Il Perù è il secondo Paese dell’America Latina per casi violenza sessuale, 3 volte su 4 perpetuati a danni di minori. Lima, la capitale, è stata definita nel 2017 da Thomson Reuters Foundation la 5a città più pericolosa al mondo per le donne.
Ma un segno di speranza arriva grazie al Cesvi. La fondazione italiana (di origini bergamasche) è infatti presente anche in questo Paese dal 2004 con lo scopo di portare speranza e futuro a bambini e adolescenti a rischio di sfruttamento sessuale (o già vittime di abuso).
Questo avviene grazie al progetto “Casa del Sorriso”, che coniuga assistenza legale, servizi sanitari e di supporto psicologico a proposte di reinserimento scolastico e lavorativo a seconda dell’età e ricongiungimenti protetti all’interno delle famiglie di origine.
Così, abbiamo chiesto a Lilian Meza Camac, psicologa nel Centro statale di Assistenza Residenziale Vidas di Lima (uno dei centri statali in cui vengono accolte le ragazze vittime di violenza fino alla maggiore età) di aiutarci a contestualizzare meglio la problematica.
E poi abbiamo chiacchierato con Paulina, madre di due bambine e vittima di abusi già all’età di 8 anni che oggi vive serenamente anche grazie al progetto Casa del Sorriso di Cesvi.
Foto e contributi dal campo di Valentina Prati
Dottoressa Camac, dove avvengono gli abusi?
«L’abuso avviene soprattutto in famiglia da parte di un patrigno, di uno zio, di un padre o di un cugino che, avendo libero accesso alla casa, è in grado di controllare con più facilità le proprie vittime. Queste sono per lo più bambine o adolescenti trascurate, che passano molto tempo in strada o che hanno un brutto rapporto con la madre: sono ragazze che cercano affetto, e che per ottenerlo si lasciano inconsapevolmente manipolare da chi conosce le loro debolezze e la loro ignoranza in termini di educazione sessuale».
Quali conseguenze vivono le ragazze vittime di abuso?
«Non si sentono più a proprio agio con il loro corpo, lo incolpano di aver provocato l’abuso. Presentano quasi tutte immaturità e ritardi emotivi; cresciute da genitori assenti o autoritari, non hanno avuto modo di interiorizzare valori etici o morali. Quando restano incinte, cercano di abortire ma nella maggior parte dei casi il bambino nasce lo stesso e, quando questo avviene, il processo di rifiuto si trasferisce dal feto al bambino, che viene quindi a sua volta maltrattato o trascurato».
Le ragazze che diventano madri a seguito di un abuso non hanno un modello di genitorialità positiva a cui fare riferimento. In genere pensano che l’uso della violenza sia un metodo corretto per crescere un bambino, perché così è stato fatto con loro. Gli educatori di Cesvi insegnano invece a interpretare correttamente gli eventi appartenenti al passato, a riconoscere le emozioni che questi suscitano e a impiegare metodi educativi corretti con i figli, creando nuove conoscenze in grado di rompere il circolo vizioso che fa sì che l’abuso e la violenza si tramandino di generazione in generazione.
La testimonianza diretta di Paulina, oggi madre di due bambine e vittima di abusi già all’età di 8 anni per opera dello zio che viveva in casa, è un segno che dare una nuova direzione alla propria vita, anche con un pregresso così difficile, è veramente possibile. Nell’ambito del progetto Casa del Sorriso, Cesvi le ha garantito, oltre a sostegno psicologico e affiancamento nell’individuazione dei propri obiettivi di vita, una borsa di studio per il primo anno del corso di fisioterapia e un contributo economico per sistemare il piccolo carrello di alluminio con cui si guadagna da vivere.
Paulina, che cosa rappresenta per te l’opportunità della borsa di studio?
«Ho sempre voluto studiare, ma mi ero rassegnata a farlo una volta che le bambine fossero state grandi perché sarebbe stato veramente troppo pesante occuparmi di loro, del nostro sostentamento e della scuola. L’opportunità però mi si è presentata ora, e non ho voluto lasciarla scappare».
Ci racconti la tua giornata tipo?
«Mi sveglio alle 5 per preparare da mangiare per la famiglia. Affido la figlia più piccola a mia suocera e porto invece quella più grande a scuola (n.d.r.: nata in seguito agli abusi subiti, questa presenta un lieve ritardo che rende necessaria la frequentazione di una scuola per bambini con bisogni speciali).
Da lì raggiungo la scuola di fisioterapia, al termine della quale torno a recuperare le bimbe con le quali vado a fare la spesa per il giorno dopo. La sera spingo il carretto in strada (il mio sogno di quando ero bambina, una piccola attività che mi garantisce l’autonomia economica) e inizio a vendere pollo fritto alla gente di passaggio, mentre le bambine stanno con la nonna».
Cosa cerchi di insegnare alle tue figlie?
«La mia vita è molto faticosa, non lo nego; ma mi impegno affinché le mie figlie abbiano delle chance in più rispetto a quelle che ho avuto io. Vorrei che studiassero e diventassero delle professioniste stimate, e per ora l’unico modo in cui posso aiutarle è impegnarmi a fondo ed essere un buon esempio».
Gli educatori di Cesvi ti stanno aiutando a crescere, come donna e come madre. Cosa vorresti migliorare di te stessa?
«Vorrei essere meno ansiosa e nervosa, e più serena nella mia vita quotidiana. E vorrei riuscire ad essere meglio disposta verso la mia famiglia, perché parlare con loro mi riporta alla mente quello che mi è successo. Tuttavia so che mia madre mi vuole bene, e che anche per lei è stato difficile affrontare quello che suo fratello mi ha fatto, quindi mi sono riproposta di provare a sentirla più spesso».