Joshua e la rinascita dopo il coming out: «Ora sono più sereno»

Fino a 24 anni è stato nell’armadio, come si usa dire nel gergo LGBTI. Le storie d’amore con ragazze, le frasi non dette, lo sfogo sul lavoro. Poi, tutto è iniziato a diventare pesante, pietra su pietra scagliata contro la sua stessa vita.

Ed è così che Joshua, passo dopo passo, è riuscito a fare coming out a settembre 2018. Da quel momento è entrato anche a far parte del Diversity Team di Vector, l’azienda dove collabora e grazie alla quale l’abbiamo intervistato.

Ora la sua vita è cambiata. Joshua oggi è più leggero, solare e sorridente. Joshua oggi racconta al mondo chi è, non per mettersi in mostra certo, ma per condividere con gli altri la sua storia affinché possa essere di positivo esempio per chi, come lui, sta facendo lo stesso percorso e ancora ha paura a dichiarare la propria omosessualità.

Chi è Joshua?

«Joshua nasce a Natale del 1994. È un bambino che si è sempre distinto dagli altri perché non ha mai amato cartoni e giocattoli. Ha passato l’infanzia circondato da enciclopedie, documentari e cartoni sarcastici che vedeva di nascosto…

Alle medie subisce qualche episodio di bullismo che comunque non lo tocca profondamente mentre alle superiori la situazione si ribalta, lì trova un ambiente molto più accogliente. Stringe così molte più amicizie e diventa molto popolare. Ha una vita segnata da voti alti… il solito secchione e l’anima della festa.

Dopo le superiori (la ragioneria a indirizzo linguistico) decide di buttarsi nel mondo del lavoro e trova così il suo posto in Vector, dove aveva fatto l’alternanza scuola-lavoro durante le superiori. Il filone relativo alla produttività resta alto, come il suo impegno scolastico. Sono passati quindi 5 anni di crescita professionale rapida e piena di soddisfazione. Questo fino all’adesione al Diversity Group che è susseguito al mio coming out pubblico di settembre 2018».

Allora facciamo un passo indietro. Mi hai detto di aver subito bullismo alle medie…

«Sì, ho subito atti di bullismo che non mi hanno toccato profondamente grazie a una mia predisposizione caratteriale. Sono una persona che non si fa prendere facilmente da eventi esterni. Non ho mai permesso a nessuno di interferire sul mio percorso.

Comunque sono stato bullizzato per tutti e 3 gli anni delle medie. Pensa che non mi hanno toccato molto perché li consideravo meno maturi di me. In ogni caso si è trattato sempre di battute, nomignoli, urla riferite all’omosessualità. Mai aggressioni fisiche. Ma non mi offendevano. Andavo avanti e basta».

Poi alle superiori hai trovato un ambiente più sereno…

«Sì, ho trovato un ambiente che ha favorito lo sviluppo della mia personalità serenamente. Di certo la questione è dettata anche dal fatto che sono passato dalla realtà “paesana” delle medie, a quella più aperta della città sede delle superiori (Busto Arsizio ndr.).

Insomma, in quegli anni sono sempre stato il secchione della classe e pure l’anima della festa. Ero attivo in tanti ambiti, grazie anche alle offerte extra curricolari proposte dalla scuola stessa. Sono stati 5 anni molto belli».

Prima del coming out arriva la tua consapevolezza dell’omosessualità. Com’è stato questo percorso?

«Partiamo da un presupposto: penso che l’orientamento omosessuale sia dentro di noi dalla nascita e che abbia tante sfumature. Già all’asilo tendevo a cercare i maschietti, non le bimbe. Poi, probabilmente, vivendo in quel clima chiuso e ostile delle medie, sono stato influenzato. Durante le superiori uscivo con molti amici eterosessuali. Insomma, è stato un bel periodo ma di repressione dal punto di vista sessuale. E così ho avuto storie con delle ragazze e basta.

Da questo ho capito una cosa: puoi testare te stesso per capire fino a dove puoi arrivare con la tua bugia e per capire fino a che punto puoi fingere di fronte agli altri. Dopo anni, poi, sono riuscito a cambiare rotta e ho lasciato la ragazza con la quale ero fidanzato. Questo proprio perché stavo mentendo a me stesso e perché comunque quello che stavo vivendo, ovviamente, non era amore.

L’amore è composto dalla sfera emotiva, sentimentale e sessuale. Quest’ultima parte per me era un obbligo. E così ho lasciato la mia ragazza. In quel momento – guarda caso – mi sono trovato circondato solo da amici omosessuali. Dopo un paio di mesi mi sentivo finalmente pronto al passo ma la mia migliore amica mi ha preso alla sprovvista: senza che io le dicessi nulla mi ha detto di smetterla di mentire, mi ha detto che era ora che dicessi a tutti che ero omosessuale. Ecco, questa sua richiesta ha generato l’effetto contrario. Invece di aiutarmi a uscire dall’armadio… ho messo il lucchetto. Così sono trascorsi altri due anni e mezzo della mia vita senza fare nulla a parte buttarmi sul lavoro.

