e sul potere, ma è anche la storia di un innamoramento.
Abbiamo incontrato Nina attraverso le sue parole, è umile e ha una personalità frizzante, è determinata a continuare a scrivere ed è molto brava a farlo. L’altra parte della sua duologia, Iron Heart, sarà pubblicata a settembre. Mentre speriamo che i suoi romanzi saranno tradotti in italiano, l’abbiamo intervistata perché, durante questo mese del Pride, volevamo dare voce a qualcuno la cui arte è interamente dedicata ai lettori queer. E non c’è paura, solo gioia, nell’arte di Nina Varela.
Nel tuo romanzo l’emozione è un tema molto centrale, in un’intervista hai detto che la scrittura è il tuo modo per esprimere le emozioni (“La scrittura è come do un senso a me stessa, a tutte quelle goffe e imbarazzanti emozioni delle quali non mi piace parlare”) e i tuoi personaggi dimostrano la contraddizione tra “ragione e sentimento”. Perché le emozioni sono così importanti per te?
In buona parte è perché scrivo di adolescenti e gli adolescenti sono davvero, davvero emotivi. È facile liquidare il tutto come melodramma, ma il fatto di essere così giovani fa sembrare ogni cosa la fine del mondo, perché in qualche modo lo è. Il tuo primo amore è il tuo primo amore. La prima volta che ti si spezza il cuore è la tua prima volta. Non sai ancora che quel dolore – quella rabbia, passione, perdita, solitudine – non è per sempre. E quando cresci, impari che puoi sopravvivere a quel dolore. Ti viene spezzato il cuore e ti dici: “Ok, è orrendo ma ci sono già passato e so che andrà meglio”. Ma teenagers come Crier e Ayla non sono ancora a quel punto. Loro sentono tutto, e io provo molta empatia per loro e per gli adolescenti, perché ricordo com’era. È importante ritrarli in modo accurato: la rabbia di Ayla, immatura, complicata; la naiveté di Crier, la speranza e il dolore. Loro sono giovani e stanno ancora imparando come funziona il mondo, stanno ancora imparando a conoscere loro stesse. È doloroso, ma anche molto necessario e meraviglioso.
Una delle cose che più mi hanno sorpreso del tuo romanzo sono la dedica e i ringraziamenti. Dedichi il libro ai lettori queer : “Per i lettori queer. Vi meritate ogni avventura”. E nei ringraziamenti, oltre ai lettori online che ti hanno incoraggiata e supportata, ringrazi ancora una volta: “Ai lettori queer: per leggere questo libro ma anche solo per esistere. Qualcuno proverà a dirvi che la vostra storia non importa. Questa è la più grande bugia che sentirete mai. Lettori, ogni cosa che sentite e sperimentate e create è vitale per questo mondo. Non abbassate mai la testa. Non state mai zitti. Nessun altro vuole scrivere di noi, quindi: al diavolo, lo faremo noi stessi. Renderemo impossibile per chiunque fingere che non esistiamo. Per favore raccontate la vostra storia – amerei leggerla. Grazie per aver letto la mia”.
Come si è formata la tua coscienza di appartenere a una comunità e quanto ha influenzato la tua scrittura?
Mi cha richiesto molto tempo – più di quanto avrebbe dovuto – realizzare e accettare di essere queer. Ho trascorso gli anni della mia adolescenza essendo attratta dalle ragazze e convincendomi che non importasse, che non era vera attrazione ed ero etero. Non ho fatto coming out fino al college (dove ho studiato sceneggiatura), ma quando è successo sono stata molto aperta a riguardo e molto aperta nello scrivere storie queer. Una volta fatto il coming out sono stata in grado di trovare un gruppo di amici queer – e “etero” che poi hanno fatto coming out come queer – ed è stata una sensazione meravigliosa. Sono stata in grado di essere la vera me stessa, senza omettere dettagli riguardo le mie emozioni ed esperienze, senza trattenermi o rinnegare me stessa per la paura. È stato un sollievo. C’è una storiella su come le persone queer facciano gregge come pinguini, ed è vero – ci troviamo e stiamo incollati, perché avere quell’affinità, quella verità condivisa, è davvero liberatorio.
Giugno è il mese del pride: a che punto siamo con i diritti civili oggi dal tuo punto di vista?
Ovviamente meglio del punto in cui eravamo in molte aree, ma c’è ancora molto per cui combattere. È difficile immaginare come un mondo ideale potrebbe essere, socialmente, culturalmente e politicamente. È spesso più facile far passare leggi che cambiare gli animi – e per far sì che quel mondo ideale si realizzi in futuro, molti animi hanno bisogno di diventare più buoni, meno rancorosi e violenti; molte persone hanno bisogno di disimparare dai sistemi oppressivi nei quali sono nati e ai quali hanno partecipato per tutta la vita. Non accadrà nell’arco di tempo della mia vita, ma devo credere che qualche giorno prima o poi accadrà, per le future generazioni di persone queer. Ed ecco per chi lottiamo, ancora più che per noi stessi: per le generazioni future. Per i figli e i figli dei nostri figli. Per la loro felicità.
