Metti la passione per la scoperta, l’amore per la propria terra, la Sicilia, e un luogo all’apparenza solo naturale da esplorare. A nulla sono serviti i pareri degli scettici e gli sguardi invidiosi. Antonella Stellino, l’archeologa 41enne che abbiamo intervistato, ci ha messo tutto l’amore possibile per portare alla luce gli insediamenti risalenti a più di 3mila anni fa (IX secolo a.C.) sul Monte Bonifato, l’altura a 826 metri sopra il livello del mare nel territorio del Comune di Alcamo, in provincia di Trapani, a pochi passi dal Golfo di Castellammare.
E dietro alla passione di Antonella si nascondono anche tutti i professionisti dell’Archeoclub Italia di Alcamo, l’associazione Vivi il Bosco, Salviamo il Monte Bonifato e gli attivisti di Libera – Associazione, nomi e numeri contro le Mafie – insieme ai volontari di E!state Liberi che ogni anno coccolano l’area ripulendola da inevitabili incurie e radure. Grazie a loro cittadini e istituzioni locali possono ricordarsi della grandezza storica presente a due passi da casa ed ignota fino ad un paio di anni fa. Grazie a loro, forse, l’eterna eredità dei popoli passati verrà presa maggiormente in considerazione e diminuiranno gli incendi a volte scatenati per appagare l’effimero bisogno momentaneo dell’uomo.
Chi è Antonella Stellino?
«Sono laureata in archeologia e materie supplementari per l’insegnamento di discipline letterarie nelle scuole secondarie e presidente dell’Archeoclub d’Italia Calatub di Alcamo. Sono sposata da 15 anni con Diego e mamma di Simona e Valeria, gemelle di otto anni. Tante le mie passioni: la letteratura, la poesia, la storia, la natura e la mia terra, la Sicilia, in particolare Alcamo, dove vivo. Passioni trasformate in stile di vita.
Ho studiato all’Alma Mater Studiorum di Bologna, nella facoltà di Ravenna ma, terminati gli studi, il richiamo della mia regione è stato più forte ed è qui che ho deciso di restare, nonostante le difficoltà pirallendiane che mi avrebbero atteso. Da sempre forte senso del sacrificio, di responsabilità e impegno mi aiutano ogni giorno a rinnovare questo entusiasmo per vivere in questa terra bellissima».
Monte Bonifato e Alcamo. Ripercorriamo i passaggi che vi hanno permesso di riportare in vita la sua storia…
«Monte Bonifato, il monte di Alcamo, alto 826 metri sopra il livello del mare, si pone staccato ed isolato da altri monti, dominando sul mare a nord e le colline e pianure sugli altri punti cardinali. È posto al centro del Golfo di Castellammare e da un trentennio accoglie nella parte più alta la Riserva Naturale Orientata Bosco d’Alcamo.
Il suo ente gestore, invece, è la Provincia di Trapani. Alcuni anni fa la provincia ha pensato di realizzare un progetto per la valorizzazione della riserva. Qualche anno prima alcuni eruditi del posto vi avevano dedicato attenzione, ponendosi la domanda se questo luogo avesse o no una valenza storica e culturale. Da questi suggerimenti venne poi redatto un progetto nel 2006, approvato nel 2014 con il parere del Comune di Alcamo e della Soprintendenza dei BB.CC.AA. di Trapani. Da quel momento ho avuto l’incarico della direzione di questi scavi.
Il progetto è stato sostenuto da finanziamenti europei e portato avanti per tre mesi intensi, da settembre a dicembre 2014. Questa attività di scavo ha consentito di mettere in luce uno spaccato dell’antica città di Bonifato o quanto meno di mettere in evidenza le varie popolazioni che si sono succedute su questo monte nel corso dei secoli, da 3mila anni a questa parte.
