Lo scorso 11 Aprile si sono tenute in tutta Italia numerose manifestazioni in occasione della Giornata del Mare e della Cultura Marina. L’istituzione di questa giornata è molto recente: essa nasce, infatti, nel 2018 con le modifiche al Codice della Nautica da diporto e viene celebrata l’11 Aprile in memoria della tragedia della petroliera Haven, naufragata nel Mar Ligure lo stesso giorno del 1991.
Il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha riassunto gli intenti di questa celebrazione dichiarando che “il mare unisce i popoli più che dividerli, e sempre più deve essere un ponte tra diverse culture per promuovere una cultura comune, condivisa, che è la cultura del mare”. Tale idea di condivisione del mare e della sua cultura sembra assumere due forme particolari: una di tipo politico, l’altra di tipo didattico.
Da un lato, infatti, lo stesso Ministro dell’Ambiente ha assicurato la propria intenzione di lavorare, durante la Conferenza delle parti della Convenzione di Barcellona che si terrà il prossimo 2 Dicembre a Napoli, per l’istituzione di aree marine transnazionali, immaginandone, in particolare, “una pionieristica tra Italia, Africa e partner europei”.
Dall’altro, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha previsto per gli istituti scolastici di ogni ordine e grado numerose iniziative il cui obiettivo è quello di “sviluppare tra gli studenti la consapevolezza del mare come risorsa di grande valore culturale, scientifico, ricreativo ed economico”, ed è proprio in questa sua seconda accezione che la Giornata del Mare e della Cultura Marina sembra offrire gli spunti di riflessione più interessanti.
Evidenziando il valore scientifico ed economico ma anche quello culturale ed umanistico del mare, infatti, appare chiara la necessità di lavorare su tutti questi aspetti per una protezione completa ed efficace di tale ambiente e di tutte le specie animali e vegetali che esso ospita. Se il ruolo cruciale degli studi scientifici appare evidente nelle attività di protezione del “blu”, quello degli studi umanistici sembra spesso passare in secondo piano. Infatti, cosa possono fare le arti, la letteratura, la musica o la filosofia contro l’inquinamento plastico, le “dead zones” oceaniche o la progressiva perdita delle barriere coralline causata dal cambiamento climatico?
Gli studi umanistici contro l’inquinamento plastico negli oceani
È ormai opinione condivisa da entrambe le macroaree della cultura che i problemi ambientali sono tanto di tipo scientifico quanto di tipo culturale. Le narrazioni del mare con cui veniamo a contatto costituiscono, infatti, il punto di partenza per lo sviluppo del nostro modo di agire verso di esso. In altre parole, il modo in cui trattiamo l’ambiente marino ha a che vedere con il modo in cui lo immaginiamo e lo concepiamo dal punto di vista culturale.
A questo riguardo, si è notato un problema risalente agli albori del pensiero e, quindi, della società occidentale. Fin dall’antichità greca, infatti, abbiamo descritto il mare come un non-luogo, interno al nostro mondo ma lontano dalla nostra civiltà, uno spazio per noi inconoscibile perché troppo vasto e troppo imponente per le nostre possibilità. Abbiamo immaginato il mare come uno spazio vuoto, eterno, immutabile, impossibile da cambiare o da danneggiare e oggi, secoli dopo, la scienza moderna ci dà torto.
Abbiamo, quindi, bisogno di conoscere il mare in modo nuovo, di immaginarlo diversamente, di rivedere, e rivedere in profondità, gli assunti culturali alla base della nostra comprensione di questo elemento. Mentre le nuove tecnologie di navigazione e di pesca ci permettono un distacco sempre maggiore dal mare e dalle sue dinamiche, è necessario che la cultura umanistica che immagina, aiuta lo sviluppo del pensiero critico e forgia le idee e le coscienze affronti il problema.
Il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha dichiarato che “in 64 arenili sono stati trovati oltre 770 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia per un totale che supera i 180 mila oggetti spiaggiati”. I fondali marini sono ormai ricoperti di plastica e “il range finale di oggetti ritrovati per chilometro quadrato è compreso tra 66 e 99 e il primato, con il 77%, spetta alla plastica”. Il Ministro conclude dicendo che “in fondo al mare ci sono buste, bottiglie, contenitori per alimenti e attrezzi da pesca” e che “non è possibile che su 150 tartarughe morte spiaggiate, i ricercatori ci dicano che tre su quattro presentano plastica nel corpo”.
La causa del problema sta nelle nostre azioni che, a loro volta, dipendono dalle nostre idee culturali. Sappiamo bene, ormai, che per fronteggiare la crisi ambientale e l’inquinamento marino è necessario un cambiamento sostanziale sul piano scientifico, politico ed economico. Tuttavia, è prima di tutto necessario che ognuno e ognuna di noi rifletta attentamente sul proprio modo di pensare il mare e di agire verso l’ambiente perché il cambiamento necessario potrà essere attuato solo se prima verrà immaginato.