Arrivammo ad Abianeh con una pioggia fredda e sottile. Il villaggio pareva quasi irreale nel suo silenzio umido, nel rumore ovattato delle gocce del cielo, nelle lucide strade di terra battuta e piastrelle. Abianeh sembrava crearsi d’improvviso, tra i monti del distretto di Bazrud, con la stessa sveltezza con cui le mani esperte di un vasaio danno forma alla creta che gira sul tornio.
Era novembre ma c’era caldo in città. Eppure l’aria pungente che ci accolse nel villaggio faceva già pensare all’inverno. Le finestre delle case erano serrate, le porte chiuse. Solo gli intarsi minuziosi dell’architettura tradizionale facevano immaginare degli occhi tra quelle fessure, dei volti sfuggenti e delle figure inafferrabili dietro ai muri di fango e mattoni.
D’improvviso, uno schioccare di zoccoli, uno strusciare di pezze, uno stampare di piedi sui ciottoli fradici. Era una donna, con un ampio velo pesante e bianco, puntellato di fiori rosati. Camminava piano lungo la stradina abbarbicata sul monte. Si tirava dietro un asinello grigio e piccino, caricato di borse e di stoffe. Le creature che vidi ad Abianeh furono come loro, visioni subitanee e lente.
Due vecchine vestite di nero comparvero presto, leggere come ombre. Le loro gonne erano ampie, scure e rigonfie, sparpagliate sui gradini di pietra su cui sedevano. La loro pelle era aranciata dal sole, i loro occhi olivastri e grandi, le loro voci stridenti e roche come quelle di chi parla poco, o forse mai.
Mi apparve così Abianeh, in quel pomeriggio d’autunno: raccolta e laconica come le ragazze che hanno appena pianto e sanno già sorridere, come gli amori che rischiano di perdersi se non si fa qualcosa.
Le porte ad Abianeh erano di legno, lucide e pesanti, quasi a nascondere dietro di sé un segreto ingombrante ed antico. Mi piacque il desiderio inesaudito di oltrepassare una di quelle porte e scoprire la vita all’interno delle case color ocra, brillanti e scivolose per la pioggerella rapida in cui ci eravamo imbattuti.
In tutto il villaggio, le porte avevano due battenti: uno per le donne, uno per gli uomini. La loro diversa forma produceva un suono peculiare. in tal modo, l’orecchio del padrone di casa poteva distinguere il genere del visitatore sconosciuto. Forse che bussando qualcuno avrebbe…?
Ma no, Abianeh mi incantò così, ermetica e scorbutica come la vidi. Abbracciata a montagne impervie e alberate di alberi rossi e marroni, incastonata in un fianco di roccia, schiva e scontrosa. Eppure, così innocente e bisognosa di essere amata, come tutte le persone imbronciate che si dicono felici anche senza nessuno.