Erika, la studentessa caregiver che non può studiare per colpa della burocrazia

Erika Borellini, 25enne di Carpi (Modena), a febbraio 2019 si è laureata alla triennale di Ingegneria Elettronica presso l’università di Modena e Reggio Emilia con il punteggio di 84 su 110. Vorrebbe continuare a studiare ma per iscriversi alla magistrale, in base al regolamento della sua università, dovrebbe avere almeno 85 su 110.

Eppure, questi punti potrebbe averli se solo fosse riconosciuto il suo impegno quotidiano fuori dall’università: nel 2013 sua mamma Lorenza è stata colpita da un aneurisma cerebrale e da allora la sua vita, e quella di suo papà Stefano, non è più la stessa. Sua mamma non può muoversi, parlare e riesce a comunicare solo attraverso battiti di ciglia, condizione che richiede un’assistenza totale e costante. Così è stata Erika a essersi fatta carico di questa responsabilità, diventando a tutti gli effetti il “caregiver” di Lorenza.

Nonostante richieste ufficiali, ricorsi e accorati appelli alle Istituzioni Universitarie di tenere in considerazione le oggettive difficoltà “supplementari” che Erika ha dovuto superare per studiare e prestare assistenza a sua mamma, tutto è caduto nel vuoto. Se, invece, Erika fosse stata riconosciuta come “studentessa lavoratrice” avrebbe avuto diritto a due punti supplementari ai fini del voto finale di laurea, che avrebbero quindi eliminato il problema dello sbarramento a 85 su 110.

Erika però non si è arresa, e così ha lanciato una petizione su change.org “affinché le studentesse e gli studenti che operano come caregiver possano ottenere all’università un trattamento pari a quello degli studenti lavoratori”.

Il suo sogno è di continuare a studiare e formarsi, senza doversi allontanare da casa per poter stare vicina a sua mamma. E noi, con questa intervista, vogliamo contribuire ad amplificare la sua voce e quella dei 19milioni di caregiver in Italia.

Partiamo dalle questioni “tecniche”. Perché non hai scelto di iscriverti come studente part-time alla triennale?

«Iscrivendosi part-time, nella mia università, sei vincolato a sostenere gli esami di un anno ripartiti su due anni, quindi 50% un anno, 50% l’anno dopo. Così facendo, al momento dell’iscrizione, devi indicare quali esami vorrai fare il primo anno.

Il problema per un caregiver è che le malattie normalmente non sono stazionarie. Se obblighi uno studente caregiver a iscriversi part-time, lo vincoli a dare solo la metà degli esami anche se quell’anno, invece, potrebbe dare tutti gli esami perché la persona che cura ha una situazione più leggera. Ma con il part-time non puoi. E se l’anno successivo la malattia peggiora, tu potresti addirittura non riuscire a dare nemmeno quel 50% di esami rimanenti.

Servirebbe quindi più flessibilità per riuscire a gestire appieno la situazione. Attualmente, se vuoi dare più esami devi richiederlo prima ma devi attendere che il consiglio approvi… il tempo che hai l’approvazione, il malato è già peggiorato. E purtroppo la malattia non si può prevedere.

L’università invece dovrebbe riconoscere la figura del caregiver: con documenti sanitari e del tribunale, si potrebbe certificare. Il problema fondamentale è che la figura del caregiver in Italia non è ancora riconosciuta».

Ritieni che le strutture sociosanitarie in Italia siano adeguate a prestare soccorso alle famiglie che si trovano in queste situazioni?

«Dal punto di vista sanitario, in Emilia Romagna, o almeno a Modena dove viviamo noi, non possiamo lamentarci. Siamo seguiti bene dal punto di vista medico e infermieristico senza problemi. Certo non posso parlare per altre zone d’Italia visto che non conosco la situazione».

Sei caregiver di tua madre: più scelta o più obbligo per assenza di aiuti dallo Stato?

