“Antonio José Bolívar si occupava di tenerli a freno, mentre i coloni rovinavano la foresta costruendo il capolavoro dell’uomo civilizzato: il deserto”.
Antonio José Bolívar è un personaggio di fantasia creato dalla penna del celebre scrittore sudamericano Luis Sepúlveda, autore che spesso si è battuto per cause ambientaliste e per il benessere dell’Amazzonia, tanto da arrivare a sentirsi, nella vita e nella letteratura, “un attivista della difesa dell’ambiente”. Mentre nella letteratura Bolívar si batte in eterno per la difesa della foresta, anche nel mondo reale, quello al di là della finzione letteraria, il popolo Waorani della provincia del Pastaza, in Ecuador, ha fatto propria la stessa causa e vinto la stessa sfida, riuscendo a proteggere mezzo milione di acri di foresta amazzonica dall’estrazione di petrolio e dalla distruzione.
Negli ultimi anni, infatti, il governo ecuadoriano aveva progressivamente diviso l’area amazzonica di propria competenza in “blocchi” o porzioni di terreno, con l’intenzione di renderle disponibili alle compagnie petrolifere per l’estrazione di materie prime e, quindi, per il ricavo di un ingente guadagno economico. Uno dei “blocchi”, però, includeva il territorio del popolo Waorani, che si è battuto strenuamente per la sua salvaguardia, vincendo la battaglia. Ma come è riuscita una singola tribù dell’Amazzonia a vincere contro i giganti delle compagnie petrolifere e del governo ecuadoriano? La resistenza dei Waorani ha assunto due forme principali: quella culturale prima e quella legale poi.
Waorani, i protettori della foresta
Da un lato, infatti, i nativi amazzoni si sono opposti con fermezza alla volontà del loro stesso governo sottolineando con forza il proprio ruolo culturale di “protettori della foresta”, di cui hanno dimostrato di avere una conoscenza profonda e minuziosa e con la quale vivono a stretto contatto, avendo piena coscienza del legame simbiotico che li lega al proprio ambiente naturale. I Waorani hanno quindi dimostrato come qualsiasi intervento sulla foresta avrebbe un impatto devastante sulle proprie tradizioni, sulla propria cultura e quindi sulla propria identità.
Dal 2015 al 2018, i nativi amazzoni hanno unito le forze e messo a confronto le conoscenze di ogni membro della propria comunità per l’elaborazione di una mappa del proprio territorio al fine di mostrare al mondo l’immagine della foresta vista attraverso i loro occhi. Se le mappe usate dal governo individuavano solo i giacimenti e i depositi di materie prime, la mappa elaborata dai Waorani presentava un’immagine estremamente più ricca, fatta di una grandissima varietà di alberi, piante e specie animali, fonti d’acqua, luoghi sacri, siti storici, luoghi di antiche battaglie, tragitti percorsi dalle varie specie animali, luoghi di crescita delle piante medicinali, zone di pesca e molto altro ancora.
Oltre a questo, i nativi amazzoni hanno letteralmente portato nelle aule di tribunale la propria cultura, comparendo in abiti tradizionali e cantando, ancora una volta, il proprio ruolo storico di protettori della foresta e ottenendo, con questa forma di protesta pacifica, la temporanea sospensione dei procedimenti legali e, quindi, tempo per preparare la propria battaglia in quello stesso ambito.
In campo legale, i Waorani sono riusciti a mettere chiaramente in luce l’operato scorretto del governo nei loro confronti. Oswando Nenquimo, rappresentante della comunità, ha dichiarato che “…per il governo, la vendita delle nostre terre era già stata decisa. Avevano già preparato i piani e le mappe. Non sono venuti a consultarci, ma ad ingannare il nostro popolo per farci firmare i documenti, ma noi sappiamo di avere dei diritti e siamo pronti a difenderli”.
Come purtroppo accade spesso, anche in questo caso la volontà delle popolazioni locali è stata presa in considerazione dal governo solo come una voce in più da spuntare nell’elenco delle cose da fare per avviare un piano già determinato in partenza e mai come una vera discussione sulle reali intenzioni delle due parti in causa.
I Waorani, inoltre, hanno anche dimostrato come il governo abbia usato contro di loro tattiche di manipolazione per convincere la popolazione a cedere, tentando di nascondere loro i reali progetti per l’area. I rappresentanti del governo ecuadoriano incaricati di aprire la discussione con i Waorani, infatti, hanno promesso loro scuole e ospedali, senza mai fare riferimento all’intenzione di vendere il territorio alle compagnie petrolifere.
Tutto questo è stato riconosciuto, infine, in tribunale. La corte, infatti, “ha riconosciuto uno schema ricorrente di inganno, malafede e tattiche manipolatorie nel tentativo del governo ecuadoriano di destinare le terre dei Waorani all’estrazione petrolifera”. Di conseguenza, queste stesse terre sono oggi protette in nome dell’inalienabile diritto delle popolazioni indigene di gestire il proprio territorio e di deciderne il destino.
L’importanza di un tale verdetto è cruciale su vari fronti. Innanzitutto, questa sentenza costituirà un precedente legale non solo per la futura protezione di questo territorio, ma per la salvaguardia di ogni area dell’Amazzonia in cui siano presenti delle popolazioni indigene. In secondo luogo, la sentenza rivendica con decisione i diritti dei nativi all’autodeterminazione e alla gestione del proprio territorio, valorizzandone, così, l’identità e la cultura e ribadendo la necessità che sia la loro volontà e non gli interessi economici a costituire l’elemento centrale nelle decisioni riguardanti il territorio amazzonico.
Infine, il verdetto tutela un territorio di cruciale importanza per la lotta al cambiamento climatico, che non riguarda solo le popolazioni indigene, ma tutti noi. Questa decisione protegge una ricchezza straordinaria del nostro pianeta, un tesoro che lo stesso Sepúlveda, citato in precedenza, descrisse dicendo che “in un ettaro della sua superficie crescono oltre duecento specie di alberi. In tutta Europa se ne trovano appena centosettanta. Qui la vita si autoimmola e si ricrea nel meraviglioso caos delle origini”.