C’erano dubbi sulle popolazioni affacciatesi per prime sul monte Bonifato e se ci fosse stata una continuità tra il villaggio iniziale e la successiva città. Alla luce degli scavi, possiamo dire che questo monte è stato abitato da sempre, come Erice, Segesta, Iato, Entella, solo per citarne alcune tra le più famose (conosciute soprattutto per il tempio ed il teatro a Segesta e il santuario di Venere Ericina appunto ad Erice). Ma anche sul Monte Bonifato si insediarono gli Elimi, come i centri suddetti.
Ci sono poi diverse ipotesi sulla provenienza degli Elimi. Alcuni li riconducono alla Liguria, quindi Genova o anche Livorno, insomma dalla costa del nord sul Tirreno. Altre interpretazioni attribuiscono la provenienza degli Elimi alla distruzione di Troia, quindi a profughi troiani. Questi profughi aristocratici rimasti senza dimora sarebbero andati alla ricerca di nuove terre su cui fondare le proprie città. Lo si evince da diversi storiografi, come Tucidide.
A mio avviso è questa l’interpretazione più plausibile anche se, in archeologia, ciò che affermi oggi, domani può essere smentito grazie a una scoperta che consente di riscrivere la storia. L’archeologia è una scienza molto dinamica. Pensiamo ad esempio che si serve di strumentazioni come il georadar, gps, ecc.. strumenti moderni per una ricerca sempre in continuo evolversi.
Abbracciando l’ipotesi degli Elimi: questi profughi troiani quando approdarono nelle coste della Sicilia occidentale fondarono anche altri centri cosiddetti ‘minori’ come può essere Bonifato. Ci sono però fonti lacunose, non sufficienti a ricostruire i passi storici, è così che l’intervento di scavi archeologici risulta necessario. Dal lavoro fatto presso il monte Bonifato sono emersi una mole significativa di reperti archeologici risalenti già al IX secolo a.C. e per quanto riguarda l’abitato posto in luce, per le sue strutture murarie, possiamo far risalire le attestazioni a un periodo successivo al X secolo d. C.
Monte Bonifato cessa di vivere definitivamente alla fine del XIV secolo. Le strutture murarie e architettoniche che si possono evidenziare sono nella fase islamica, araba, medievale; ci fu poi la fase normanna, sveva, etc… Tutto quanto emerso, rispecchia esattamente la presenza dei vari popoli che ci hanno dominato.
C’è solo un vuoto dal I a.C. al X d.C., durante il periodo romano, bizantino e oltre. In quel periodo, nei secoli della Pax Romana, non si sente più l’esigenza di stare nei monti ma si tende a scendere a valle: vi sono quindi dei vuoti della presenza romana sul monte. Si attesta invece, attraverso le fonti, la presenza a valle durante questo periodo.
È stata rinvenuta in quantità rilevante una mole significativa di materiale archeologico dal IX al III secolo a.C., sono state trovate tutte le ceramiche possibili che, nelle varie comparazioni, si riscontrano in tutta la Sicilia occidentale, del periodo elimo e protoelimo.
Gli stili della ceramica e i suoi motivi decorativi sono tipici di questa popolazione, quindi la presenza elima sul monte è un dato certo. Abbiamo trovato anche coppette greche con vernice nera di tipo attico, ceramica corinzia e ciò che conferma l’importazione e gli scambi commerciali con chi abitava a valle.
Questi scavi hanno consentito di aprire una finestra sul mondo, hanno acceso dei riflettori su un luogo prima d’ora mai preso in considerazione, nonostante la passione ed il fascino subìto da diverse persone del luogo così come, ad esempio, da università straniere, se non per qualche tentativo sporadico di volontari.
Il progetto portato avanti dagli Enti pubblici ha innescato un processo di sensibilizzazione e interesse riconosciuto anche dagli ambienti scientifici ed accademici. Spesso, gli eruditi del XVII e del XVIII secolo, non disponendo di dati archeologici, si sono basati solo sull’interpretazione delle fonti storiche riscontrando diverse imperfezioni riguardanti l’identificazione e l’identità dei popoli, soprattutto nel periodo antecedente alla fase araba. Non avendo mai fatto ricerche archeologiche sistematiche con finanziamenti, era facile compiere errori.