Quando ha avuto l’aneurisma, è stato chiaro che era necessario avere una persona che comunicasse al suo posto: non riusciva a comunicare verbalmente e solo io e mio padre riuscivamo a capirla. In Tribunale abbiamo deciso di essere noi a prenderci cura di mia madre, anche a livello legale. Con una persona esterna, altrimenti, avremmo avuto la necessità di contattare un avvocato per ogni tipo di permesso, come nel caso di nuovi interventi e situazioni simili.

Così io sono stata nominata amministratore di sostegno per le cure medico sanitarie e mio padre per la parte economica, in modo tale da suddividere il carico tra due persone. Insomma, è stata una scelta. Lo Stato avrebbe fornito una persona esterna. Abbiamo preferito restare in famiglia».

Citando la tua petizione, nel tuo profilo Facebook racconti le “difficoltà quotidiane che una famiglia deve affrontare”. Riassumendo, quali sono le maggiori problematiche?

«Vero, ma più che altro racconto queste difficoltà tramite il profilo di mia madre. Ho deciso di aprirlo io prima che lei tornasse a casa dall’ospedale. L’ho fatto per aggiornare tutte le persone che la conoscevano e non sapevano quello che le era successo.

Così, ho iniziato a raccontare tutto ciò che succedeva: problemi in ospedale, varie crisi, etc e moltissima gente si è appassionata. Pensa, abbiamo avviato anche una raccolta fondi per le cellule staminali a Vienna e hanno aderito tantissime persone.

Quali difficoltà? Sono quelle di un malato completamente paralizzato: c’è da cambiarlo e lavarlo tutti i giorni. Quindi igiene quotidiana e nutrimento. Lei mangia per sondino: nell’ultimo anno sono riuscita ad insegnarle a mangiare parzialmente per bocca, almeno un quarto del pasto.

Tutti i sabati le cucino le pappe per tutta la settimana e le frullo, così lei tutti i giorni può mangiare. Anche per questo ho bisogno di frequentare un’università vicina a casa mia: se vado troppo lontano non riesco ad aiutarla. Ora sono solo a mezz’ora di distanza da casa. Esco prima dal corso, torno a casa, le do da mangiare, mangio io velocemente e poi torno indietro. Per me non è un problema ma almeno lei riesce a mangiare per bocca e sente i gusti. Da quando mangia per bocca gli esami del sangue vanno meglio perché mangia cibo “reale” non sostanze dal sondino.

Inoltre, ogni fine settimana la portiamo in giro. Andiamo al centro commerciale, in montagna, al mare: stare in mezzo alla gente fa bene. Anche perché lei, dal punto di vista cognitivo, è presente al 100%. Un paio di anni fa le hanno dato anche il diritto di voto. Ride da sola davanti alla tv, scherziamo insieme, si alza un paio di volte al giorno con me e mio padre. A casa abbiamo anche un assistente domiciliare per darle le medicine durante il giorno e cambiarla quando non ci siamo: il bagno e le pulizie in generale le facciamo noi però.  Questo perché, giustamente, mia madre ha più piacere che siamo noi a lavarla, piuttosto che un estraneo».

Erika Borellini studentessa caregiver università di Modena unimore

Sempre nella tua petizione, scrivi di “cercare di promuovere e sostenere la ricerca di tecniche, strumenti e cure in grado di migliorare la condizione di vita di chi è affetto da patologie così gravose”, ad esempio?

«Per quanto riguarda la ricerca, la situazione ora è abbastanza ferma. Abbiamo lottato i primi anni per le cellule staminali, ne eravamo fortemente convinti ma in Italia questo non ha attecchito. Siamo andati a farle in Austria ma non abbiamo potuto avere un controllo successivo visto che si trattava di sperimentazione, per cui non c’è modo di sapere se abbiano fatto effetto».

Veniamo a te. Sogni dopo l’università? Ambisci a una figura professionale in particolare?

«Mi piacerebbe lavorare nel settore biomedicale. Dal punto di vista obiettivo, però, dopo la laurea, finché c’è mia madre (fortunatamente gode di ottima salute), lavorerò in ufficio da mio padre: ha un’azienda di progettazione di impianti elettrici e io, essendo elettronica, posso adattarmi. Lavorando con mio padre, chiaramente potrei assentarmi dal lavoro all’occorrenza senza problemi per seguire mia madre al bisogno. Un altro datore di lavoro, altrimenti, mi licenzierebbe.

