Un amaro racconto tra invenzione e realtà sulla dipendenza da tecnologia.
La droga dei nostri tempi è la solitudine che ammorba le nostre coscienze ottuse, l’isolamento che creiamo attraverso una volontaria prigionia è ciò che adoriamo. Morti in vita, davanti ad uno schermo lasciamo che il tempo passi e scivoli ininterrottamente, senza una fine.
Le ore si susseguono e le notti sostituiscono i giorni, le ore diventano anni e la nostra realtà si dilata a dismisura. Come uomini d’affari in metropolitana, premiamo un pulsante e abbiamo tutto sotto controllo, come i cadaveri sepolti sottoterra, digitiamo sulla superficie liscia e il sapere universale si materializza sotto i nostri occhi.
Soli, vuoti e privi di vita, guardiamo avvenire quella degli altri, la finzione è la nostra padrona di casa, il virtuale è l’unica sicurezza che ci rimane. Non riusciamo più a concentrarci per più di pochi secondi, tutto è statico ma troppo frenetico, tutto si disintegra.
La nostra personalità intera viene assorbita in un eterno oblio, non dobbiamo far penetrare il veleno nelle nostre vene, basta un’iniezione di file spediti attraverso la rete, una compressione in un altro formato ed ecco che possediamo qualcosa. Dei indiscussi, in euforia maniacale, possediamo uno spazio immenso. Prima desideravamo dei metri quadri da riempire con merce inutile, ora consumiamo terabyte, ingombrando l’hard disk esterno con fotografie che non ricordiamo di aver scattato.
Senza tecnologia non possiamo più vivere, ecco perché essa è peggio della droga che rovina le narici, che altera lo stato della nostra macchina alimentata dai neuroni. Inaliamo l’ebbrezza di un libro elettronico che non avremo mai tempo di leggere, chattiamo con uno sconosciuto che dall’altra parte dello schermo sta sfogando i suoi bisogni primordiali, giochiamo muovendo solo i muscoli delle mani.
Gli occhi si sforzano, la spina dorsale si piega in modo innaturale, siamo diventati di pietra, più statici del marmo. Di notte arrivano gli incubi, abbiamo perso la capacità di sognare, di giorno invece abbiamo perso la capacità di immaginare. Andiamo dallo psicologo e dallo psichiatra, non sappiamo più esprimerci e non abbiamo amici che ascoltino i nostri problemi, dobbiamo pagare per esser di nuovo umani.
Sarebbe più facile virtualmente, come siamo soliti fare, quando acquistiamo le nostre merci online. L’inutile si accumula nelle nostre vite ed il dilettevole si riduce all’ennesima serie televisiva che ci accingeremo a guardare appena finiremo di vedere la precedente.
I nostri migliori amici sono attori di scadenti sit comedy. Guardiamo anime che hanno occhi occidentali pur essendo disegnati da mangaka giapponesi, guadagnano soldi grazie a noi che guardiamo i loro video migliaia e migliaia di volte. È un vizio, una routine, è una macchina che resta sempre accesa, al contrario di ciò che risiede nella nostra scatola cranica.
Tutto si spegne, la luce, l’umanità, il bello. Non potremmo nemmeno sembrare dei vegetali perché essi sono più espressivi di noi, nemmeno pazienti anestetizzati. Non siamo dei tossici, non siamo dei fanatici religiosi, non amiamo la guerra, eppure diffondiamo odio dalle comode poltrone nelle nostre case, non sappiamo più scrivere qualcosa che abbia un senso, incuranti del fatto che non esiste più la privacy, siamo tutti convinti di essere i fautori del nostro destino.
Sentiamo un incredibile impulso di rendere pubblico tutto ciò che ci accade, dobbiamo manifestare il miracolo che è la nostra vita attraverso fotografie del nostro viso scattate ovunque, luoghi che non ricorderemo mai riguardando quelle fotografie. Creiamo il vuoto ad ogni scatto.
Dobbiamo scrivere tutto con meno di centocinquanta parole oppure le nostre perle di vita non verranno lette da nessuno e allora scriviamo, scriviamo senza pensare perché siamo totalmente incapaci di farlo. Non abbiamo un’opinione su niente ma fingiamo di averla su tutto, la finzione si può imparare dopotutto.
Nella nostra vita importa solo seguire ed essere seguiti, avere degli sconosciuti come amici, difendere l’anonimato con ogni singola arma in nostro possesso. Rivendichiamo l’unicità e lo facciamo tutti allo stesso modo, facciamo di qualsiasi cosa una moda, amiamo il possesso.
