Una persona che vive con HIV e segue una terapia efficace stabile, con carica virale non rilevabile, non trasmette il virus. Lo ribadisce la nuova campagna di Arcigay, “Siamo tutt* sierocoinvolti” attraverso un video lanciato in occasione della Giornata Mondiale contro l’AIDS, il primo dicembre.
Protagonisti del girato, uomini che vivono con HIV, uomini che non hanno l’HIV e un medico infettivologo, con lo scopo di trasmettere un doppio messaggio. Prima di tutto un appello ad un’assunzione di responsabilità collettiva sulla riduzione dell’epidemia e dello stigma verso le persone con HIV. Ma non solo, con questa iniziativa Arcigay vuole ricordare che oggi, una persona con HIV, in terapia con carica virale non rilevabile, non trasmette il virus.
«Siamo tutti “sierocoinvolti” – spiegano i promotori della campagna – significa che ha sempre meno senso, se mai lo ha avuto, dividere il mondo in sieropositivi (persone che vivono con HIV) e sieronegativi (persone che non hanno l’HIV), perché tutti hanno avuto, consapevoli o meno, e a vari livelli di prossimità, esperienza dell’HIV nella realtà degli incontri della propria vita o nell’immaginario delle proprie paure».
Quindi, «la vera differenza oggi la fa proprio quell’assunzione di responsabilità collettiva, condivisa, di comunità, per cui si dice un secco no “al muro avvelenato del silenzio, della paura e del rifiuto” e si fa tesoro di tutti quegli strumenti di prevenzione che oggi ci sono e consentono di “godersi la vita e il sesso”. Anche con l’HIV, per evitare nuove infezioni».
Inoltre, essere consapevoli che una persona che vive con HIV e segue una terapia efficace stabile, con carica virale non rilevabile, non trasmette il virus «diventa non solo uno strumento di prevenzione contro la diffusione dell’HIV, ma anche un potente strumento di liberazione dalla paura. Paura di infettare (per le persone con HIV) o di infezione (per chi incontra persone con HIV)».
We Test, Mettiamo la Salute in Circolo: test HIV
Il video “Siamo tutt* sierocoinvolti” non è l’unica iniziativa lanciata da Arcigay. Grazie a We Test, Mettiamo la Salute in Circolo, per il secondo anno consecutivo, è possibile realizzare un Test Rapido Hiv nei circoli ricreativi e nelle associazioni Lgbti in oltre 15 città.
L’iniziativa si svilupperà in tutto il 2019 per un totale di oltre 3000 test rapidi, sui quali verrà avviata un’azione coordinata di monitoraggio e analisi e una successiva interlocuzione con le istituzioni, affinché mettano in atto azioni concrete per la salute sessuale.
Ritardo della diagnosi di HIV
Secondo gli ultimi dati dell’Istituto Superiore di Sanità, a fronte di un numero sostanzialmente stabile di nuove infezioni da HIV nel 2017, continua ad esistere nel nostro Paese un grave problema legato al ritardo della diagnosi: oltre la metà delle persone che hanno avuto una diagnosi di infezione da HIV nel 2017 aveva già il sistema immunitario compromesso (definito come un numero di cellule CD4 inferiore a 350).
Insomma, molti arrivano alla diagnosi di infezione da HIV quando sono già in AIDS conclamato. Sul totale dei nuovi casi di AIDS (690), infatti, la percentuale di persone con nuova diagnosi di AIDS che ignorava la propria sieropositività e ha scoperto di essere HIV positiva nei pochi mesi precedenti la diagnosi è del 73,9%, un dato che si stabilizza solo quest’anno dopo essere salito costantemente partendo dal 20,5% del 1996.
Infine, va rilevato che tra le motivazioni che hanno indotto le persone con nuova diagnosi HIV a fare il test, si registra una percentuale stabile (32%) di persone che lo hanno fatto a seguito di sintomi HIV correlati, mentre solo un 26% lo ha fatto in seguito a comportamenti a rischio infezione.
Tutto questo rappresenta una situazione critica di grave rischio per la salute: se diagnosticata per tempo l’infezione da HIV è perfettamente gestibile con la terapia antiretrovirale (che può rendere il virus non trasmissibile), mentre in caso contrario compromette il sistema immunitario e diventa più facilmente trasmissibile.
AIDS, la situazione in Italia
Come segnalano il Centro Operativo Aids dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) e l’Unicef, per la giornata mondiale di lotta all’Aids, nel 2017 in Italia sono state segnalate 3.443 nuove diagnosi di infezione da Hiv, pari a 5,7 nuovi casi per 100.000 residenti, un dato in linea con la media europea.
“L’incidenza delle nuove diagnosi di Hiv mostra una leggera diminuzione tra il 2012 e il 2015, con un andamento pressoché stabile dopo il 2015 – si legge nel rapporto -. Nel 2017 l’incidenza maggiore di infezione da Hiv è nella fascia di età 25-29 anni. La modalità di trasmissione principale tra le nuove diagnosi è con i rapporti eterosessuali“.
Nel 2017, tra le regioni con un numero superiore a un milione e mezzo di abitanti, le incidenze più alte sono state registrate in Lazio, Liguria e Toscana. Circa i casi di Aids, l’osservatorio ne ha censiti 690, pari a 1,1 nuovi casi per 100.000 residenti, in lieve diminuzione negli ultimi anni. Ma a preoccupare sono i giovani.
HIV in aumento tra i giovani, allarme di Unicef
La situazione preoccupante arriva con uno sguardo globale, oltre l’Italia. Sempre grazie allo studio di Unicef e Iss sappiamo che attualmente, nel mondo, 3 milioni di bambini e adolescenti sono sieropositivi, e ogni giorno quasi 700 adolescenti tra i 10 e 19 anni diventano sieropositivi. Anche se entro il 2030 il numero di nuovi contagi da Hiv tra i bambini sotto i 10 anni sarà dimezzato, quello tra gli adolescenti calerà solo del 29%.
Progressi troppo lenti per l’Unicef, secondo cui da qui al 2030, circa 360mila adolescenti moriranno per malattie collegate all’Aids, in assenza di investimenti nei programmi di prevenzione, diagnosi e cura dell’Hiv. Una situazione su cui incide anche una percezione del rischio da Hiv ancora molto confusa, una scarsa propensione a ricorrere al test e un mancato uso del profilattico, che tra i giovanissimi può superare il 50%, come segnala la Lega italiana per la lotta contro l’aids (Lila).