Disability Pride is coming. L’appuntamento è a Roma, 14 luglio alle 18. Per l’occasione la Capitale vedrà persone in sedia a rotelle, ciechi, sordi, persone con disturbi motori e disagi psichici di varia natura, sfilare insieme a tanti loro amici con l’obiettivo di rivendicare l’effettiva inclusione delle persone con disabilità.
L’intenzione è quella di ricordare a tutti quali sono i diritti ancora da affermare. Infatti, la stigmatizzazione sociale che contribuisce alla segregazione di persone con disabilità fa sì che questa diversità sia vissuta con vergogna, come qualcosa da nascondere ed espiare. Questo accomuna anche altre forme di diversità che il Disability Pride non dimentica di supportare.
Per questo motivo, come ricorda il comunicato stampa ufficiale, è necessario che “i più emancipati tra le donne e gli uomini con disabilità, i loro amici e tutte le persone sensibili e consapevoli, sfilino con orgoglio, in modo rumoroso, colorato e sopra le righe, per chiedere un mondo inclusivo per tutti”.
Tra gli eventi della giornata ci sarà, per la prima volta, la consegna del Disability Prize a Carolina Raspanti, interprete del film pluripremiato al festival di Berlino: Dafne. Il film, diretto da Federico Bondi, ritrae una donna con la sindrome di down alle prese con le avversità e le difficoltà della vita. Una pellicola, quindi, che dà visibilità a un personaggio esempio di forza e umanità, per tutti.
Il Disability Pride, condotto da Federico Perrotta e Arianna Ciampoli, terminerà con una festa accessibile a tutti, incluso il servizio d’interpretariato nella Lingua dei segni italiana (LIS) dell’Accademia Europea Sordi e i sottotitoli in diretta.
Nella pagina Facebook ufficiale, invece, sarà possibile seguire gli aggiornamenti della manifestazione in tempo reale, al motto di #inclusivopresente (qui).
Nell’attesa di festeggiare insieme sabato, abbiamo intervistato i membri e il presidente dell’associazione Disability Pride Italia per dare voce, in prima persona, a chi ci può raccontare come e perché nasce l’orgoglio.
Il nome Disability Pride e l’invito a “sfilare con orgoglio in modo rumoroso, colorato e sopra le righe” si può considerare come un richiamo diretto al più noto “pride”, ovvero quello relativo alle persone della comunità LGBTI+?
Risponde Daniele Lauri dell’associazione Disability Pride Italia:
«La risposta è sì. Come esempio dell’emancipazione della lotta di una categoria discriminata, anche il tradizionale Pride del movimento LGTBI+ si è posto in altre città l’obiettivo di essere il Pride di tutte le categorie discriminate. Così ad esempio a Berlino, tutti quanti, persone con disabilità, persone con disagio psichiatrico, LGTB+ e migranti sfilano addirittura tutti insieme. In Italia, invece, abbiamo ritenuto, anche insieme al circolo di cultura omosessuale Mario Mieli, che ci sia ancora bisogno di specificare appunto le diverse esigenze di queste categorie. Ciò non toglie che siamo in contatto e facciamo delle battaglie anche comuni».
“Pride” significa orgoglio. Ciò significa che l’orgoglio è una risposta per uscire da una possibile vergogna interiorizzata anche a causa della società?
«Si tratta soprattutto di far uscire dall’invisibilità delle persone che hanno vissuto sulla propria pelle uno stigma e ribaltare il concetto. Quindi si, evidenziare le contraddizioni degli stereotipi di normalità imperanti».
Dite che il vostro pride “si estende ad altre minoranze, orientamenti, diversità”. Questo ci fa intendere un’apertura a 360 gradi verso chiunque. Tuttavia, nel dibattito pubblico, quando si parla di minoranze, alcuni tendono a strumentalizzare il fatto che sostenere una minoranza implichi escluderne un’altra. Per esempio, un attacco a chi vuole aiutare i migranti, è spesso: “E allora i disabili?”. Cosa rispondete a chi pone questo “aut-aut”?
«La risposta è implicita nel messaggio che noi lanciamo. Ci battiamo per una società solidale e inclusiva e porsi questi obiettivi vuol dire non escludere nessuno e quindi porre al di fuori del nostro sentire chi vuole mettere una minoranza prima di un’altra».
Come dovrebbero essere rappresentate le persone disabili nei media? Secondo voi, oggi sono abbastanza rappresentate?
«Innanzitutto parliamo di persone con disabilità e non di persone disabili: questa distinzione che pare leziosa è un caposaldo della convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, con la quale si vuole levare alla disabilità l’eccezione di descrizione e di qualifica per far ritornare al centro la persona.
Purtroppo la nostra società ha ancora criteri, canoni e stereotipi di conformità che tendono a non mostrare la complessità delle persone “non-conformi”. Il Pride è appunto un tentativo di sovvertire questo modo di pensare senza dover fare la conta sindacale di quanta disabilità, malattia, vecchiaia, quote rosa, eccetera, viene rappresentata».
Quali sono le maggiori urgenze alle quali lo Stato italiano dovrebbe rispondere in tema di disabilità?
Risponde Carmelo Comisi, presidente dell’associazione:
«Tutto quello che riguarda l’inclusione. Per i disabili gravi come me è importantissima la possibilità assistenziale chiamata “vita indipendente”, cioè quell’assistenza necessaria a svolgere le comuni attività lavorative etc. Poi l’urgenza è soggettiva, le disabilità sono molteplici e lo stato non sa ancora come affrontare il problema nella maniera corretta».