Inclusione Donna: più di 40mila unite per occupazione e rappresentanza

Oltre 60 associazioni e decine di migliaia di donne si riconoscono oggi in Italia in #InclusioneDonna. Un’iniziativa spontanea, nata a marzo 2018, con un unico scopo: raccogliere la voce delle donne.

«La logica che sta dietro questo “hashtag” – spiegano le referenti Carolina Gianardi (nella foto) e Sila Mochi – è stata quella di individuare una visione comune tra gli obiettivi di tutte le entità aderenti, e costruire un programma di azione all’interno del quale le stesse possano riconoscersi ed eventualmente inserire le proprie iniziative future per vederle rafforzate».

Così #InclusioneDonna oggi raggiunge associazioni da ogni parte d’Italia, alcune a carattere nazionale, altre locali e non tutte solo femminili. La loro missione, «dopo mesi di intenso dibattito ed entusiasmante coinvolgimento da parte delle firmatarie», è stata individuata nel perseguire e sostenere in maniera unitaria gli obiettivi di occupazione femminile e rappresentanza, delineati nel programma sottoscritto da tutte le associazioni aderenti.

Oggi #InclusioneDonna vuole offrire alle Istituzioni un interlocutore rappresentativo per le decisioni in materia di politiche di genere, in particolare quelle rivolte a favorire le politiche occupazionali delle donne e l’aumento della rappresentanza di genere in qualsiasi ambito decisionale. Il tutto in favore dell’ottenimento di modelli sociali ed economici basati su un più equo bilanciamento di genere.

Un’iniziativa lodevole e concreta, insomma, che si è presentata per noi come la perfetta conclusione per il nostro ebook, Sguardi di Donne lanciato in occasione dell’8 marzo 2020. Ecco quindi la nostra intervista a Carolina Gianardi.

Intervista di V. Colombo, I. Capitanio e I. Ceriani

Carolina Gianardi e Sila Mochi, siete le referenti a capo di un grande progetto ambizioso. Ci raccontate com’è nata l’idea di Inclusione Donna e di cosa vi occupate, nella vita, oltre a questo ruolo? 

«Tutto è nato per caso. Ci siamo conosciute a un pranzo organizzato da una comune conoscente e abbiamo scoperto di condividere una serie di interessi (innovazione, digital, diversity…). Essendo entrambe impegnate in attività associative, abbiamo subito convenuto come uno dei limiti del generoso mondo associativo italiano sia la estrema frammentazione con una limitata scalabilità e quindi capacità di impatto. 

È venuto naturale, pensando alle nostre connessioni e ai nostri network, provare a rimuovere questo limite con riferimento in particolare al tema “sviluppo femminile”, sul quale entrambe eravamo già impegnate.

Oggi #InclusioneDonna è un’alleanza di oltre 60 associazioni che rappresentano più di 40mila donne.

Ci chiedevi chi siamo: io sono General Manager di un’azienda americana che si occupa di financial services mentre Sila si occupa di business development per una grande società quotata».

A proposito di gender gap occupazionale: quanto si può mediare tra la figura della donna in una società che pensa ancora ai figli come fortemente più legati alla madre e la possibilità dei padri di vivere la paternità? Quanto questo comporta anche una rivoluzione culturale profonda?

«Concordiamo sul fatto che sia fondamentale intervenire a monte sia nella scuola che nella famiglia per rimuovere alcuni degli stereotipi ormai dati per acquisiti dalla nostra società. Basta vedere i libri della scuola primaria dove la mamma viene presentata quasi sempre impegnata in lavori domestici mentre il papà al lavoro in ufficio. Su questo fronte dobbiamo puntare sulle nuove generazioni, motivo per cui la paritetica e obbligatoria condivisione tra i due genitori del congedo parentele, è uno dei punti attuativi delle nostre istanze».

In aggiunta a quanto sopra, in che senso esiste un “doppio standard” tra uomini e donne, sia nella vita famigliare (dalle madri si tende a pretendere perfezione, non lo stesso dai padri) che lavorativa?

«Credo che il vero tema è che si dia per acquisito che la cura familiare sia a carico della donna anche quando si aggiunge a impegni lavorativi, richiedendole delle grandi capacità organizzative. Il tema della perfezione è più un limite che noi donne ci diamo, sentendoci in colpa se non riusciamo a fare tutto ai massimi livelli, facendo sì che poi questa sia sempre l’aspettativa nei nostri confronti».

