Prendendo spunto dalle recenti notizie di cronaca, abbiamo deciso di scrivere un racconto liberamente ispirato ai fatti, con lo scopo di riflettere e meditare insieme. Pensiamo, ad esempio, all’indifferenza di molti di fronte all’annuncio dei 117 migranti annegati la scorsa settimana.
I necrologi – un racconto ispirato alla realtà
Lunedì mattina, riprende la vita, frenetica ma anche calma. Una vita placida che si srotola tra le strade di campagna serpeggianti tra i campi adesso spogli. Sono le sei e mezza, i ragazzi prendono l’autobus e una signora di mezza età esce dalla porta per spazzare il vialetto davanti a casa.
Abita proprio nella via principale, davanti alle poste e alla piazza, quella in cui tra poche ore si terrà il mercato. Il fruttivendolo sta già iniziando ad allestire il suo banco, mentre osserva il cielo per tentare di capire se il tempo sarà clemente.
Un cielo limpido e privo di nuvole lascia penetrare un raggio di sole che cade in modo perpendicolare, sarà una bellissima giornata. Un gatto randagio salta sul tetto di una villetta, mentre l’autobus si allontana per dirigersi verso la città.
Siamo in una zona così periferica che prima dell’avvento di internet era difficile da raggiungere, siamo ai margini della vita sociale e il tempo qui sembra essersi fermato tra le sagre, le competizioni tra oratori e i muggiti che si sentono da lontano.
Tutto scorre indisturbato in questi territori di nessuno, ma ogni singolo abitante del paese conosce la vita e soprattutto la morte di tutti gli altri. La parola campanilismo qui non si applica, perché tutti sono così imparentati da far sì che il paese sembri una grande famiglia unita, non di quelle felici.
Gli stranieri, o come vengono chiamati qui i “forestieri” sono subito guardati da mille occhi che ancora devono abituarsi al colore di una pelle diversa, mentre giudicano quella ragazza di sedici anni che ha avuto un bambino.
Non puoi sfuggire alla chiacchiera bieca e ignorante, né ai complimenti falsi, né alla sensazione di essere costantemente sotto osservazione. Tuttavia, vedendo quella signora di centodue anni che passeggia ancora arzilla per le vie del mercato, chiedendo un chilo di pere, non penseresti che proprio quella dolce vecchietta potrebbe essere la stessa a condurre giochi di potere che nemmeno le interessano.
Qui, nei bar giocano sempre a carte, bestemmiando sia quando vincono che quando perdono, ma quella mattina il gestore del bar aveva preso l’influenza e aveva mandato sua figlia ad aprire il bar. Solitamente la vita del paese iniziava quando al lunedì, verso le nove, i primi uomini arrivavano a godere della propria reciproca compagnia.
In un altro luogo li avrebbero definiti alcolisti disoccupati, ma la gente del paese capisce perfettamente la solitudine e, almeno quella, non la giudica. Quella mattina la figlia di Tita stava sollevando la serranda senza fare rumore, ma Angelo era fermo dall’altra parte della strada, vicino alla fermata dell’autobus, e stava osservando il cartellone dei necrologi.
Se non si vive in queste zone non si potrà mai capire la passione che qui la gente nutre per la morte. Per gli anziani soprattutto, la morte è un evento tra gli altri che li aiuta a scandire il tempo. Alcune discussioni iniziano proprio così: “Suonano le campane, non suonano da sposa, chi è morto?”.
Le signore si mobilitano per correre in chiesa, nemmeno fosse una gara all’ippodromo, si precipitano al galoppo per conoscere, sapere, definire la morte di quella cugina di quinto grado del marito della sorella della zia del marito di… e poi solitamente aggiungono un nome.
Nessuna morte passa inosservata in un piccolo paese di campagna, ma a differenza di altri luoghi, qui viene soprattutto commemorata la vita. Tutto il paese si mobilita per partecipare al funerale, con tristezza sentita e con vero dispiacere, poi al cimitero tutti si scambiano i convenevoli e tornano a casa con un sentimento di catarsi.
