Pregiudizi e stereotipi si formano da una logica diffusa basata su un rapporto triangolare di interazione tra cultura, biologia e psiche. Spunti di riflessione tratti dal convegno “Il diritto di essere se stessi – Scienza e legge contro l’omofobia” di giovedì 15 giugno ai Molini Marzoli di Busto Arsizio, organizzato da Arcigay Varese.
Quando si formano dei pregiudizi, alla base ci sono degli stereotipi. Gli stereotipi sono credenze che vengono alimentate sugli altri e possono essere di tre tipi: stereotipi che riguardano il genere, i ruoli familiari, oppure le funzioni all’interno di una famiglia.
Per fare degli esempi, gli stereotipi di genere potrebbero essere: le femmine devono indossare la gonna, le madri devono stirare, i figli devono ubbidire ai genitori. Credenze formulate tramite imperativi che vengono considerati come assodati e non vengono messi in dubbio.
Inoltre, gli stereotipi si basano su un meccanismo che divide l’io dall’altro. Per esempio, io sono cattolico, lui è ebreo. In sé la divisione può essere un dato di fatto, ma l’implicazione che deriva da questa divisione è connotata, “io sono cattolico e cattolico è meglio di ebreo”. Ecco come si forma un pregiudizio. E uno stereotipo è una generalizzazione del pregiudizio, tutti i cattolici sono meglio degli ebrei, quindi, se io sono cattolico, sono meglio di un ebreo.
La logica perversa del pregiudizio e quella dello stereotipo è purtroppo una logica diffusa ed è più difficile a livello cognitivo rimuovere questo tipo di logica rispetto a una che invece sostituisce la falsa credenza. Inoltre, è stato dimostrato che una conoscenza diretta aiuta a estirparli: se, per esempio, ho pregiudizi nei confronti degli extracomunitari, sarebbe meglio che io ne conoscessi uno prima di credere infondatamente che tutti siano ladri.
Se si prendesse come esempio l’eterosessualità, a nessuno verrebbe in mente di dire che questa non è “normale” perché essa è diffusa nella società: le donne stanno con gli uomini e gli uomini con le donne. Ma tutte le donne stanno con gli uomini? La realtà contraddice questa semplice evidenza.
Ci sono, come è saputo al giorno d’oggi, persone il cui orientamento sessuale varia e si definiscono omosessuali. I pregiudizi su di loro si manifestano anche a livello del linguaggio (“Finocchio, checca, ricchione”) e gli stereotipi che li riguardano: “Tutti i gay sono effeminati” sono delle forme di violenza sottile e simbolica che essi interiorizzano fino a convincersi della verità di questi insulti.
Il modo in cui interpretiamo i fatti (quindi la realtà) si basa su un rapporto triangolare di interazione tra cultura, biologia e psiche, forse è per questo motivo che quando si tenta di etichettare il diverso e definirlo secondo standard preesistenti, dunque pregiudizi, non si attua mai un’operazione neutra.
Se le parole fossero pietre e dire gay a qualcuno non fosse solo una parola, ma gli spezzasse un osso, se quell’osso poi venisse effettivamente spezzato sulla base di uno stereotipo, questo aiuterebbe a comprendere che la realtà è una questione di interpretazioni diverse fatte da persone che servono ideologie diverse? Ma soprattutto, farebbe capire a chi dice la parola e spezza l’osso che la sua libertà termina dove quella dell’altro viene meno?
Si è liberi di dire gay, o lesbica, o bisessuale, sia come insulto, sia come forma di rivendicazione per identificarsi, ma bisogna chiedersi se la lingua che si sta utilizzando è la lingua di qualcuno prefabbricata per farci credere di esser padroni delle parole che pronunciamo, oppure siamo schiavi di cose che comprenderemmo meglio chiedendo a qualcuno: “Cosa significa per te essere gay?”. Certo prima della domanda però bisogna prendere atto del fatto che alcuni individui parlano una lingua fatta d’odio.
Con loro solo la prevaricante legge può funzionare, anche se è sempre la legge fatta dagli altri, per tutelare alcuni. Se tutti tutelassimo noi stessi riflettendo sui pregiudizi che gli altri potrebbero avere su di noi, capiremmo che la nostra è una lingua intrisa di pregiudizi e di stereotipi e l’unico margine di libertà risiede forse nell’arrivare a capire che sono tali.
Di seguito, alcune slide proposte dalla psicologa psicoterapeuta Roberta Cacioppo, socia di “AltraPsicologia”, in occasione del convegno a Busto Arsizio.