Egnes ha 21 anni e vive nell’accampamento abusivo di Mukuvisi, ad Harare, la capitale dello Zimbawe, in un capanno-baracca costruito con plastica e pali di legno, insieme a Talent, la sua bambina di quasi 3 anni. È sulla strada dal 2014. Ha fatto a lungo la domestica ma, da quando ha perso il lavoro, per sopravvivere, è costretta a prostituirsi per 1,5 $. Da poco ha scoperto di aver contratto il virus HIV ma questo non ferma il suo spirito. Sogna per sua figlia una vita lontana da ogni negatività.
L’abbiamo intervistata grazie a Cesvi, la Fondazione che opera in tutto il mondo “con la convinzione che l’aiuto alle popolazioni più bisognose e colpite da guerre, calamità naturali e disastri ambientali non dia sollievo solo a chi soffre, ma contribuisca al benessere di tutti noi sul pianeta, casa comune da preservare per le future generazioni”.
Intervista realizzata in collaborazione con Federica Scutellà
Hai modo di cambiare vita?
«Mi basterebbe un piccolo capitale di partenza per aprire un mercatino di verdure. Sono certa che potrei avere successo. Le acquisterei dai produttori locali e poi le rivenderei, magari in un quartiere o in un’area della città dove l’offerta non è molta e ci sarebbero quindi potenziali clienti (inoltre Cesvi sta cercando di capire se può trovarle un corso di formazione professionale, n.d.r.)».
Hai mai pensato di andare via?
«Con i soldi del mercatino potrei finalmente affittare una stanza e abbandonare questo accampamento, dove vivere è così difficile. Qui cucino su fuochi accesi con plastica bruciata e sterpaglie, respiro un’aria malsana, mi lavo nell’acqua sporca del fiume, che è anche la stessa che uso per bere. I bagni sono i cespugli che crescono qui attorno… e quello che mi fa male è sapere che questa vita è la stessa che sta facendo mia figlia. Certamente vorrei andare via, non è questo quello che desidero, né per me né per lei».
Hai paura quando ti prostituisci?
«Nel luogo dove vivo è molto comune per noi donne subire violenze da parte di uomini ubriachi e cattivi. Sanno dove abito, che vivo da sola con una bambina piccola. L’unica soluzione quando sono aggredita è urlare, confidando che qualcuno possa accorrere al più presto, o scappare lontano e dormire all’aperto da qualche parte, tornando all’accampamento solo l’indomani».
Sei mai stata maltrattata?
«Talent è nata da una convivenza durata 3 anni. Il padre lavora come “comby-man”, ovvero invita le persone a salire sugli autobus nei pressi delle fermate, ricevendo dagli autisti delle piccole mance quando riesce a guadagnare dei clienti. La nostra storia è finita perché ad un certo punto quest’uomo ha iniziato ad abusare di me, a picchiarmi, a impedirmi di vedere altre persone. Mi sentivo come in una prigione e un giorno, quando è tornato a casa ubriaco, gli ho detto che per me era troppo e ci siamo separati. Ogni tanto, quando sono in grave difficoltà o quando Talent è malata, vado a cercarlo per chiedergli dei soldi, ma spesso torno a mani vuote».
Con chi rimane tua figlia quando lavori?
«Quando lavoro lascio Talent a giocare insieme agli altri bambini, magari sotto lo sguardo di una delle mamme che vivono qui. Tra mamme cerchiamo di aiutarci molto l’una con l’altra, specialmente in queste situazioni».
Qual è stato il primo pensiero quando hai scoperto di essere sieropositiva?
«È stato pochi mesi fa. Ho subito pensato al grave errore che avevo fatto, fidandomi di un cliente abituale con cui non avevo usato precauzioni. È stato lui a trasmettermi il virus HIV».
Cosa vuoi insegnare a tua figlia? Cosa sogni per lei?
«Grazie all’aiuto di Cesvi sto seguendo corsi di sensibilizzazione sull’AIDS, sulla prevenzione e sulla pianificazione familiare. Queste sono le prime cose che insegnerò a Talent appena avrà l’età giusta. Infatti, quando Cesvi ha testato la sua sieropositività, lei è risultata negativa e il mio desiderio è che rimanga così per tutta la sua vita».
Cosa le racconterai?
«Da quando ho incontrato per la prima volta Harold e Margareth (gli operatori Cesvi che si occupano delle attività di “outreach” che servono per identificare le persone che vivono sulla strada, n.d.r.) la nostra vita è cambiata molto. Io ho saputo come mai ultimamente non stavo bene e sono a poco a poco diventata autonoma e responsabile nel recarmi alla clinica per ritirare i farmaci antiretrovirali, quelli che mi danno la forza per prendermi cura di Talent; non solo, ho anche modificato le mie abitudini sessuali. Infine noi due possiamo curare l’igiene personale grazie alla donazione di pannolini e assorbenti e riceviamo pacchi con beni alimentari di prima necessità. Le racconterò questo affinché si ricordi sempre dell’aiuto che abbiamo ricevuto».
Ci lasci la tua canzone preferita?
«Una delle mie canzoni preferite è Mdhara Vachauya di Jah Prayzah, un cantante contemporaneo dello Zimbabwe.
Proprio la canzone che i bambini e i ragazzi della Casa del Sorriso di Cesvi hanno cantato e ballato lo scorso 1 Ottobre al Musica Festival organizzato ad Harare dall’Ambasciata d’Italia!».
Photo ©Roger Loguarro/Cesvi