Su Sputnik News, Laura Dell’Aquila di Lean In Italy, scrive: “Il problema è proprio questo. Le donne si laureano in numero superiore agli uomini ed anche con votazioni più alte, escono formate in maniera più effettiva dall’università, purtroppo da anni i numeri dell’occupazione femminile non tendono a migliorare. Questo lo possiamo interpretare in molti modi, ma soprattutto dipende dal fatto che, secondo gli studi da noi effettuati, le donne sono discriminate già all’accesso nel luogo di lavoro. I nuovi posti di lavoro che vengono offerti a donne e uomini sono prevalentemente in ambito tecnologico, poiché queste sono le nuove professioni che si stanno sviluppando e sono quelle verso le quali la società si orienterà sempre più rapidamente. Purtroppo le donne, pur essendo formate da un punto di vista universitario, tendono a scegliere dei percorsi universitari che non sono particolarmente coerenti con quest’offerta sul mercato del lavoro”. Qual è il vostro punto di vista rispetto a questa dichiarazione? Quanto la società influenza le materie e i campi di indirizzo e specializzazione intrapresi dalle donne?

«Quanto riportato da Laura, che tra l’altro è membro del Comitato di Coordinamento di #ID, è vero. I fattori sono vari: innanzitutto, i percorsi di studio delle ragazze sono ancora limitati in ambito stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics ndr.), dando accesso a minori opportunità di lavoro e con stipendi mediamente inferiori. Inoltre, anche quando le ragazze si laureano in materie stem si riscontrano differenze con i colleghi maschi con minori livelli di occupazione e uno stipendio mediamente più basso.

Talent Ventures ci dice che, anche se le laureate in materie Stem hanno mediamente un voto superiore ai colleghi maschi, hanno invece un tasso di occupazione del 85% rispetto al 92,5% e che quegli stessi uomini a 5 anni dalla laurea hanno una retribuzione superiore del 23,6%.  In ICT oggi sono impiegati 5,5% degli uomini lavoratori e solo 1,4% delle donne lavoratrici, nell’ICT le donne rappresentano il 16%, percentuale che scende ad esempio drasticamente nella sanità dove le donne nell’ICT sono solo il 7%.

Inoltre, le donne impiegate in cybersecurity sono l’11% della forza lavoro. Per quanto riguarda le funzioni di innovazione delle aziende, oggi ci sono mediamente 2 donne e 9 uomini. Infine, solo il 25% delle donne italiane sono impiegate in settori legati all’AI».

Visto il punto precedente, spesso si verificano situazioni in cui una donna si ritrova a lavorare da sola in un team di uomini. In base alle osservazioni e alle analisi che state effettuando, questo può comportare una discriminazione? Quali campi professionali sono i più sensibili a questo tipo di problematica?

«In qualsiasi team la mancanza di diversity, non solo di genere, determina una minore efficacia. Nel caso da voi descritto, situazione in cui mi sono io stessa ritrovata in alcune occasioni, non sempre è facile per la donna contribuire a pieno. Il rischio è di mantenersi in disparte o di dover essere particolarmente assertiva per riuscire a dare il proprio contributo, venendo poi semplicisticamente definita “aggressiva”».

Avete consegnato 10 istanze alle Parlamentari. Quali sono e come le avete definite?

«Le istanze sono state il risultato di un lavoro integrato con tutte le associazioni aderenti dove abbiamo convenuto di mantenere un focus su occupazione e rappresentanza femminile».

Sette istanze obiettivo in ambito occupazione:

1. Eliminazione del Pay-Gap

2. Sostegno al reddito delle lavoratrici madri

3. Congedo parentale e congedo di paternità obbligatorio

4. Conoscenza delle misure esistenti volte a incentivare l’assunzione di donne

5. Agevolazioni alle micro imprese femminili

6. Misure di conciliazione vita-lavoro anche per le libere professioniste

7. Incentivi a favore delle donne nelle professioni

Tre istanze obiettivo in ambito rappresentanza:

1. Estensione misure legge Golfo-Mosca

2. Quote minime di rappresentanza nei livelli di top e middle management

3. Istituzione Commissione per le Pari Opportunità

Nel vostro programma ricordate “L’Italia è al penultimo posto nell’Unione Europea per occupazione femminile. A livello nazionale siamo al 49% (32% nel Meridione) mentre la media europea è il 62%”. Visto questo divario nazionale, tra nord e sud, avete pensato anche a delle azioni e/o proposte per superarlo? 

«In questa fase stiamo lavorando su delle proposte concrete a sostegno della donna lavoratrice attraverso tre direttrici: aumento della trasparenza mediante un rapporto in ottica di genere sulle assunzioni, sulle retribuzioni e sul percorso professionale nelle aziende (modifiche all’art. 46 del D.Lgs. n. 198/2006) e introduzione di un sistema di certificazione della parità retributiva sostenuto da un bilanciamento di misure premiali e sanzioni; bilanciamento del lavoro di cura genitoriale mediante introduzione del “congedo obbligatorio di paternità continuativo” nel D.Lgs. 151/2001 e allungamento della durata di tale congedo e del congedo di parentale con aumento ed equiparazione della protezione stipendiale per ambedue i genitori; incentivi al rientro al lavoro della lavoratrice madre che non usufruisce dell’indennità prevista dall’art. 55 del D.Lgs. 151/2001 per dimissioni entro il termine di un anno dalla nascita/adozione/affido».