Da qui a vent’anni, qualcuno nel paese starà ancora parlando della morte di quella povera bambina alla quale è ceduto il cuore e, se vai al cimitero, spenderanno due parole per lei, o per chiunque altro di cui tu voglia chiedere informazioni.
La morte rimane scolpita nella memoria di tutti e alle persone del paese dà sicurezza pensare che alla loro, saranno ricordate a loro volta. Per questo bisogna capire gli usi e costumi di un paese prima di voler scuotere la sua coscienza.
Nella notte di domenica infatti, era successo qualcosa. Scivolando per le vie buie del paese, tentando di non far abbaiare i cani, qualcuno aveva affisso sul cartellone dei necrologi, qualcosa che l’indomani sarebbe stato l’argomento del giorno.
Angelo stava leggendo quei nomi familiari, ma due cose non gli sembravano giuste, le età precoci delle persone che solitamente superavano gli ottant’anni e il fatto che non conoscesse quei bambini. Il suo primo pensiero fu quello di chiedere al postino “Li conosci?” ma ricevette una risposta negativa.
Poi Angelo si recò al bar e comunicò la notizia, di lì a qualche ora tutti in paese l’avrebbero conosciuta. Il mercato era in fermento, qualche signora era adirata, qualche venditore commentava dicendo che erano dei teppisti e non avrebbero dovuto fare uno scherzo del genere.
I bambini erano agitati e mentre mangiavano le caramelle, correndo tra le corsie, si divertivano per il clima di tensione. Quando un vigile finalmente si avvicinò al necrologio, attorniato da un nugolo di signore con mille borse della spesa, venne assalito dalle domande: “Chi l’ha fatto? Cosa vuol dire? Quando lo toglieranno?”.
Il vigile non sa rispondere, è la prima volta che vede le frasi sotto i necrologi che citano frasi del vangelo e tracciano un parallelismo innegabile, quello tra le morti dei migranti in mare, passate inosservate, e le morti del paese così visibili dappertutto su quei necrologi tanto da rendere impossibile non notarli.
Cosa ne sanno queste persone dei migranti? Angelo sicuramente sa che nel momento in cui metteranno piede in Italia ruberanno il lavoro agli italiani e forse è meglio e giusto che sia andata così, a volte lo pensa con rabbia, ma conosce la miseria e sa cosa vuol dire non avere un lavoro.
La signora che spazzava il vialetto sicuramente ha paura, teme per le sue bambine che possano essere violentate e quando in chiesa prega, pensa sempre alla cattiveria del mondo che permette queste cose orrende. La stessa signora pulisce casa alla mattina perché poi andrà a lavorare in fabbrica, di pomeriggio si prenderà cura dei suoi genitori e di sera cucinerà per il giorno dopo.
Solo alla domenica dopo la messa si concederà di sfoggiare la sua migliore camicetta e i suoi migliori sorrisi per accogliere la nuora che viene dalla città, ma i suoi anni da quando ne ha venti, sono trascorsi qui senza che lei abbia mai visto strade di altri paesi e forse solo alcune di quelle d’Italia.
I giovani capiscono quei necrologi, perché a scuola studiano e portano a casa la loro cultura, silenziosamente e vergognandosene, perché non vogliono sembrare migliori dei loro simili. Alcuni ragazzi si rifugiano nelle associazioni e imparano il valore cristiano della carità, vanno in Ecuador ad aiutare i bambini poveri, mentre altri giovani si rifugiano nelle droghe, perché in qualche modo devi rifugiarti dalla chiusura mentale e dal ghetto che sono questi piccoli paesi di campagna.
Pochi evadono veramente, nel senso che riescono ad andarsene per cercare un lavoro o farsi una vita migliore. Quelli che non se ne vanno, lo fanno perché è troppo dura convivere con la colpa di lasciare la famiglia, se ne andrebbero con l’evidenza che non hanno alcuna vera speranza per affrontare il futuro.
Se da quando nasci vivi nell’ignoranza e non hai alcuna risorsa per imparare a conoscere te stesso e il mondo, come puoi veramente essere libero? Le persone qui sono prigioniere dei pregiudizi ma anche della paura radicata in loro, la paura che nasce dalla povertà.