Bisogna ricordare che una ricerca archeologica, non è composta solo da un’azione di scavo ma è necessario compiere ricerche a monte: andando in archivio, studiando le fonti scritte, la toponomastica, le aerofotogrammetrie, etc… Si sovrappongono quindi i vari dati per arrivare a un unico risultato o comunque a cominciare a dare interpretazioni di studio utili alla comprensione di un luogo e non solo.
Riguardo gli insediamenti su Bonifato di epoca arcaica potremmo tenere in considerazione l’opera di Licofrone di Alessandria, uno studioso sconosciuto che sistemò la biblioteca di Alessandria nel III secolo a.C. Nei suoi studi accenna ad una città sconosciuta, Longuro. Gli esperti si sono sempre chiesti dove fosse: a mio parere si potrebbe trattare di un centro abitato elimo sul monte Bonifato. È un’ipotesi alla quale credo molto perché ad Alcamo esiste via Longuro mentre in altri paesi limitrofi no, così come in tutta la Sicilia. Inoltre, in una cartografia di De Ile, del 1714, si descrive il Golfo di Castellamare nominandolo Golfo di Longarico o Longuro.
Di certo sappiamo che ad Al Qamah (nome arabo di Alcamo), prima dell’arrivo degli Arabi in questo territorio, il villaggio esistente prendeva il nome di Longarico, il cui significato è Stazione Romana, citata già nell’Itinerario di Antonino Pio. Il nome Bonifato risale invece al periodo successivo a quello Elimo. Ovviamente sono ipotesi e soltanto ulteriori ricerche archeologiche sul campo potranno svelare e restituire altri dati alla storia».
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Cosa hanno risvegliato gli scavi condotti?
«Una coscienza e una consapevolezza che prima non si aveva del valore e dell’importanza del monte Bonifato in chiave di appartenenza ad un luogo storico considerevole. Fino a qualche decennio fa, quando ci chiedevano cosa avessimo, rispondevamo che non avevamo nulla. Questo risveglio culturale ci fa rendere conto di avere molto, non parlo solo di Monte Bonifato ma negli ultimi decenni c’è un risveglio culturale che ci sta facendo finalmente capire e vedere le tante bellezze e ricchezze che caratterizzano il territorio di Alcamo tout court.
Un paio d’anni prima degli scavi, settembre 2012, c’è stato un incendio di portata notevole sul monte Bonifato. In quel momento molti cittadini si sono attivati, sono stati piantati alberi e sono state realizzate manifestazioni anche di scolaresche contro gli incendi. Ci sono stati insomma momenti in cui gli alcamesi hanno alzato la testa e si sono resi conto dell’importanza di questo monte.
Per molto tempo monte Bonifato era un posto dimenticato. C’era solo l’abitudine di recarcisi per dei pic-nic o solo per l’8 settembre, ricorrenza annuale in onore della Madonna: in quanto in cima, adiacente a ciò che rimane del Castello dei Ventimiglia, gli Alcamesi devoti si recano in pellegrinaggio partendo dai piedi del monte fino alla chiesa della Madonna dell’Alto.
Questi incendi invece hanno risvegliato le coscienze. Si sono così attivati liberi cittadini, associazioni di volontari, ragazzi e scuole. Da lì a breve ci sono stati questi scavi. Con l’apertura dei sentieri archeologici e degli scavi ci si è chiesti anche come, chi arrivava da fuori, avrebbe potuto conosce e visitare il monte. Dovevamo dare la possibilità di far fruire le aree poste in luce e le cisterne restaurate in seno al medesimo progetto.
Quanto realizzato è stato ragionato dall’entusiasmo creato dalla squadra di lavoro. Ogni giorno tra noi aumentava questo senso della scoperta. Dal nulla, dalla sterpaglia, dallo stato di degrado, ogni giorno emergeva una pietra che ti parlava, che ti diceva qualcosa, che ti raccontava di persone che ci hanno preceduto lasciando delle tracce ben tangibili: da lì abbiamo capito che avremmo dovuto lasciare il meglio per gli altri, per chi negli anni sarebbe andato a visitare quel luogo.