In relazione al quadro nazionale di cui sopra, esistono anche pregiudizi e stereotipi adottati dalle stesse donne verso altre donne, o donne che incarnano un ruolo imposto comunemente dalla società, non sempre per scelta ma anche per presunta o assunta mancanza di opzioni alternative. Come vi rapportate in base a questo aspetto, soprattutto in contesti sociali meno emancipati? 

La nostra attività ha l’obiettivo di lavorare su proposte trasversali a prescindere da ruolo, tipo di attività, seniority della donna lavoratrice. A #InclusioneDonna aderiscono associazioni di manager, libere professioniste, imprenditrici, chirurghe, biotecnologhe, giovani under 35, e il nostro obiettivo è proprio quello di andare oltre anche alcuni stereotipi per cui le donne non aiuterebbero le donne».

Sempre dal vostro programma, leggiamo: “La rappresentanza delle donne al Governo è bassissima: tra 63 membri ci sono solo 11 donne, eppure le donne sono la maggioranza della popolazione italiana”. Chiaro comprendere come le “quote rosa” non siano state la soluzione ma come sia necessario un cambiamento culturale anche “dal basso”. Avete pensato anche a promuovere azioni nelle scuole?

«Tante associazioni di #ID portano avanti iniziative di questo tipo nelle scuole; #ID ha invece l’obiettivo specifico di essere un interlocutore riconosciuto dalle istituzioni, con le quali ci stiamo confrontando con continuità».

Quali campi artistici sono a vostro parere più efficaci veicoli di rivendicazione e conquiste di rappresentazione femminile? Ci fate qualche esempio di prodotti e opere – o individui e autori – che sono stati in grado di raggiungere questo obiettivo nella cultura popolare?

«Certamente quello della musica e quello teatrale sono i campi artistici che più spesso e con più forza si sono dimostrati essere efficaci veicoli di rivendicazione femminile. Ne è una prova la storica Fondazione Adkins Chiti: Donne in Musica che è riuscita in pochi anni, grazie alla perseveranza della sua ispiratrice purtroppo scomparsa, a raccogliere attorno a sé migliaia di donne musiciste.

Parlando invece a livello individuale riteniamo che la direttrice d’orchestra e musicista Cinzia Pennesi, personaggio di spicco nel panorama artistico teatrale dei giorni nostri, possa rappresentare un esempio di successo che riesce a coniugare la dedizione all’arte con la partecipazione attiva a tante realtà associative femminili».

Molti amici uomini, di fronte alla nostra proposta dell’ebook “Sguardi di Donne” ci hanno chiesto, con genuinità, perché sia necessario ancora parlare di donne. Da questo ne abbiamo dedotto come, nonostante i dati chiari, non ci sia consapevolezza della situazione di grande divario e discriminazione allo stato attuale. E capiamo da questo come, ancor di più, sia veramente necessario, prima di tutto, continuare a parlarne e anche con maggiore frequenza e amplificazione… Avete riscontrato anche voi questo aspetto?

«Non sono sorpresa. Il rischio che si sta correndo è che, siccome negli ultimi anni se ne è parlato, si ritenga che il problema sia stato risolto. Il problema è che nella realtà non sono stati fatti grandi passi avanti, se si esclude l’impatto della legge Golfo/Mosca che però ha riguardato un numero molto limitato di donne senza che il beneficio scendesse anche a livello di middle management, e il rischio di tornare indietro anche sulle poche conquiste è molto reale. Si dovrebbe fare un salto di qualità e parlare non di “quote rosa” ma di “quote di genere” e di “diversity” (non solo di genere), riconoscendo il valore delle diversità nella sua interezza».

Come si può aderire a Inclusione Donna?

«Per aderire bisogna inviare una mail a inclusionedonna@libero.it. La richiesta viene sottoposta all’approvazione al Comitato di Coordinamento. Bisogna essere un’associazione che nel proprio statuto/attività preveda il presidio anche del tema “diversity” dal punto di vista occupazionale e di rappresentanza femminile. Le persone fisiche impegnate personalmente sulle stesse tematiche possono invece aderire come Ambassador».

Inclusione Donna evento lancio di #ID del 17-10-19
Evento lancio di #ID del 17-10-19

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