Più di ogni altra cosa amiamo possedere le cose, infatti siamo dotati di tutti gli strumenti necessari per raggiungere i nostri obiettivi, diamo l’ordine e la tecnologia, la schiava, esegue. Siamo aggiornati in tempo reale su cosa accade in ogni singola parte del mondo, lo possiamo visitare stando comodamente seduti in veranda.
Peccato che l’unica cosa che conosciamo del mondo siano le ringhiere che delimitano lo spazio della veranda, siamo seduti fuori dalla casa per illuderci di avere una vita che si svolge all’esterno. La realtà è che siamo tutti in trappola, delle vittime, prede di un sistema che ci ha resi schiavi di noi stessi.
La realtà è che tutto questo lo amiamo, non possiamo farne a meno, siamo diventati indulgenti e ci siamo abituati a questa comodità. Talvolta qualcuno tenta di ribellarsi al sistema ma ciò è impossibile, la perfezione non si può rifiutare.
I bambini devono imparare da subito e così gli vengono forniti gli accessori del potere, la droga viene somministrata a piccole dosi, iniziando con un tocco e terminando con un’iniezione letale. Tutto è curato nel minimo dettaglio, il margine di errore è minimo, il piano che il futuro ha in serbo per l’umanità è infallibile.
Il contatto umano è inesistente, le emozioni sono argomenti da blog, la rabbia repressa dilaga. In questo universo c’è tutto: sesso, potere, cultura, divertimento, avventura, tutto è fuso insieme così la confusione è l’elemento principale del sistema. Tutto è stereotipato ed etichettato, tutto è ordinato ed inscatolato, tutto è vero ed è falso allo stesso tempo.
Stiamo vivendo in una distopia, siamo soggiogati da un demone che si mostra ai nostri occhi sotto forma di un dio. la tecnologia succhia l’anima dai nostri occhi, la decomprime e la invia nella rete scaricandola come un virus perverso che infetta qualsiasi cosa.
Lo possiamo fare durante una videochiamata, mentre siamo in una toilette, mentre stiamo scattando una fotografia in compagnia di qualche altro adepto, mentre cinque ore sono passate e credevamo che ne fossero passate solo tre dal momento dell’accensione.
Non siamo più capaci di giudicare se ciò sia pericoloso o inquietante, non proviamo ansia quando questo pesante narcotico entra in circolo. Il mix è letale, la combinazione di elementi è calibrata al punto giusto, repressione e liberazione, perdita e guadagno.
È più forte del gioco d’azzardo, è una scommessa sull’impossibile, è l’invincibile e pulsante potere virtuale dell’illusione di aver sconfitto persino la morte. Perdiamo la vista, il sonno, il fisico si sciupa, l’appetito, la voglia di stare con le persone e rimaniamo completamente soli, ci illudiamo di desiderarlo e alla fine lo siamo veramente.
Stiamo tutti morendo da soli per ogni commento che pubblichiamo, per ogni password che non dobbiamo perdere, per ogni newsletter alla quale siamo iscritti. Navighiamo senza cartina, abbiamo il globo a portata di mouse, sappiamo cinque lingue alla volta solo perché qualche algoritmo le sa per noi.
Siamo perduti, dannati, creature malate e corrotte. Dal primo all’ultimo siamo tutti neofiti del sistema. Ad ognuno di noi è stato detto di essere un capo, di avere le carte in regola per essere il leader, i nostri idoli sono costosi e raffinati, faremmo di tutto per averne di più costosi e raffinati.
Non rincorriamo nemmeno più gli ultimi modelli per avere più degli altri, la realtà è che più corriamo verso il vuoto e vendiamo la nostra anima, più ci sentiamo vuoti e, questa droga ci piace. Procrastiniamo, dubitiamo, riflettiamo, ma siamo capaci di farlo solo se l’abbiamo letto, visto, sentito, udito, da lui, il supremo internet.
La nostra religione è così antitetica che l’unico vero tempio è fatto per essere distrutto, il corpo decade. Moriamo in vita e condanneremo i nostri figli a ripetere questo errore all’infinito, rovineremo le loro vite proprio come si sono rovinate le nostre. Non c’è una via d’uscita e se anche ci fosse, non potremmo accettare l’esistenza di quest’ultima.
