Il mare rosso di Essaouira – Marocco

Mustafa fermò la macchina davanti a un gruppo di case bianche che odoravano di sale e di sabbia. Scese, e con lui anche babamama e Naima. Solo Younes, il quinto dei cinque figli di baba e mama, rimase con me in macchina.

Parlammo un po’ dell’odore del mare che si sentiva pungente e del vento fresco che muoveva le piccole palme intorno alle case. Queste ultime, e gli spinosi cespugli secchi che le contornavano, parevano delle sentinelle silenziose, custodi e protettrici di Essaouira contro l’incedere del deserto di terra grigia e polvere.

Essaouira, la città cartaginese e poi berbera del Marocco occidentale, che guarda sull’Oceano Atlantico. Da lì quel giorno soffiava il vento di cui Younes ed io parlavamo.

Guardando fuori dal finestrino, vidi alcune piccole crepe e qualche frammento di vernice ondeggiante sulle belle case bianche, ora consumate dal sole e dal vento. Esse mi si presentarono in tutta la loro estrema regolarità geometrica e la loro disposizione ponderata.

Per questo non mi stupì venire a sapere che nel 1764 il sultano Mohammed III aveva ordinato all’architetto francese Théodore Cornut di ricostruire l’intera città secondo un modello europeo, proporzionato ed armonico.

Essaouira era divenuta allora ‘la ben disegnata, tramutandosi poi nel XIX secolo nella più prestigiosa città portuale del Marocco. Un ampio viale in stile europeo si srotolava nel suo centro e la città pareva un gioiello preziosissimo, racchiusa tra mura vigorose. Il suo nome, Essaouira, significa proprio questo in lingua berbera:Souira’, la ‘piccola fortezza’.

Quando baba e mama ritornarono alla nostra automobile ci dissero di seguirli e Naima mi spiegò poi che avevano trovato una casa per la notte. Entrammo, quindi, in una delle grandi costruzioni bianche, in quella che mi sembrò la più affascinante.

Vi era una porta di colore blu, di quel blu del mare aperto e profondo, e due finestrelle allungate ai suoi lati, decorate con intrecci di metallo grigio, come quelle fessure dietro cui avevo sempre immaginato di intravedere gli occhi di una principessa delle favole arabe. Ma ebbi poco tempo per perdermi nelle stanze della casa, perché Naima mi annunciò quasi subito che saremmo usciti per una passeggiata al porto.

Ormai la sera era arrivata, era così buio… Ma la luce argentea della luna era talmente brillante che mi sembrava di poter vedere ogni dettaglio, ogni sfumatura dell’acqua del mare, ormai calmo. Uno spicchio di luna, appeso nel cielo nerissimo, sospeso in alto, era pronto a scivolare fino al mare al primo richiamo.

Anche il vento si era chetato e noi camminammo spinti da un’aria lentissima e avvolgente, dal sapore acre di sale e pungente di pesce appena pescato. Tante barchette azzurre erano ormeggiate lungo il molo e le silenziose ondine le cullavano silenziose, senza disturbare. 

La città, al nostro arrivo silenziosa come un palazzo abbandonato, si animava lentamente. Una parola, due, dei passi, il tonfo attutito delle casse di pesce fresco, le mani di un ragazzo che riparavano un cestino di paglia mentre i suoi occhi neri avevano sete, sognanti e malinconici.

Gabbiani nella notte si stagliavano, bianchissimi, contro un’inesistente parete di cielo corvino, sorvegliando il mercato del pesce dall’alto della qasba, uniche fedeli vedette instancabili. Essaouira era il loro regno, al di là ed al di qua delle mura.

Il mare del mattino era diverso, faceva rumore, si muoveva, e si colorava, incredibilmente, di rosso. Baba e mama mi dissero che era la sabbia vermiglia dei fondali a voler danzare con l’oceano e si agitava, si innalzava, si ingarbugliava, fino a fondersi con le onde e rendere le acque del suo stesso colore amaranto.

Era una visione prodigiosa, come se un angelo avesse dipinto l’oceano del colore delle rape rosse che Mustafa comprò al bazar e con cui si imbrattò la bocca per farci ridere. Le stesse barchette azzurre della sera ballavano ora con i flutti purpurei e l’intera città si tinse di queste due sole sfumature smaglianti e vivide.

Essaouira - Marocco

Il giorno sfavillava ad Essaouira. La città brillava, rifulgeva nelle sue colorazioni vivaci, nei suoi sapori salati, di granchi e di gamberi, nelle sue delicate superfici di giganti conchiglie rosate pescate dal mare, nelle sue morbide spugne giallastre e secche.

Il pomeriggio correva ad Essaouira. Il sole splendeva fortissimo, ma la gente non si impigriva e camminava lenta e instancabile per le vie dell’antico Mellah, il quartiere ebraico. Qui, nel XX secolo, la maggioranza ebraica dirigeva negozi pregiatissimi di oreficeria e fiorentissime attività commerciali. Ora il Mellah è un passaggio continuo di uomini e cose, bambini che corrono, turisti che comprano, piramidi di spezie odorose, pile di tessuti sgargianti.

Essaouira Marocco

Ricordo bene una donna. Vestita di viola, camminava greve nel sole. Il suo viso era scavato dagli anni ma il passo era fermo, costante, il volto immutabile. I suoi occhi ombrosi guardavano la strada davanti a sé.

La città era come il tempo sul suo volto: volava rapido durante il giorno colmo di colori ma si fermava paziente nella notte vitrea, col sonno di un incantesimo.

Se esistesse una magia che tramutasse le città in creature umane, ne sono certa, quella donna sarebbe Essaouira. Sì, perché Essaouira era proprio come lei. Quieta, nel suo indubbio cammino tra le strade dritte e polverose. Fiera, nel suo modesto sguardo diretto alla terra. Ostinata, nel suo costante incedere. Grata, alle consumate mura e ai suoi volanti guardiani per averla protetta da sempre. Prodigiosa, nelle albe screpolature di calce e nel portentoso colore rosso del mare.

Essaouira - Marocco
Essaouira - Marocco
Essaouira - Marocco
Essaouira - Marocco
Essaouira - Marocco
Essaouira - Marocco

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