Conoscendo la realtà attorno a noi, di scavi realizzati che nel giro di poco sono ricoperti ancora da sterpaglie e quindi dimenticati nuovamente dai cittadini, mi sono chiesta come sia possibile sensibilizzare la popolazione. Ho trovato la risposta andando a parlare ai ragazzi nelle scuole: conoscenza e legalità sono i cardini. Se restituisci la conoscenza di un luogo e il rispetto delle regole, non c’è bisogno di altro, il resto viene da sé. Se ti innamori di un luogo e lo vedi con altri occhi, difficilmente lo tratterai male».
Nella foto: Dott. Mario Cassarà, Antonella Stellino, Liborio Nigrelli, Giacomo Melia, Pietro Bommarito e Architetto Gaetano Ammoscato
L’inaugurazione del villaggio riemerso sotto al monte Bonifato ha incontrato diversi ostacoli…
«Come sempre ci si deve scontrare giornalmente con la burocrazia, di ogni ordine e grado. Non c’è ambito in cui la burocrazia non ti ostacoli. Certo, dietro ci sono sempre persone, occhi velati che non vedono più oltre la propria scrivania per diffidenza, scetticismo. Manca grinta, determinazione e convinzione dietro la scrivania. Questo, in qualche maniera, porta ad avvilirti.
“Perché lo fai? Ma a cosa serve? A cosa porta?”, in molti me l’hanno chiesto. “Perché perdere tempo?”.
Insomma, i primi ostacoli ci sono stati all’inizio all’apertura degli scavi in cui, probabilmente, provincia e progettisti responsabili, avevano paura che si sarebbe potuto rivelare un lavoro senza risultati. Uno scavo archeologico può ridare luce a monete, statue, grandi reperti come il nulla.
Ma se tu applichi le tecniche in maniera corretta, scientifica, anche il ‘nulla’ è un dato, hai modo di dire che in quel luogo non si è fondata una città e dai comunque delle notizie. Certo, trattandosi di un fondo pubblico c’era la preoccupazione di non trovare qualcosa e rischiare che gli investimenti fossero stati spesi in modo sbagliato. Sentivo il peso della responsabilità, mi arrivavano telefonate in cui mi dicevano:
“Scendi giù di un metro, tanto non trovi nulla”, altri mi dicevano “perché proprio lì, tanto non c’è nulla” o ancora, “chiudiamo lo scavo prima?”.
Abbiamo chiesto la fiducia e la possibilità di lavorare senza troppe pressioni esterne, i primi 15 giorni sono stati faticosi perché sentivamo addosso il peso della responsabilità. Per 3 mesi abbiamo utilizzato palette, scope e trowel (cazzuolina da archeologo ndr.), insomma attrezzi piccoli.
Dopo aver sistemato l’area e iniziato a scavare, sono comparse le prime pietre giustapposte fra loro e pian piano sono emerse delle strutture murarie ben definite, coperte non da terra ma da macerie. L’area, infatti, era una pietraia, distinguere le pietre di riporto, di scivolamento e di crollo, rispetto alle mura portanti e le cortine murarie non è stato un lavoro facile.
Molti colleghi non si auguravano nella loro carriera un lavoro del genere, cioè scavare sulle pietre: è molto facile sbagliare e, pertanto, è stato un lavoro molto minuzioso. Alla comparsa della prima cortina muraria finalmente l’entusiasmo da parte di tutti, compreso enti, istituzioni, burocrati, era un crescendo e ciò ci ha permesso di lavorare con il cuore pieno di speranza.
Il lavoro di squadra è stato intenso, andare d’accordo in un lavoro del genere è importante, così come è necessario che ci sia armonia e buon umore. Questo con tutte le condizioni atmosferiche possibili: da temperature “infernali” a temperature gelide, visto che abbiamo chiuso a dicembre, con grandine, pioggia, fulmini, tempeste, etc… ma abbiamo mantenuto il buon umore mostrandoci sempre all’altezza della situazione.