Per quanto riguarda la mia piena consapevolezza, invece, ci ho fatto a botte. Ci sono stati momenti in cui ho pensato potesse essere una perversione, altri in cui credevo si trattasse di un periodo passeggero oppure che avrei trovato una donna e composto una famiglia “normale”, o ancora che si trattasse solo di un pensiero senza un riscontro reale.

Insomma, avendo questi pensieri, lavoravo e basta e uscivo solo nel weekend con le mie amiche. La piena consapevolezza di dover fare coming out, senza queste idee negative, è arrivata dopo un capodanno. Sono tornato prima dei miei amici: un viaggio da solo per due ore e mezzo di treno. Così ho deciso di leggere un libro: ho aperto play store e ho guardato le copertine dei libri senza leggere la trama. Ho scelto “Chiamami col tuo nome”… il libro mi ha chiamato e l’ho finito in quelle due ore di viaggio. Al termine della lettura mi sono chiesto: “Ma cosa sto facendo? Cosa sto perdendo dalla mia vita?”.

Da quel giorno sono passati mesi. Ma in quel periodo, tutto ciò che non mi aveva mai pesato è iniziato a diventare come delle pietre: l’amica che ti fa la battutina, il commento che senti passando in un posto, frecciatine varie. Sentivo tutto come pietre addosso. Ho iniziato a reprimere. Non mangiavo e non dormivo. Insomma, non mi sentivo di soffrire ma avevo perso l’appetito e il sonno.

Poi, il 23 settembre 2018, al battesimo della figlia di una carissima amica, vedendo lei ho rivisto mia madre: ho pensato che lei, da mamma, amerebbe comunque la figlia se fosse omosessuale. Così ho pensato a mia madre e me da piccolo con lei. Pensa che proprio la sera prima del battesimo sentivo l’estrema esigenza di passare del tempo con la mia migliore amica senza sapere perché. Arrivato da lei, dalle sue parole avevo capito che mi stava dicendo, indirettamente: “Fai coming out, è il momento”. Così alle 9 di sera del giorno dopo, finito il battesimo, sono andato dai miei genitori per fare coming out: “Vi devo dire una cosa” sono state le mie parole.

Ecco, mi aspettavo due reazioni inverse. Pensavo che mio padre l’avesse presa male, mia madre no. Mio padre invece si è limitato a un: “Che peccato, con tutte le amiche belle che hai”… e appunto, ho solo amiche (ride ndr.). D’altra parte, mia mamma l’ha presa leggermente peggio. Lei è quella che mi ha vissuto di più rispetto agli altri e, probabilmente, l’aveva capito da sempre. Mi ha detto che i miei comportamenti, nel tempo, l’hanno sviata e non ci pensava più. Ma si è trattato solo di quel momento di “spaesamento”. Ora vive serenamene la questione e ci scherziamo su.

Per il mio coming out penso che mi abbia aiutato tantissimo una delle mie più grandi qualità: parto sempre dalle cose più difficili. Invece di fare la scalata ho fatto la discesa. Dopo averlo detto ai miei, l’ho detto a chiunque. Non mi è mai interessato di esporlo pubblicamente. Lo faccio solo se può essere d’aiuto a qualcuno. Altrimenti non metto manifesti. Io sono io, ho la mia personalità. E sono anche omosessuale. Ma non sono prima di tutto questo».

Da lì, anche in Vector hai fatto coming out?

«Sì, in realtà solo con i colleghi amici ma la notizia chiaramente poi si è diffusa. Qualche mese dopo ho deciso di far parte del Diversity Team. Questo è stata una delle conseguenze del coming out, conseguenze che non avevo neppure pensato. Insomma, ho mentito al mondo per 24 anni della mia vita. Poi è cambiato tutto».

Com’è cambiata poi la tua vita?

«Beh, la visione della mia vita è cambiata totalmente. Mi sono ritrovato con una libertà da tenere “a freno”. Con una visione diametralmente opposta a prima».

Chi era Joshua prima del coming out e chi è Joshua ora?

«Prima era l’anima della festa ma anche più casalingo. Non coltivavo i rapporti in maniera totalizzante. Ma mi ricordo ben poco del me di prima. Oggi ho più fiducia nell’umanità. Prima avevo una visione pessimistica della vita, ora mi fido molto di più delle persone. Questo anche perché le persone con le quali mi sono dichiarato non si sono messe a parlarmi alle spalle e farmi outing ma mi hanno rispettato.

