Sono le 4:15 del mattino del 10 gennaio. Mentre il Paese è vessato da ridicoli bracci di ferro con l’Europa sulla distribuzione di 49 rifugiati sbarcati dalla Sea Watch dopo 20 giorni di deriva, e mentre si riflette su che cosa significhi per uno Stato civile che un membro della pubblica amministrazione di un capoluogo si vanti di aver gettato via le coperte di un senzatetto straniero prima di una notte d’inverno, il sindaco di Torre Melissa (KR) è svegliato di soprassalto da un pescatore suo concittadino.
Sono le 4:15 del mattino del 10 gennaio, e a Gino Murgi viene riferito che un’imbarcazione a vela con a bordo un numero consistente di uomini, donne e bambini anche piccolissimi si è incagliata sugli scogli a pochi metri dalla spiaggia, e che le urla e le richieste d’aiuto si sentono fin dentro il paese. Il sindaco non perde tempo. A lui e alla quasi completa cittadinanza di Melissa non importa che il Ministro dell’Interno abbia chiuso i porti per «proteggere gli italiani»: si fiondano insieme in acqua, formano una catena umana, e abbracciando letteralmente uno ad uno i 51 naufraghi li traggono in salvo a riva, li scaldano come possono e offrono loro rifugio.
Cesare Beccaria e la libertà degli esseri umani
È verosimile immaginare che nessuno dei cittadini prodigatisi abbia pensato allo status politico di chi si trovava davanti (si sarebbe poi scoperto fossero rifugiati curdi, uno già disperso in mare): che si trattasse di esseri umani era motivazione sufficiente a considerarne la vita meritevole d’esser salvata, porti chiusi o aperti. “Non vi è libertà ogni qualvolta le leggi permettono che, in alcuni eventi, l’uomo cessi di essere persona e diventi cosa”, scriveva Cesare Beccaria ne Dei Delitti e delle Pene.
Un concetto elementare per qualcuno, apparentemente non per tutti, certamente per la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che così recita all’Articolo 3: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona”.
“Tutto ciò che è umano mi riguarda”, diceva Terenzio
C’è da chiedersi che cosa significhi, nel 2019, essere “umani”, o perlomeno quale ne sia la percezione. Era chiaro a Terenzio quando duemila anni fa il Cremete del suo Heautontimoroumenos diceva «Homo sum: humani nihil a me alienum puto», “sono un uomo: tutto ciò che è umano mi riguarda”; ne aveva un’idea precisa quasi due lustri orsono Vittorio Arrigoni mentre ammoniva da Gaza «Restiamo umani!».
La cittadinanza di Torre Melissa nel crotonese, ora membro onorario di ReCoSol , Rete dei Comuni Solidali, nel momento del bisogno pure non è sembrato avesse dubbi.
Siamo #umani, ci ricorda Medici Senza Frontiere Italia
Nel maggio dello scorso anno Medici Senza Frontiere Italia ha dato il via a un’interessante campagna digitale, #Umani. Si proponeva con essa di dimostrare la comunanza di emozioni provate da tutte le persone nel mondo, siano esse individui in situazioni di grave avversità, operatori e cooperanti o gli stessi visitatori della pagina, tramite un piccolo gioco: se io sono in grado di provare rabbia, paura, gioia, speranza e dolore in percentuali sovrapponibili a quelle di Mohamed che vive in Libano, in condizioni estremamente differenti per background, cultura, tessuto sociale, la nostra condivisa identità umana non è forse deduzione ovvia?
La ONG inoltre bandiva una call for artists, disegnatori, scrittori e illustratori, che realizzassero stampe per t-shirt con a tema l’essenza dell’azione umanitaria per MSF, ovvero che “esiste un solo aiuto, quello che non fa differenze”. Personalità del calibro di Stefano Benni, Mauro Biani, Erri De Luca, Silvia Di Natale, Carlo Lucarelli, Evelina Santangelo vi hanno partecipato, e le bellissime magliette risultanti sono ora in vendita presso Worth Wearing.
Allora “Diamoci del Noi”
Più recentemente, gli youtuber Sofia Viscardi e Alessandro Tenace si sono aggiunti a #Umani con l’iniziativa Diamoci del “Noi”, nella quale, chiedendo a un gruppo eterogeneo di individui una preferenza su chi aiutare fra le persone di fronte a loro, quindi di compiere una scelta discriminante per definizione, si ribalta il concetto di “plurale” e si giunge alla riscoperta del senso autentico del gesto, appunto, umanitario, che discriminante per definizione NON è.
L’anno prima di essere uccisa in un attentato di matrice neo-nazista, la parlamentare laburista britannica Jo Cox nel suo discorso di insediamento alla Camera espresse ciò che a chi scrive appare come sintesi perfetta della condizione umana: «Mentre celebriamo le nostre differenze, ciò che mi sorprende ogni volta […] è che siamo molto più uniti e abbiamo molto più in comune tra di noi di quanto ci divida».
Umano è “tutto l’altro”, Mettiamocelo in testa
Ebbene, Sguardi di Confine per missione editoriale indaga, evidenzia, esplora le differenze, le sfumature e ciò che è in ogni modo “altro da”: forse nel 2019 è ora che umano sia finalmente riconosciuto come tutto l’altro, non appiattito in un’unica categoria scialba, ma esaltato dalla basilare quanto poco scontata consapevolezza che hanno avuto i pescatori di Torre Melissa alle 4:15 di un mattino di gennaio; consapevolezza intellettuale ed ideale, ma soprattutto biologicamente vera, che esiste un solo genere umano, e che esso ha e avrà sempre più in comune. #mettiamocelointesta.