Il 27 aprile si celebra in Sudafrica il Freedom Day (Festa della Libertà), una festività importante poiché ricorda le elezioni del 1994 in cui per la prima volta tutti i cittadini, compresi quelli di colore, poterono votare. L’Apartheid ebbe fine ventitré anni fa e non bisogna dimenticare il suo peso da un punto di vista storico, perché la storia stessa insegna che quando essa non viene compresa si ripete in un circolo vizioso in cui l’unica via d’uscita resta sempre la medesima: la cultura.
Tuttavia, la cultura, quando finisce nelle mani di chi la piega ai propri fini, è anche ciò che porta ad aberrazioni come la discriminazione basata sul colore della pelle.
Per questo motivo è importante imbattersi in uno scrittore come John Maxwell Coetzee (vincitore del premio Nobel nel 2003) che non solo ha fatto il ritratto di un’epoca impietosa, dimostrando come la cultura e la storia siano strettamente interconnesse, ma ha voluto affrontare la tematica spinosa attraverso la letteratura. Il suo romanzo è ambientato durante lo stato di emergenza dichiarato dal Governo, precisamente nel 1986-7, ossia gli anni più difficili e duri dell’Apartheid.
Età di ferro, il romanzo ambientato negli anni dello States of Emergency
Età di ferro è la lettera di una madre, nonché insegnante di classici in pensione afflitta dal cancro, alla figlia emigrata negli Stati Uniti. Mrs Elizabeth Curren ha il cancro, così come lo ha il Sudafrica, un cancro che viene trasportato da convinzioni così malate tanto da esser causa di una profonda vergogna per la protagonista.
I personaggi secondari sono degli emarginati, come il vagabondo Mr Vercueil, oppure sono vittime, come Bheki e John. Nessun eroe in questo romanzo ambientato in un tempo storico in cui più che mai serve eroismo.
E questa opera insegna che non è l’eroismo di chi fanaticamente combatte per un futuro diverso ciò di cui c’è bisogno per ripristinare la dignità e il rispetto per tutti gli esseri umani. No, servono la pietà, la grazia, la debole arrendevolezza di chi si rassegna a donarsi, servono vergogna e amore. Queste le parole chiave di Età di ferro, un romanzo il cui scopo non è solo insegnare qualcosa ma emozionare, far sentire il peso della vergogna anche a chi crede di esserne al riparo e far sentire la responsabilità dell’amore a chi finge di ignorare che è un ingrediente necessario per superare la “separazione” e “l’unione” totali e totalizzanti, in un mondo che necessita di compromessi, sfumature, confini aperti.