I rapporti con le persone con le quali sono sempre stato legato sono migliorati e sono più forti. Sono più sorridente, più solare e sono pure dimagrito. Insomma ho tolto il peso mentale… e di conseguenza anche il peso fisico. In molti mi dicono che ho un viso diverso, più bello. Sono molto più tranquillo e sereno, soprattutto dal punto di vista relazionale.

Altra conseguenza del coming out, è stato l’iniziare a mettere insieme i pezzi del puzzle. Ho capito che tanti amici, già in precedenza, avevano interiorizzato e compreso la mia omosessualità. Questo perché, probabilmente, anche io davo messaggi non verbali a riguardo, senza rendermene conto. Proprio per questo, dopo il coming out, ho iniziato a interessarmi anche alle connessioni tra le persone, all’universo, all’astrologia. Sono una persona razionale, non credo in nulla. Ma tutto ciò che mi ha portato al mio coming out mi ha fatto riflettere anche attorno a questi temi

In definitiva, sono una persona più tranquilla, più serena, consapevole di se stessa, più buona e più consapevole di una legge dell’universo che si chiama Karma. Sono una persona più soddisfatta sotto tutti i punti di vista che ha fatto un rapido salto di maturità. In questi mesi ci sono stati miliardi di cambiamenti nella mia testa e nella mia persona. Sono una persona più stabile e più lineare. Ancor più con i piedi puntati a terra ma anche più empatica e predisposta ad ascoltare e aiutare il prossimo».

Parliamo delle tue relazioni dopo il coming out…

«Dopo il coming out mi sono iscritto a un paio di app per incontri, Grinr e Tinder. Mi sono scontrato con una realtà che non pensavo fosse così. Fino a che non fai ingresso nel “tuo” mondo lo vedi da fuori, come una realtà lontana e ti carichi di tutti i pregiudizi che si conseguono. Come il pensare di trovare persone “più sensibili”. Ecco, dalle app ho trovato tutt’altro. Avevo 23 anni e non avevo mai avuto un rapporto con un ragazzo. Insomma, ero come un ragazzino delle medie alle sue prime avventure.

Da allora ho avuto prevalentemente avventure. Questo mi ha aiutato ad aprire la mia visione della vita ancora di più e a capire che non sempre c’è grande trasparenza e correttezza. Insomma, le mie prime esperienze sono state deludenti e non andavano oltre il rapporto fisico. Poi mi sono arreso alle circostanze, alla realtà di quel mondo e mi sono detto: “Se deve arrivare arriva, non ha senso sbatterci la testa”. Questo anche perché ho sempre pensato di non aver bisogno di una metà, vedo la relazione come due persone che camminano insieme, non come di due metà che formano un’unità.

Così, proprio così è arrivato in modo del tutto naturale un incontro dal quale è nata un’amicizia, poi diventata una frequentazione, fino al rendersi conto di voler stare insieme. Insomma, attualmente non sono single. Faccio fatica a usare etichette perché non mi piacciono. Ma i fatti sono questi: ho un partner».

Com’è vivere in un’azienda come Vector attenta alle tematiche dell’inclusività?

«Diciamo che di quanto sia importante me ne sono accorto parlando con amici che vivono in realtà aziendali completamente diverse. Ti accorgi di questa immensa fortuna con questi confronti. Questo è uno dei motivi che mi ha spinto a far parte del Diversity Team. Tanti amici mi dicono che al lavoro non sono liberi di parlare della propria vita, di condividere con i colleghi, come tutti, la loro quotidianità all’esterno delle mura aziendali. Ecco, loro mi hanno colpito e ho preso a cuore la questione. Insomma, davo per scontato il parlare in modo trasparente della mia sessualità con i miei colleghi, fino a quando un amico mi ha detto: “Ma sei fuori? Secondo te io potrei mai fare coming out a lavoro?”. Ecco, loro mi hanno aperto gli occhi».

Per quanto riguarda l’ambiente LGBTI, vuoi dirmi le tue considerazioni?

«Sì, secondo me c’è omofobia interiorizzata pure in questo ambiente. Trovo in alcuni casi discriminazioni e guerre a vicenda. Questo perché alcuni non capiscono di fare parte di una comunità discriminata da secoli e che ha bisogno di alcuni diritti: nel momento in cui non si è uniti non si raggiungeranno mai».

Qual è la tua canzone preferita?

«La mia canzone preferita, in assoluto, è One plus One di Beyoncé. Poi ovviamente citerei anche l’inno LGBT, Vogue di Madonna. E poi, una canzone che associo alla mia vita appena dopo il coming out: Fast Love di George Michael».

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