Da un anno a questa parte, più o meno dalla vittoria dell’israeliana Netta all’Eurovision Song Contest 2018, diverse personalità intellettuali si sono interrogate – e risposte – sul senso di organizzare a Tel Aviv, come da regolamento concordato dai Paesi partecipanti, la successiva edizione della competizione musicale, che prende il via questa sera, 14 maggio 2019.
Polemiche Eurovision 2019: il nocciolo della questione
L’Eurovision fu concepito, ed è impresso nell’immaginario popolare, come una manifestazione promotrice di inclusione, diversità, leggerezza, concordia fra nazioni: caratteristiche, queste, non proprio coerenti con le politiche occupazioniste anti-palestinesi che da decenni sono operate sistematicamente e impunemente dai governi d’Israele, e in più di un caso definite proprio “crimini contro l’umanità” dall’Alto Commissario ONU per i diritti umani (nel 2014 gli esempi più recenti).
Non è rimasto in silenzio Roger Waters, storico membro della band britannica Pink Floyd, che qualche giorno fa si era spinto a un appello in extremis affinché Madonna cancellasse la sua partecipazione come ospite della competizione: “If you believe in human rights, don’t play Tel Aviv” (“Se credi nei diritti umani, non esibirti a Tel Aviv”), chiedeva Waters alla celeberrima pop star americana in una lettera pubblicata sul Guardian mercoledì 17 aprile.
#MadonnaDontGo
A Waters hanno fatto seguito migliaia di tweet da tutto il mondo, ribadendo concetti analoghi con l’hashtag #MadonnaDontGo e video parodici sulla falsa riga del brano Papa Don’t Preach o, più seri, con montaggi di immagini tragiche sulle condizioni in cui versano gli abitanti della striscia di Gaza.
La cantante ha poi ufficialmente confermato la sua presenza in Israele, addirittura con l’esclusiva di un nuovo singolo.
Eurovision 2019: BBC contestata
Tuttavia questo non è stato l’unico episodio di pubblico dissenso. Lo scorso gennaio un gruppo di figure culturali britanniche, tra cui l’attrice Julie Christie, i registi Mike Leigh e Ken Loach, la stilista Vivienne Westwood e i musicisti Peter Gabriel, Wolf Alice e lo stesso Waters, avevano pubblicato sempre sul quotidiano Guardian un invito all’emittente televisiva BBC, a boicottare l’edizione 2019 di Eurovision se organizzata a Tel Aviv: “La BBC è tenuta dalla sua costituzione a sostenere la libertà d’espressione. Dovrebbe agire secondo i suoi principi e spingere affinché l’Eurovision Song Contest sia ricollocato in un Paese dove non siano commessi crimini contro quella libertà”.
Non dello stesso avviso si sono dimostrati Stephen Fry, Sharon Osbourne e Marina Abramovic e altri 100 firmatari del gruppo CCFP, Creative Community For Peace: “Crediamo che la corrente culturale di boicottaggio (ovvero BDS – Boycott, Disinvest, Sanction, il movimento di protesta economica non violenta contro l’occupazione israeliana ndr.) sia un affronto ai Palestinesi e agli Israeliani che stanno lavorando per promuovere la pace con compromesso, scambio e reciproco riconoscimento”.
Il musicista Brian Eno ha invece dichiarato il suo sostegno a Waters & co., scrivendo: “Non dev’essere concesso a Israele di usare la manifestazione come strumento di propaganda”.
La BBC dal canto suo ha preso posizione ribadendo l’impegno a trasmettere l’evento dai suoi canali: secondo l’emittente, la manifestazione non è un evento politico e non è appropriato utilizzare la partecipazione BBC per ragioni politiche, inoltre il Paese ospitante l’Eurovision deve essere deciso dalle regole del contest e non da un canale televisivo.
Pink Watching Israel, la campagna anti Eurovision 2019
Meritevole di attenzione è stata anche la campagna di boicottaggio dell’Eurovision 2019 lanciata da Pink Watching Israel, un movimento globale che si propone di monitorare il cosiddetto “pinkwashing” operato da Israele.
Gli attivisti di questa organizzazione ritengono infatti che il governo di Benjamin Netanyahu cerchi di trasformare la percezione pubblica di Israele da uno Stato promotore di Apartheid a una realtà inoffensiva, liberale, gay-friendly, giustapponendo questa falsa immagine al ritratto della società palestinese come arretrata, repressiva e intollerante.
A supporto della campagna anti-Eurovision a Tel Aviv, citano i massacri compiuti da cecchini e droni israeliani sui partecipanti palestinesi alla “Grande Marcia del Ritorno”, manifestazione di protesta cominciata a marzo 2018, e il comportamento della stessa Netta Barzilai a due giorni dalla sua vittoria alla scorsa edizione del contest: il 14 maggio 2018, proprio un anno fa, dopo un attacco particolarmente sanguinoso che uccise 62 Palestinesi nella striscia di Gaza, la cantante si trovava a un concerto di festeggiamento istituzionale e dichiarò: «Oggi abbiamo un motivo di essere felici!». Fu poi ribattezzata da Netanyahu in persona “la migliore ambasciatrice di Israele”.
Oggi è martedì 14 maggio 2019 e, nonostante il dissenso e i dibattiti di cui si è riferito solo un piccolo campione, stasera comincerà l’Eurovision Song Contest a Tel Aviv, come da copione. È abitudine di Sguardi non nascondere le proprie posizioni dietro un afinalistico super partes, soprattutto quando prendere tali posizioni può essere, goccia dopo goccia, catalizzatore di attenzione e cambiamento su tematiche che sono care allo spirito e importanti nelle intenzioni.
Chi scrive non comincerà certo ora a dissociarsi da tale politica: assumendosene la propria – piccola – responsabilità, e agendo esclusivamente a titolo personale, boicotterà l’Eurovision Song Contest 2019. Mahmood dovrà farcela con uno spettatore in meno.
There’s still time for @Madonna to #BoycottEurovision2019
— LDNPalestineAction (@LondonPalestine) 13 mai 2019
Watch “#MadonnaDontGo", our spoof of “Papa Don’t Preach” and tell Madge to respect the Palestinian calls for #BDS (Boycott Divestment & Sanctions)! #Eurovision #ESC2019 #DareToDream #Eurovision2019 @EBU_HQ pic.twitter.com/pKxW0YUHh0