L’ex colonnello Anwar Raslan e il suo presunto sottoposto Eyad-al-Gharib sono entrati oggi, giovedì 23 aprile, nell’aula di giustizia dell’Alta Corte Regionale di Koblenz, nel sud-ovest della Germania.
Arrestati in suolo tedesco nel febbraio 2019, i due hanno fatto parte dell’esercito siriano al comando del Presidente Bashar-al-Assad durante la guerra civile ancora in corso, e avevano defezionato in medias res, richiedendo asilo in Europa tra luglio 2014 e aprile 2018.
Il processo che ha inizio in data odierna costituisce una pietra miliare: è la prima istanza di procedimento per crimini di guerra e contro l’umanità a carico di alti ufficiali di Assad, il quale ha peraltro ripetutamente definito le prosecuzioni dei suoi uomini al di fuori della Siria “insignificanti”.
A Raslan, 57 anni, sono imputati stupro, violenza sessuale aggravata, tortura e 58 capi di omicidio, mentre Gharib, 42, risponderà di complicità in atti di tortura e 30 capi di omicidio. Nella dichiarazione con cui il Tribunale di Koblenz ha approvato le accuse del Procuratore Generale e rinviato a giudizio i due Siriani, si attribuisce all’ex colonnello una serie nutrita di atrocità perpetrate tra il 29 aprile 2011 e il 7 settembre 2012.
Esse sarebbero state compiute, soprattutto ai danni della popolazione civile, in un’unità speciale di intelligence a Damasco, dotata di annessa prigione, la “Branch 251”, in cui Raslan avrebbe torturato circa 4,000 persone e Gharib avrebbe contribuito agli arresti di oppositori politici del Presidente Assad e alla loro detenzione in condizioni igieniche, alimentari e sanitarie disumane. I prigionieri sarebbero stati ammassati in celle prive perfino dello spazio necessario a sdraiarsi.
«Dobbiamo essere in grado di dichiarare che così funzionava il sistema siriano, e dobbiamo prendere di mira questi altri pilastri di potere» ha detto Wolfgang Kaleck, del Centro Europeo per i Diritti Umani e Costituzionali, che rappresenterà le vittime al processo di Koblenz.
Secondo alcune agenzie di stampa tedesche, una volta in Germania l’ex colonnello si era spontaneamente recato in una stazione di polizia a denunciare il pedinamento ai suoi danni da parte di presunti agenti dell’intelligence siriano e russo, menzionando senza particolari remore il suo passato coinvolgimento in attività di repressione in Siria.
Tuttavia era stato arrestato solo nel febbraio 2019, dopo esser stato riconosciuto rocambolescamente per strada dall’avvocato attivista per i diritti umani Anwar al-Bunni, anch’egli rifugiato siriano sul territorio tedesco e prigioniero di Raslan per cinque anni. L’avvocato aveva poi raccolto testimonianze di altri rifugiati siriani passati per la famigerata Branch 251, e vittime di un «estensivo e sistematico attacco alla popolazione civile», come si legge nei protocolli d’accusa.
Anche Gharib si era dimostrato inquietantemente e prepotentemente “generoso” di dichiarazioni durante la sua richiesta d’asilo in Europa nel 2018, elargendo dettagliatamente la sua conoscenza delle tecniche di tortura utilizzate nelle prigioni di regime siriane.
Descrivendo impiccagioni parziali, elettroshock, metodi di tortura medievali, l’uso di bollitori per procurare ustioni o la frattura degli arti inferiori dei prigionieri per impedir loro di prendere parte a ulteriori manifestazioni, il sottufficiale aveva suscitato non pochi sospetti nelle forze dell’ordine tedesche, che l’avevano infine arrestato insieme a Raslan.
Il Syrian Justice and Accountability Center (Centro Siriano per la Giustizia e la Responsabilità) così commenta la prima Norimberga di questa “banalità del male” harendtiana, che sarà giudicata probabilmente nel corso di anni: «Un buon primo passo, un passo importante, ma non sarà sufficiente a colmare la pretesa di giustizia del popolo siriano.»
Considerato comunque un punto di svolta negli sforzi internazionali per far scontare ai responsabili gli abusi commessi nel conflitto, resta la preoccupazione che questo processo sia il primo di un’unica serie limitata, atta a lenire la coscienza d’Europa e a mascherare la realtà di corruzione e connivenza fra interessi delle potenze mondiali.
Da 9 anni esse infatti banchettano su una delle più gravi crisi umanitarie e di displacement a memoria d’uomo, mentre usano una posizione nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per impedire che il caso Siria sia riferito alla Corte Penale Internazionale (Russia e Cina), e ignorano gli aguzzini d’alto rango di Assad, criminali di guerra responsabili di massacri, torture e uso d’armi chimiche su civili, ancora comodamente al potere.
Ci sarebbe da sperare che il processo di Koblenz serva a risvegliare l’Europa e a farle riconquistare il suo ruolo di garante internazionale. «Il messaggio prioritario a tutti i membri del regime in Siria e in tutto il mondo è che non potranno stare tranquilli. Se sono coinvolti in serie violazioni dei diritti umani, potranno essere chiamati a risponderne» ha detto Stefanie Bock, direttrice dell’International Research and Documentation Center for War Crimes Trials (Centro Internazionale di Ricerca e Documentazione per i Processi per Crimini di Guerra) all’Università di Marburg in Germania.
Norimberga 2.0, appunto. E oltre.
Fonti: Al Jazeera, The Guardian, The New York Times.