Tra l’altro abbiamo lavorato in una zona parafuoco, con scarsa concentrazione di alberi, sul costone est del monte ma, nonostante ciò, il 2014 è stato un anno particolare. Abbiamo portato avanti i lavori in condizioni davvero precarie. In quel periodo il pericolo caduta alberi era altissimo a causa del maltempo e non solo, perciò la Riserva di Monte Bonifato venne interdetta al pubblico, soltanto gli autorizzati come potevamo accedere all’area.
Finiti gli scavi, per tutto il 2015 a sostegno del valore di questi lavori e anche grazie alle coscienze svegliatesi in seguito all’incendio del 2012, si venne a creare una rete in sostegno del monte: Archeoclub, Libera, Salviamo il Monte Bonifato, Vivi il Bosco. Ci siamo uniti in molti e, a sostegno degli enti competenti, abbiamo dato una mano per risollevare la riserva, per quanto fosse possibile: per un anno intero sono stati messi in sicurezza diversi sentieri, in particolare quello archeologico.
Abbiamo vissuto anche momenti critici per la caduta degli alberi e cercavamo di monitorarli. Insomma non abbiamo potuto inaugurare l’area per un anno intero a causa di questi imprevisti dati dall’interdizione».
Si arriva così all’inaugurazione del 15 dicembre 2015…
«Sì, quel giorno abbiamo ottenuto la revoca di interdizione di alcuni sentieri, in particolare quelli dell’area archeologica. Altri invece sono rimasti interdetti fino a un paio di mesi fa perché richiedevano un’operazione più complessa».
Nella foto: Giacomo Melia, Davide Agnello, Antonella Stellino, Architetto Gaetano Ammoscato, Gaspare Di Giorgi (ditta Di.Bi.Ga. che si è aggiudicata la gara di appalto), Dott. Mario Cassarà, Pietro Bommarito
Nonostante tutto questo impegno Monte Bonifato è spesso soggetto a incendi e incurie…
«Quello che è stato fatto fino ad ora è solo la punta dell’iceberg. Lo dico sempre, questi scavi sono come un miracolo, sono stati inaspettati e hanno restituito la voglia di tanti di risalire sul monte, per poterlo conoscerlo e viverlo tra natura e archeologia.
Sul Monte Bonifato c’è una città sepolta. Oggi si ha questa consapevolezza, prima no: in ogni posto dove camminiamo, ci sono strutture architettoniche sotto i nostri piedi. Ai tempi, quello che oggi chiameremmo borgo, aveva tutte le fattezze di una città: comunicava e commerciava con le città limitrofe, raccoglieva tantissima acqua con buona organizzazione e una capacità ingegneristica non indifferente per la sua gestione.
Se Bonifato non avesse avuto una sorte diversa avremmo avuto una seconda Erice. Dobbiamo immaginarci la città di Bonifato seppellita, come una Erice archeologica, pertanto si auspica in una convinzione maggiore da parte degli Enti affinché Bonifato diventi un’area di scavo, di ricerca e di fruizione turistica degna di nota, come accade in centri come Mozia, Selinunte, Segesta, etc…».
Dal momento in cui gli scavi sono stati sollevati, le amministrazioni pubbliche hanno mostrato attenzione?
«Ci sono azioni che vanno programmate. Alcune a breve, altre a lunga scadenza. Bisogna avere la capacità, in generale, di guardare a lungo termine. Nella società liquida in cui viviamo, le situazioni a lungo termine non mettono paura ma necessitano di più energie. Insomma, vediamo interesse e apprezzamento per quanto presente ma è chiaro che ci siano altre emergenze da risolvere che assorbono e distraggono.
Ecco che avviene l’attesa senza una data di scadenza. Sono passati deputati, onorevoli, assessori che mostrano interesse ma è chiaro che solo questo non basta. Un’area di scavo, se non viene mantenuta con anche piccole azioni di manutenzione come la pulitura ordinaria dalle sterpaglie selvagge, nel giro di pochi mesi viene completamente ricoperta e buttata nel dimenticatoio.
