Lo scopo della sua vita è – parole sue – “smascherare questi farabutti, ignoranti o interessati a nascondere la verità”.
Giulietto Chiesa, giornalista e politico italiano, è da sempre in prima linea per “analizzare i dati, perché è questo il compito del giornalista” e smascherare presunti complotti. Lo intervistiamo in occasione della presentazione del suo ultimo libro “È arrivata la bufera” (Piemme edizioni, 2015) martedì 12 aprile 2016 da Busto Libri a Busto Arsizio (Va).
Intervista a Giulietto Chiesa: un vero giornalista?
con la collaborazione di Antonello Ciccarello
Bufale in rete e studi reali. Come possiamo distinguere la verità dal falso?
“Suggerisco la lettura dell’ultimo libro di Umberto Eco, Numero Zero: fornisce una chiave interpretativa. È molto divertente, si è sempre mostrato scostante nei confronti dei complottisti, poi invece scrive un libro tutto a loro favore dalla prima all’ultima riga e dimostrando che quei complotti sono veri. Non è affatto semplice ma con un po’ di allenamento si impara: i complotti li fa il potere, il potere fa sempre complotti. Il compito di un giornalista è quindi scoprire i complotti perché, se un giornalista non si pone il problema non è un giornalista ma un passacarte. In Italia, la maggior parte dei giornalisti sono dei passacarte. Non si pongono neanche il problema di scoprire i complotti. Invece, poi ci sono quelli che vengono mescolando l’acqua pulita con quella sporca ma è un trucco palese e trasparente. Io sono uno che scopre i complotti e li ho scoperti ripetutamente. Quindi, se qualcuno mi viene a dire che i complotti non esistono, dico che tutta la mia carriera giornalista è stata incentrata a scoprire complotti di cui sono molto orgoglioso. Quelli che dicono che esistono solo i complottisti si dimenticano che uno può anche sbagliare l’analisi e può vedere un complotto dove non c’è e questo è un errore, non complottismo, è un errore di analisi. La parola complottismo è un trucco semantico che serve per impedire la discussione: tu affidi alla persona che sta dicendo una cosa, il termine complottista. Trasferisci dal contenuto di merito un giudizio sulla persona e già questa è un’operazione disonesta. Tu devi rispondere a quello che dico io e dimostrare che non è ammissibile, non dire che sono complottista, lo vediamo dopo chi è il complottista. Per esempio l’11 di settembre è stato un complotto ma non lo dico io, lo dicono gli americani. Chi ha fatto il complotto? Osama Bin Laden e i 19 terroristi. Questo è un complotto. Loro hanno raccontato un complotto, non io che cerco di spiegare se il loro complotto è buono o cattivo. Il trucco è tutto lì. Loro fanno un complotto, il complotto esiste, non è spiegabile, io cerco di spiegare e danno a me del complottista ma cosa c’entro io? Io faccio il mio mestiere”.
Sei sicuro di riportare dei fatti reali?
“Io sono un giornalista che ha 40 anni di esperienza sulle spalle, che ha imparato a leggere i dati, è molto semplice… non a leggere i complotti, è leggere i dati”.
Quindi il “segreto” è leggere i dati?
“Se uno non sa leggere i dati… Per esempio, un altro dei miti che circolano tra i colleghi è che bisogna essere sul posto. Ho visto una quantità sconfinata di cretini che sono andati sul posto e non hanno capito niente. Non occorre essere sul posto: serve capire cosa sta succedendo. È pieno di miti e trucchi linguistici, il problema è il trucco linguistico. Bisogna esercitare la ragione, il mestiere del giornalismo è verificare i fatti e poi metterli insieme… Se sei capace. E raccontarli in modo decente al pubblico senza far finta che le cose le hai scoperte: no, perché in realtà non hai scoperto niente. Il 90 per cento della cosiddetta stampa di informazione anglosassone è un bluf clamoroso che consiste nel fatto di cominciare un articolo mettendo in bocca al primo che passa un pensiero… ad esempio: c’è un incidente stradale, arriva un giornalista e, prima ancora di descrivere quello che vede va da un passante e chiede ‘ma lei c’era? Cosa ha provato?’. E questo trasforma una sciocchezza giornalistica in una prova di verità. Ma che cavolo mi importa a me del signore cosa ha provato se non so neanche chi sia? Voglio solo sapere cosa è successo, non mettere in cima una dichiarazione di uno che nessuno conosce. Questo non è giornalismo, questa è la parodia del giornalismo”.
Un colore insomma…
“Sì, quello che noi chiamiamo il colore. Come se il colore sostituisse i fatti”.
A proposito di fatti: mettendo insieme i tuoi studi possiamo ipotizzare un prossimo scenario? Parigi, Bruxelles, poi?
“Sì, ce ne sarà un altro. Anzi, più di uno”.
Attacco terroristico a Roma? Saremmo pronti?
“Io dico una cosa: se l’Italia entra in guerra in Libia, noi avremo il terrorismo al cento per cento in Italia. Non ho dubbi. A Renzi qualcuno gliel’ha già detto e lui sta cercando di fare il possibile per non andare perché sarebbe la sua fine politicamente e non è così ingenuo da non capire. Però c’è qualcuno che vuole spingere e spingendo ci getta in mezzo al terrorismo. Poi, chi è che lo fa è un’altra questione. Nel libro ho analizzato l’attentato a Charlie Hebdo e ce n’è già più che a sufficienza. Poi, ho scritto una seconda parte che uscirà tra sei giorni in Francia con i misteri di Parigi, compreso il 13 novembre e poi Bruxelles. Sarà un’analisi completa degli attentati terroristici. Spero che qualcuno lo legga con attenzione perché io ho elencato una serie di fatti che sono tutte domande. Io elenco il fatto, lo individuo, lo chiarisco, lo descrivo e poi dico: io non ho ipotesi, datemela voi l’ipotesi. Io non ho ipotesi perché io non sono i servizi segreti. I servizi segreti siete voi. Per esempio, mi dovete spiegare perché i 4 kamikaze, di cui sappiamo con certezza che sono morti a Parigi il 13 novembre, hanno prodotto un solo morto? L’unico morto dei kamikaze è avvenuto prima dell’attentato del Bataclan. Com’è possibile che 4 kamikaze, carichi di esplosivo, producono un morto solo? Io faccio proprio un’analisi nel libro. Il primo esplode fuori dallo stadio: dentro ci sono 80mila persone, il presidente francese e lui si fa esplodere fuori perché non riesce a entrare? È arrivato tardi e non gli hanno dato il biglietto e così è l’unico che uccide una persona, lì vicino. Il secondo, ci sono i testimoni: è su un marciapiede, da solo, esplode e non rompe neppure la vetrina di un negozio. Il terzo – è raccontato da un poliziotto – viene visto scappare in un vicolo cieco e si fa esplodere. Il quarto è il più comico di tutti: arriva sul boulevard Voltaire (è il fratello di Salah Abdeslam): Si siede sulla terrasse del boulevard Voltaire, chiama la cameriera, lei si avvicina e lui esplode. Non dice Allah Akbar. Esplode e basta e non uccide neanche la cameriera, la ferisce soltanto. Abbiamo quattro persone andate per creare una strage e producono un solo morto per caso? Io chiedo: i giornalisti che hanno coperto l’evento, non si sono chiesti questa domanda?”.
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