Da quando ha lanciato il suo articolo-appello, intitolato Vorrei prendere il treno, Iacopo Melio, 25enne della provincia di Firenze in carrozzina dalla nascita per una rara malattia genetica, ne ha fatta di strada. Da allora, grazie alla vasta diffusione del suo primo ironico quanto originale appello per mettere in luce il problema delle barriere architettoniche in Italia, ha fondato la sua onlus e sostenuto diversi progetti a tema.
Chi è Iacopo Melio?
«Sono uno studente universitario, studio scienze politiche, indirizzo comunicazione media e giornalismo. La tesi è quasi pronta, mi manca l’ultimo esame che, per causa di lavoro sto rimandando da un anno. Spero di finire nel 2018.
Intanto sto iniziando a lavorare nel giornalismo e nella comunicazione in generale. Mi capita di curare qualche campagna non solo di sensibilizzazione sociale ma anche di altri temi di marketing. In contemporanea porto avanti “Vorrei prendere il treno“, la onlus che ha l’obiettivo di sensibilizzare in generale alla disabilità e, nello specifico, a portare avanti qualche progetto più concreto di abbattimento materiale delle barriere architettoniche».
Cosa ti ha spinto a realizzare questa onlus e qual è lo scopo?
«Nasce per caso da un mio articolo che scrissi in modo divertente e provocatorio. Dicevo ‘fatemi prendere il treno non tanto perché sia un mio diritto ma perché ho voglia di innamorarmi su un treno incontrando la ragazza dei miei sogni come in un film’. Ovviamente era una provocazione per parlare delle barriere architettoniche.
Quell’articolo divenne virale, così il mio “Vorrei prendere il treno” diventò una vera e propria campagna di sensibilizzazione. Le persone iniziavano a conoscermi e fare delle donazioni abbastanza importanti. Ho scelto così di aprire una onlus con l’obiettivo di portare avanti certe tematiche e progetti in maniera strutturata».
A proposito di barriere architettoniche. Quali maggiori difficoltà riscontri? Puoi farmi un parallelo tra Italia e Estero?
«Sicuramente noi siamo indietro. Non è che non vada tutto bene ma loro vivono la disabilità in generale in maniera più spontanea. Penso alla Germania, alla Francia o all’Inghilterra. Non c’è nemmeno da porsi il problema di autobus, metro etc, lì sono tutti accessibili. Qui devi trovare la banchina, la stazione, il luogo dove si aspetta l’autobus: troviamo raramente mezzi accessibili in Italia. Per gli autobus è ancora un grosso problema».
Libri senza barriere in cosa consiste?
«Si tratta di un progetto che gestisco in collaborazione con un’amica libraia. Visto che ci seguono in tanti, abbiamo pensato che chi è appassionato ai libri, ne compra usati o li scambia, può spedirci libri da tutta Italia (ovviamente in buone condizioni). Noi li vendiamo in questa libreria in cambio di un’offerta libera. Quasi sempre il libro è a sorpresa: li impacchettiamo e scriviamo sul pacchetto una frase scelta da chi ce l’ha spedito».
Entro Natale l’obiettivo è di raccogliere 2.500 euro per regalare un anno di pet-therapy in pediatria. Come nasce questa iniziativa?
«Per Natale ho sempre fatto una raccolta fondi. L’Accademia Cinofila Fiorentina cercava sponsor per il 2018, li contattai ma arrivai tardi, avevano già trovato uno sponsor. Però mi hanno proposto l’ambito pediatria, così mi è venuta l’idea. L’ho lanciata per tutto il mese di novembre e ci siamo quasi: la soglia impostata è 2.500 euro anche se la somma necessaria reale sarebbe 5mila euro».
Hai mai subito discriminazioni o sei mai stato deriso?
«No, non nel senso di bullismo classico o discriminazione. Quello che però infastidisce è la superficialità, la compassione e il pietismo, sono in generale atteggiamenti deleteri per chiunque, figuriamoci per una persona disabile. Penso anche a chi lascia la macchina parcheggiata sul marciapiede o nel posto riservato ai disabili senza averne l’autorizzazione. Se una persona si fermasse un attimo a riflettere magari non farebbe questi gesti».
Cos’è per te la vita?
«Più che cos’è, ti dico che uno dovrebbe semplicemente prendere quello che viene, quello che c’è che è l’unica cosa di certo che abbiamo, tutto il resto è incerto. Unire il qui e ora senza stare troppo a pensare, lamentarsi e accettare risposte che tanto nessuno ci può dare con certezza. Prendere il classico bicchiere mezzo pieno insomma».
Sogni e paure per il futuro?
«Sogni, che sono anche paure: l’autonomia e l’indipendenza. Ho paura di non riuscire a realizzare il sogno, che in realtà non è un sogno ma quello che dovrebbero avere tutti: essere indipendente, avere un lavoro che mi permetta di sostenermi a pieno, a cominciare dal pagare le bollette. Vorrei costruirmi un’indipendenza che per un disabile ha un costo 10 volte superiore a quella di altri. La paura è non riuscire a farlo».
Cosa pensi dell’iniziativa Liberi di fare delle sorelle Paolini?
«La sostengo. Quello dell’indipendenza è il tema: se diamo alle persone disabili gli strumenti per fare quello che fanno gli altri, la disabilità scompare. Intendo strumenti di natura economica che mi permettano l’assistenza e di vivere da solo. È fondamentale accendere l’attenzione su certe tematiche. Questo però non serva per avere promesse elettorali che durano una settimana. Alla protesta dovrebbe seguire poi un lavoro con le istituzioni serio e strutturato per ottenere qualcosa. Speriamo che, dopo le manifestazioni organizzate dalle sorelle Paolini, ci siano dei riscontri concreti».
La tua canzone preferita?
«Ce ne sono tante… metti tutta la discografia di De André. Per questa intervista metterei però A Muso Duro di Pierangelo Bertoli. Anche lui disabile dà l’idea di affrontare la vita a muso duro».