Sono passati tre anni dagli scavi e due dall’inaugurazione. Se l’area di scavo, come pure le cisterne restaurate all’interno del medesimo progetto, non venissero pulite da associazioni di volontariato – l’Archeoclub così come Vivi il Bosco e i ragazzi di Libera – difficilmente sarebbe visibile e dunque fruibile. Cerchiamo di farlo con le nostre forze e le nostre risorse che sono prossime allo zero. Si creano così giornate di volontariato, dei momenti per attrarre l’area portando scolaresche etc. Restituendo entusiasmo, dai modo a chi vi partecipa di parlarne. I ragazzi e le scuole raccontano la loro esperienza alle famiglie e rimangono affascinati dalla bellezza di queste archeologie raggiungibili da percorsi naturalistici.
Nella foto: Di fronte agli scavi di Monte Bonifato, i ragazzi del campo di impegno e formazione 2016 ad Alcamo, sotto la guida del responsabile di presidio, Marcello Contello
Da non ultimo, l’avvicendarsi delle elezioni con i momenti di transizione, di cadute da parte delle amministrazioni o di cambiamenti che richiedono processi di attesa lunghe, sono causa del congelamento di azioni straordinarie. Si attende così il passaggio di chi dovrà prendere il timone e chiunque lo farà una volta insediatosi, prima di agire deve studiare quello che c’è attorno.
Spesso sembra il mito di Tantalo: nel momento in cui la situazione sembra sbloccarsi poi tutto deve ricominciare da capo. Così i progetti vengono messi nei cassetti e gli enti devono occuparsi necessariamente solo delle emergenze.
Da troppo tempo si ricade in un’atavica immobilità, sia a livello locale che nazionale. Prima però si pensava che non si potesse vivere di cultura ma guardiamo il nord Europa: su una pietra si costruiscono parchi e musei. In Sicilia, dove tutto ti parla, dove non serve mettere in piedi una pietra, non riusciamo a realizzare un sistema turistico… c’è più di qualche problema.
Le persone di buona volontà, alla fine, non cambieranno il mondo. Ognuno di noi, però, può dare l’esempio sperando che le generazioni future possano seguirci. Speriamo che chi ci osserva ne apprezzi l’impegno per poterlo seguire e fare meglio e forse qualcosa così la cambiamo veramente… stare a guardare e aspettare di certo non aiuta il cambiamento verso un’isola felice fatta di speranze, ottimismo e voglia di costruire e di essere partecipi della crescita di una società civile all’avanguardia».
Hai scritto un libro, La mia terra è il mare. Storia di Caterina, una donna di Sicilia…
«È un’allegoria. Caterina è una donna coraggiosa che ha amato fortemente. L’amore comporta impegno, dà gioie e dolori. C’è il momento frivolo e il momento in cui bisogna lottare per tenerlo stretto. È anche la storia di una moglie, di una madre e di una figlia, è una storia vera guardata con gli occhi di chi l’ha vissuta indirettamente. Da giovane donna osservavo questa persona che ha mantenuto la dignità e la testa alta davanti alle avversità della vita e non si è mai piegata, è stata sempre d’aiuto agli altri e non si è mai negata. È importante insegnare l’impegno e lo si insegna solo con l’esempio.
Attraverso la storia di questa donna si viaggia in un excursus dell’Italia contemporanea, dagli anni ’30 fino al 2000 circa. Si passa così dalla Seconda Guerra Mondiale al boom economico, alla modernizzazione. È quindi un viaggio nella storia dell’emancipazione femminile, dalla legge sull’aborto al divorzio. Caterina è stata pioniera in questi aspetti.
La terra di Caterina, inoltre, è il mare, lì dove suo figlio Salvo trovava contatto con Dio e con il padre, così come tutte le risposte che cercava sulla terra. Per noi isolani, il mare ha un significato profondo, quasi divino o spirituale come pure la terra. La terra e il mare per noi corrispondono a dei concetti analoghi alla casa, luogo di rifugio, di riparo e di manifestazione di se stessi».