Solo due su cento, in questi paesi, vivono nella villetta semi distaccata con abbastanza soldi da poter fare tre vacanze all’anno, la maggior parte della popolazione locale vive qui perché ci è nata, in una povertà che è soprattutto spirituale, in un asfittico clima che sottolinea il dovere e l’obbedienza, a Dio, al lavoro, alla bontà.
Nessuno, meglio della gente di paese, può capire umanamente il dramma di non sentirsi a casa, esattamente perché qui le persone sono giunte a sentirsi a casa con una fede incrollabile nel fatto che quello sia il loro paese, il loro luogo, il loro mondo, il loro rifugio.
Quel mondo che visto da fuori coincide con una prigione, con i campi come sbarre, per i migranti coincide con la vastità del mondo libero, dove le guerre non sono all’ordine del giorno e dove l’idillio regna.
Persino un paese come questo con le sue chiusure, per una persona disperata potrebbe andar bene. I locali, proprio quelli che definiscono come un’invasione temuta l’arrivo dei migranti, sarebbero i primi a portare cibo e vestiti e calore a queste persone, se si trovassero nella situazione di doverlo fare.
Lo farebbero inizialmente essendo restii e ostili, lo farebbero senza crederci veramente, ma passati alcuni anni, quando i migranti masticherebbero il loro dialetto identitario, vivendo fianco a fianco con loro, li tratterebbero come simili e smetterebbero di giudicare. Ma qui i i migranti non arriveranno, ora, e la colpa è di qualcuno, forse anche di tutti coloro che non si sono attivati per respingere le politiche che non li volevano. Quelle stesse politiche non vogliono nemmeno la gente di campagna, la gente povera e ignorante che non ha speranza di redimersi e cambiare vita.
Quelle stesse politiche, si può concludere, non vogliono la vita. Domani la chiacchera in paese si sarà placata, la morte tornerà a essere un evento tra gli altri eventi, proprio quando morirà Luigi, il cugino del nipote di quello che guidava il trattore e domani nessuno penserà a quei morti.
Se non, forse, le persone che hanno affisso quei necrologi, in un atto politico inaspettato in questo paesino. Il paese si compone di tutti quei drammatici personaggi che alla luce del giorno commentano, bevono, spazzano, curano, cucinano, ma anche di questi banditi che nella notte portano una briciola di giustizia.
Chi saranno mai? Il paese se lo chiede, anche il mondo se lo chiede, chi sono le persone rimaste a difendere un’idea di giustizia e perché lo devono fare quando nessuno guarda.
Qualcuno ricorda che le persone stanno morendo in mare, vuole risvegliare il paese, vuole animarlo, ma forse stiamo vivendo in tempi storici diversi, senza la possibilità di comunicare con gli altri. Solo chi viene dal paese può capirne i meccanismi, ma solo se si è emancipato da esso può vederli riflessi nelle storie degli altri.
Non è difficile immaginare un paese in Africa, placido come questo. Ma è difficile immaginarne uno devastato dalle guerre, dalla fame, dagli stupri, uno dal quale le persone scappano.
Domani, quando i banditi saranno scappati dal paese perché avranno perso la speranza di cambiarne la mentalità, anche l’Italia potrebbe diventare un posto abbietto che fa scappare le persone. Lo sta già diventando ogni giorno di più.
Il paese domani si sveglierà, immobile, tirerà un vento d’aria pulita e fresca, qualcun altro sarà morto, ma anche se la sua morte sembra fare la differenza per tutte le persone che ne parlano in paese, sarà cancellato da una storia fatta di volti noti sui social media. Sarà epurato da una storia fatta di notizie false.
E dopo che in paese tutte le persone che conoscevano quella persona saranno morte, nessuno più si ricorderà di lui. Forse non basta ricordare, si chiede la figlia di Tita mentre tira giù la serranda per chiudere il bar, ma per lei è solo un pensiero fugace, cancellato dal fatto che non può permettersi di pensare troppo.