Il cioccolato a retrogusto graffiante nella voce del leggendario Ugo Pagliai avvolge, coinvolge, consuma – e ha trasportato il pubblico del Festival di Torrechiara del 20 luglio scorso, ricorrenza già da sé oltremodo poetica, nel recital-concerto Tango y Amor.
Una navigazione senza tempo nelle varie accezioni dell’amore, lo spettacolo messo in scena insieme al regista, compositore e musicista Davide Cavuti esplora come il rapporto tra il tango, secondo Enrique Santos Discépolo «un pensiero triste che balla», e il sentimento per antonomasia sia assai meno scontato e più comune e umanamente inclusivo di quanto si creda: basti pensare a come La Cumparsita, uno fra i tanghi più conosciuti, fu in origine composta da un universitario uruguaiano per una parata studentesca nel 1916-17.
Dall’attaccamento alla vita della Milonga di Manuel Flores di Borges – qui il suo celebre aforisma «morire è un’abitudine che sa avere la gente» – alla struggente epistrofe della parola “desaparecidos” nell’omonimo componimento di Cavuti dedicato alla tragedia delle madri argentine di Plaza de Mayo.
Dalle sensualissime immagini dipinte da Garcia Lorca nel Madrigale d’Estate, alla tormentata malinconia della fine di un legame cantata nei Versi Più Tristi di Neruda. Dalla sferzante ironia di Trilussa nel raccontare i due mariti compianti dalla Sora Checca ne La Voce de la Coscienza, fino alla meravigliosa Ode alla Pace nerudiana, che indaga un autentico patriottismo con attualità ancora significante nel caleidoscopio di relazioni mondiali contemporanee, il recital spazia fra autori e anime, concentrandosi sull’identità ispanico-latina per poi a tratti discostarsene e tracciare un fil rouge di universalità del linguaggio emozionale e sociale-ideologico.
La palpabile intesa artistica fra l’attore fiorentino e il musicista abruzzese è cementata da un sodalizio che dura dal 2005 e li ha visti impegnati in diversi progetti tra teatro e cinema (fra gli altri, Popoli del Mondo, La Poesia sulle Ali della Musica con Paola Gassmann, Preghiera, presentato al 74esimo Festival del Cinema di Venezia, e il recente Lectura Ovidii): insieme all’ensemble composta da Antonio Scolletta al violino e Martin Diaz alla chitarra, Davide Cavuti, alla fisarmonica, è abilissimo nell’intercalare a ogni intervento di Pagliai pezzi di Gardel, Bacalov, autore della colonna sonora de Il Postino con Massimo Troisi, e poi Piazzolla, Troilo, Villoldo, affiancandoli a suoi propri arrangiamenti e composizioni. Una personale preferita è stata l’esecuzione di Oh Que Sera di Chico Buarque, resa nota in Italia dalla versione di Ivano Fossati e Fiorella Mannoia.
In pieno accordo con lo stesso Borges, autore tra l’altro di una serie di conferenze nel 1965 sulla storia e cultura del tango (reperibili nella raccolta Il Tango, ed. Adelphi, 2019, n.d.r.), che definiva il poeta come un complice dell’umano, il cui nutrimento “son tutte le cose. Il peso preciso dell’universo, l’umiliazione, il giubilo” e a cui “non importa la fortuna o la sventura”, sembra particolarmente azzeccata la scelta di chiudere lo spettacolo con un’accorata ed emozionante interpretazione dell’ode a quell’ermo colle sempre caro a Giacomo Leopardi.
Il poeta della luna, nel cinquantesimo anniversario della sua “scoperta”, in un castello fiabesco: come mi avrebbe poi detto Pagliai, con il suo cioccolato, «l’infinito è infinito».