Ti identifichi in Caterina?
«Non nella sua storia personale, perché la sua vita è stata segnata da momenti forti. Però, il suo io narrante è il mio, lì dove mi sono immedesimata nella sua storia. Togliendo le sue vicissitudini (rimane vedova a 28anni, a 40 suo figlio muore), il suo pensiero è simile al mio. Era una donna austera, non faceva emergere nessun pensiero però era molto severa anche a causa della vita che l’ha segnata. Quando aveva bisogno di aiuto, in realtà, era lei che aiutava. Nell’aiuto che lei dava in ogni bambino (era infermiera) vedeva suo figlio. La sua è una storia di generosità e di amore».
Anche tu, nel tuo percorso, ti sei sentita con i bastoni tra le ruote o qualcuno ti ha mostrato gelosia? Hai avuto momenti di sconforto?
«I momenti di sconforto ci sono e ci saranno. Ci sono momenti difficili in cui ti senti veramente sola. Però ho trovato molta consolazione nel volontariato. Quando attorno a te sembra che ci sia il nulla, trovi quel piccolo input dal quale poi riparte tutto. A volte mi sono sentita ‘yes man’, non per il fatto di dire sempre di sì, ma per l’essere trascinata dai buoni propositi delle persone che mi circondano. Ci sono momenti in cui fermi il mondo e hai bisogno di disintossicarti, di capire che direzione prendere. Quando poi durante il tuo percorso trovi persone che ti regalano un sorriso e un grazie, allora lì trovi la forza.
Ho visto, negli ultimi anni, che per avere dei nemici basta fare qualcosa. È sufficiente agire e ci saranno sempre persone che ti criticano o provano invidia. Chi fa, invece, non ha il tempo di criticare. In tutta questa esperienza ci sono state alcune persone che hanno remato contro. Dall’altra parte sono stata e sono circondata da persone serie che credono in me e hanno creduto in me, come ad esempio nell’Archeoclub, siamo come una famiglia. Spesso sacrifichiamo la famiglia e i nostri impegni personali per cercare di restituire qualcosa a questo luogo, anche rimettendoci di tasca nostra.
Ho anche consolazioni, dalla mia famiglia che mi incoraggia tantissimo e poi tante soddisfazioni, quelle delle mie figlie. A volte mi dicono “grazie mamma per quello che fai”. In quel momento magari sono distrutta in ogni senso e loro mi danno la forza di rialzarmi».
Vuoi fare un appello alla tua Regione Sicilia?
«È un momento delicato, a novembre ci saranno le elezioni. Quindi appello a quale Regione? Meglio farlo in generale, a enti e cittadini: di non smettere di credere e dare fiducia alle persone “giuste”. Da noi c’è un detto: “Piange il giusto per il peccatore”, a volte le cose buone non vengono fatte perché non affidate a chi di dovere o per paura che siano sempre le solite persone sbagliate.
È importante anche credere nella progettualità, orientarsi su dei progetti che diano uno spiraglio e una speranza a tutto il territorio. È necessario che si investa più sulla cultura e sul turismo anche in chiave europea. Spero che si dia un’apertura al mondo.
Pensiamo che nel 1500 Alcamo era un cantiere a cielo aperto. Sogno che torni questo fermento, che si rimettano in atto idee, progetti. Mi accorgo che le persone sono rassegnate, prima erano arrabbiate. La rassegnazione non ti dà neppure la forza di parlare perché non c’è l’allegria, si sta perdendo, mentre noi siamo un popolo allegro.
Se vuoi spegnere un popolo basta non dare opportunità di lavoro e risorse, così in poco tempo non potrà guardare il futuro con ottimismo. È come credere in un figlio: se ci credi, andrà lontano. La Regione, come ente, deve vedere il suo popolo come dei figli, non come nemici da tenere soggiogati».
Ci lasci la tua canzone preferita?
«Ne ho tantissime…. Scelgo I Giardini di Marzo di Lucio Battisti e A te di Jovanotti».