La situazione politica e la disparità sociale influenzano le vite di Ayla e Crier. I due personaggi sono molto coscienti di quanto le loro vite siano influenzate rispetto ai loro status sociali ed entrambe vogliono ribellarsi. La ribellione verso l’ingiustizia rende il tuo romanzo molto idealista, ma è un elemento molto forte. Pensi che per ribellarsi si debba essere coinvolti personalmente e avere coscienza della realtà che ci circonda o in qualche modo la ribellione si sente già da dentro?
Tutta la vita attivismo individuale e consapevolezza. Il percorso di Crier riguarda completamente la realizzazione di quanto privilegiata e ignorante sia stata – è molto intelligente ma è anche molto giovane e crede che il mondo sia ciò che suo padre, i suoi insegnanti e i libri di storia le hanno insegnato. Quando inizia a realizzare che era tutta una bugia, una volta sviluppata la consapevolezza di come il mondo funziona realmente, si radicalizza. Una rivoluzione richiede molte persone, ma ognuna di queste ha un’unica posizione, abilità uniche, conoscenze uniche. Per formare un vera e forte collettività, bisogna valutare e ascoltare ogni persona.
In Crier’s War c’è una forte componente fiabesca, la fiaba è notoriamente un genere che in passato tendeva a essere morale, educativo. Ma la domanda è, scrivere questo romanzo ha insegnato a te qualcosa su te stessa?
Sono finita a esplorare la mia identità queer e i miei valori, molto più di quanto pensavo avrei fatto. La storia di Crier e Ayla non riguarda l’essere queer – sono solo due ragazze che si innamorano, non devono avere a che fare con il coming out o l’omofobia, o nessuna crisi di identità. È stato davvero liberatorio scrivere una storia così, perché avevo questa specie di mondo “perfetto” senza omofobia con il quale sbizzarrirmi. Così sono stata in grado di scrivere solo d’amore, romantico e platonico e di queste relazioni emotive e politiche che mi hanno portato in un viaggio di scoperta di me stessa insieme a Crier e Ayla. Ho terminato la duologia molto più radicale di come l’ho iniziata. Ho compreso cosa è importante per me in una storia, quali tipi di storie voglio raccontare: Storie di gioia, libertà e rivoluzione, storie queer.
Secondo te c’è un pregiudizio sugli scrittori giovani ed esordienti? È più difficile sentirsi validati in quanto giovani autori?
È complesso – la maggior parte del tempo, penso che sia l’esatto contrario. Gli editori AMANO i giovani autori, è una buona carta vincente: “Autore debuttante ventiduenne”. Tuttavia, può essere difficile per giovani scrittori, soprattutto quelli marginalizzati. L’industria editoriale è enorme, scoraggiante e difficile da navigare. Se sei marginalizzato, hai un salario basso etc. può essere difficile provare a sfondare, provare a far sì che le persone prendano seriamente te e la tua storia e far sentire la tua voce. Avevo 24 anni quando ho debuttato (ora venticinque) e mi sento ancora come una piccola bambina seduta al tavolo degli adulti qualche volta; separata dagli “adulti” che sono più affermati, hanno più esperienza e hanno più connessioni. Ma certamente ciò che importa alla fine è la tua storia e come la racconti!
Quali sono alcuni degli autori queer che hai amato come lettrice e dai quali hai preso ispirazione?
Crescendo non ho letto veramente dei libri queer – erano difficili da trovare nelle biblioteche e librerie. Così mi sto rifacendo ora! Ora mi piace molto Carmen Maria Machado, Rin Chupeco, Malinda Lo, N.K Jemsin e i poeti Chen Chen e Ocean Vuong.
Puoi parlarci del tuo processo di scrittura e del “lavoro di scrivere”?
Il mio processo di scrittura include molta caffeina. Ho un lavoro full-time, così scrivo nelle sere dopo il lavoro e nei weekend. Non dormo molto! Proprio ora sono chiusa in casa, certo, ma prima della pandemia andavo sempre nei coffee shop – mi piace avere attorno il suono dell’ambiente e quando sono a casa è davvero facile essere distratta da un milione di altre cose. È meglio quando sono fuori casa. Per quanto riguarda il mio processo di scrittura, sono brava con le bozze. Le mie bozze devono essere super dettagliate perché ho una memoria davvero terribile – davvero, è così! Se non ho una bozza dettagliata, mi dimentico cosa è successo all’inizio del libro già quando ho raggiunto la metà. Una volta fatta la bozza, quindi, cerco di scrivere il più veloce possibile per arrivare alla scadenza. Generalmente cerco di scrivere un migliaio di parole al giorno, ma ci sono molti giorni in cui non riesco. È davvero poco romantico! Ci sono io, fissando il computer, bevendo il caffè, provando a pensare.
Progetti futuri?
Più scrittura! Voglio scrivere libri per adolescenti e bambini, non ho mai voluto fare altro. Non sogno di essere famosa o favolosamente ricca o niente del genere. Voglio solo scrivere. Speriamo riuscirò a farlo per molto tempo!
La canzone che associ a Crier’s War?
“Simmer” di Hayley Williams, fa molto Ayla!
Grazie mille per l’intervista!