Un’altra cosa che mi piacerebbe, sarebbe fare l’insegnante perché mi permetterebbe di avere una parte di giornata libera. Insomma, c’è un sogno professionale da una parte e una visione concreta di ciò che effettivamente potrei fare ora. Ma non voglio comunque precludermi la possibilità che un giorno, quando mia madre non ci sarà più, avrò le porte sbarrate per vari settori non avendo avuto la possibilità di accedere alla laurea magistrale. Anche per insegnare alle superiori ci vuole la laurea magistrale, attualmente avendo la triennale potrei fare solo il tecnico.

Di fatti, quando una professoressa mi ha detto che gli studenti dovevano essere trattati tutti allo stesso modo, io le ho risposto che mi stava togliendo l’unico svago che avevo. Studiare mi piace, è la mia passione. Amo informarmi e ricercare. Faccio sempre casa-scuola, scuola-casa. Almeno lasciatemi studiare ciò che mi piace. Non vado a ballare, non vado in vacanza, non faccio null’altro. Più di così non potevo fare.

Ho scritto al Rettore: mi dispiace se non ho raggiunto il punteggio per poter rientrare nella magistrale, ma tutto ciò che ho fatto lo rifarei. Perché la salute di una persona non vale un punto in più. Ho anche suggerito di fare come altre università: prevedere esami integrativi o un test di ingresso per la magistrale per chi non raggiunge la soglia. Precludere a una persona di fare la magistrale, per il resto della vita, mi sembra davvero brutto. Tra l’altro, fosse stato per me, sarei andata a Pisa a studiare, per approfondire robotica, biomedicale, etc. Ma non posso allontanarmi da casa.

Avrei fatto anche l’Erasmus. Mi sarebbe piaciuto viaggiare. Ma ho fatto quello che ho potuto. Ho studiato di fianco ai letti di ospedale, gli infermieri si ricordano ancora di me. E il giorno dopo correvo a fare gli esami. Cosa pretendete più di così? So bene che non è un problema dei miei professori ma della burocrazia che arriva dai piani più alti».

La senatrice Maria Laura Mantovani (M5S) ha preso subito in carico la tua richiesta con un’interrogazione parlamentare:

«La vicenda di Erika rappresenta un caso emblematico della mancanza di tutele verso chi svolge l’attività gravosa di caregiver che richiede molte abilità nel dare assistenza, nel dialogare con i servizi sociali e nel conciliare tempi di vita, lavoro e studio. L’ateneo di Modena ha risposto con il muro della burocrazia… Ho preso a cuore la vicenda e desidero diventi un esempio positivo per tutti i caregiver. Pertanto, ho chiesto al Governo quale sia lo stato dell’arte del fondo istituito nel 2017 per la figura del caregiver. Inoltre, domando a Conte, Catalfo e Fioramonti se non ritengano opportuno adottare misure efficaci per la tutela, il sostegno e il benessere dei caregiver familiari».

«È stata velocissima. Non mi conosceva, appena ha saputo della mia situazione mi ha contattata, mi ha chiesto di spiegarle la questione e si è mossa subito. Ora attendiamo gli sviluppi. Di ingiustizie come le mie ce ne sono tante tutti i giorni: sono felice che la questione sia arrivata in Senato, in questo modo portiamo avanti una causa che potrà aiutare anche molti altri. Siamo 19milioni di caregiver in Italia, molti sono giovani. Tanti pensano che ci siano solo adulti, di 50, 60anni che curano i propri genitori anziani. Invece no, siamo molti giovani. E tanti ora mi raccontano le loro storie: “Vai avanti per tutti noi” mi dicono».

Infine, come ogni nostra intervista, ti chiediamo la tua canzone preferita…

«“Wherever You Will Go” dei The Calling. Mi piace da sempre, la ascoltavo già da bambina».

Allora dove vuole andare Erika “da grande”?

«Al momento non voglio fare dei piani. È tutta una sorpresa da quanto è iniziata la vicenda di mia madre. Non mi pongo dei limiti, guardo dove mi porta la strada».

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