Non crediamo in niente, siamo atei ma la nostra devozione rasenta il fanatismo. Il divino è in noi, ecco perché sulla rete siamo dei titani invincibili e nella vita vera di noi restano solo gli scarti. Le persone divorziano, si uccidono, si drogano, abortiscono, ma la loro vera morte inizia attraverso la tecnologia. Dal momento in cui il clic risuona sotto l’indice e lo schermo viene toccato per la prima volta, dal momento in cui i nostri occhi vedono attraverso degli occhiali senza lenti, ecco che inizia la disfatta.
Automi, più macchine che uomini, gli occhi vacui e i vestiti sempre più costosi. Ci battiamo solo per le cause più facili da vincere, per noi stessi non vale più la pena di combattere o di metterci in gioco, siamo già abbastanza disperati. Meglio seguire la massa e continuare a vivere in una bolla di sapone che non può scoppiare.
Le nostre vite di plastica profumano di spazzatura, siamo muti e ciechi per scelta, asessuati o assetati fa lo stesso. Il linguaggio non serve più perché non c’è più niente da esprimere, abbiamo oltrepassato lo stadio in cui il linguaggio può ancora comunicare qualcosa anche se è l’assurdo o l’insensato, ora l’unico veicolo che avevamo serve a comunicare qualcosa che implode in silenzio e ci divora tutti, dal primo all’ultimo.
La lingua serve a colmare un vuoto troppo grande, una solitudine crescente. Mentre moriamo vogliamo avere la certezza che qualcosa di noi rimarrà da qualche parte, fino al giorno del giudizio in cui avverrà una grande tabula rasa di ogni nostro dato in rete, rimarremo alla mercè del primo sconosciuto. Prendici e fa di noi ciò che più desideri.
Siamo tutti malati incurabili, il nostro germe è il nostro tempo cancerogeno. Mentre ingeriamo il vapore dalla nostra sigaretta elettronica e pensiamo di aver sconfitto un dio inesistente in una partita a scacchi, come delle pedine soccombiamo. Prima eravamo dei soldati sacrificati al fronte, ora siamo delle pedine senza volti che non sono più utili nemmeno per un sacrificio. Comoda e gratuita, questa droga è la più letale proprio perché non uccide.
Come uscire dalla spirale? La riabilitazione diventerebbe ben presto mainstream e il suicidio farebbe tendenza, protestare equivarrebbe a rivendicare e dichiararsi contro attirerebbe l’attenzione. Un minuto di fama, ecco che tutti vogliamo un minuto di fama. Aspettiamo che la ricchezza cada dal cielo perché funziona così e poi ecco che cadiamo di nuovo nell’oblio.
Non c’è medicina, non c’è una soluzione, nemmeno una semplice. Forse bisogna abbandonare la speranza ed iniziare a vivere sul serio, ma non lo possiamo fare se qualcuno non ci dice come farlo, non possiamo imparare qualcosa che non abbiamo mai saputo né mai sapremo fare.
Filosofia distruttiva, letteratura nichilista, distopia collettiva, tante parole per indicare che il vuoto domina. La nostra società intera è votata al vuoto, devota verso l’inesistente per eccellenza, l’unica certezza è il fatto che non ci si possa redimere da questa condizione.
L’unica certezza è che siamo tutti condannati. La libertà esiste solo per gli ignoranti, peccato che essi poi non possano esser considerati gli unici ad esser in grado di sapere e conoscere visto che sono gli intelligenti a giudicare gli ignoranti. Un intelligente che ha una sua propria teoria è tale o è un malato ignorante e visionario?
Forse le persone possono avere delle teorie che sono corrette solo per loro stesse, teorie che capiscono solo loro e non possono dimostrare, cosa dimostra questo di tutte le persone? Esiste qualcuno che sta al di fuori e allo stesso tempo all’interno, capace di avere uno sguardo distaccato e capire la realtà per poi dimostrare che essa possieda almeno un fondamento di verità, oppure tutto è totalmente irreale?
Solo le macchine con le loro percentuali possono determinare l’esattezza di una realtà insondabile. È inutile interrogarsi, l’umanità è condannata ad estinguersi anche se, visti i precedenti storici, sempre che esista la storia come la conosciamo, è anche destinata a salvare sé stessa.
Umanità precaria, in bilico, siamo vivi o morti? Sogniamo o siam desti? Per parlare con le parole di altri, visto che solo questo si può fare, concludiamo con quest’ultimo pensiero profondo: ogni cosa che sappiamo della realtà è falsa a priori.
Logico quindi interrogarsi, oppure bisogna rassegnarsi al fatto che sia così e basta? Chiederemo ad un qualsiasi motore di ricerca e nei pochi millisecondi necessari ad ottenere la risposta lasciamo che i nostri avatar si preoccupino di continuare la discussione.