Davide Anselmi lo ascoltiamo tutti i giorni in tv tra Focus, Dmax e RealTime, solo per citare i canali più noti. Nel 2017 ha vinto il disco d’oro per le 100mila copia vendute con il suo settimo (concept) album “Tearstone”. È nato il 27 Settembre 1999 e vive a Cairate, in provincia di Varese.
Di fatto, le sue musiche passano quotidianamente nel piccolo schermo tra i programmi di Discovery Channel, oppure negli Usa con la AMC o a Londra con la BBC. Compositore, discografico, produttore cinematografico, batterista e chitarrista, ha impugnato per la prima volta le bacchette a due anni e non le ha più lasciate.
Dopo essere passato attraverso lo studio della musica italiana, è approdato al rock anni ’80 abbracciando il progressive rock come genere che lo contraddistingue. Il suo primo album, Eclisse, è uscito nel 2013 ed è stato l’amo che gli ha permesso di essere contattato dalla BBC.
Tutto è iniziato grazie alla conquista del terzo posto al concorso di Mike Mangini (batterista dei Dream Theater), a 13 anni, che portò la sua fama a livello internazionale. Da lì arrivò il contratto con la Roadrunners Records e in seguito i primi album a cominciare da Eclisse (2013), lavoro che gli ha permesso di essere contattato dalla BBC nel 2014. Nel 2016 ha pubblicato il suo settimo album, Terstone, quello che lo ha fissato nella storia della musica per le 100mila copie vendute.
Con la sua casa discografica, la Understudios Entertainment, ha appena firmato la colonna sonora della terza parte della serie tv Netflix, La Casa di Carta (in uscita nel 2019 in Italia). A lui hanno infatti affidato non solo la revisione di tutte le musiche ma anche il remake della principale canzone del telefilm, My Life is Going On.
Con Netflix collabora già per la realizzazione dei suoni di alcuni film e telefilm come Orange is the New Black, 13 Reasons Why, Black Mirror, Grimm, Pacific Rimm: Uprising e Maze Runner: The Death Cure.
Inoltre, il suo nome compare sulle bacchette della Vic Firth e sulle batterie Remo. Per aggiungere carne al fuoco del talento, non mancano le sue 40 tracce realizzate in collaborazione con Hans Zimmer (Product Red – qui la sua ouverture), Chester Bennington (Linkin Park), Michael Tilson Thomas, John Petrucci e Jordan Rudess (in Theory of Everything).
Non da ultimo, a giugno, è uscito “Davide Anselmi. Biography”. 68 pagine, tramite la casa editrice La Feltrinelli (e la supervisione del gruppo editoriale Gedi per la tiratura delle copie). Qui il link per acquistare il libro.
E per i più scettici c’è un link che non lascia traccia ai dubbi, sul sito della IMDb, ovvero il portale che riporta gli autori di varie produzioni cinematografiche.
Intanto, Sguardi di Confine lo ha intervistato. Servizio realizzato in collaborazione con I. Capitanio
Chi è Davide Anselmi? Autodefinisciti
«Musicista, batterista, chitarrista e in un secondo momento compositore discografico e cinematografico che si è approcciato anche al mondo della cinematografia».
Come nasce Davide Anselmi musicista?
«Mio papà mi ha sempre trasmesso il valore della musica, era un chitarrista. Ho iniziato a suonare a 2 anni la batteria. Mi sono approcciato alla musica italiana seguendo i Pooh, Ron, Vasco Rossi ad esempio. Fino a quando ho conosciuto dei ragazzi che mi hanno fatto partecipare al loro gruppo hard Rock anni ’70-’80.
Entrato nell’hard rock, pian piano mi sono distaccato da questo mondo portandomi più sul jazz. Ho avuto un maestro di jazz per qualche mese, fino ad arrivare al progressive rock: misto tra rock anni 70’ e 80’ e musiche strumentali.
Sono sempre stato autodidatta a parte essere seguito da questo maestro di jazz che mi ha insegnato l’impostazione e la tecnica. Poi come autodidatta ho imparato a leggere e scrivere la musica».
L’idea di essere produttore è arrivata da sola, oppure?
«È arrivata a seguito di una serie di eventi. Dopo aver ricevuto diverse richieste, da una prima mail di una ragazza che mi ha contattato. Mi ha portato una 50ina di ragazzi al giorno per registrarli, proporli e distribuirli. Avendo basi in musica classica e orchestrale, mi sono approcciato anche alle colonne sonore.
Ho realizzato 7 album. Qui risaltava di più la parte orchestrale rispetto a quella hard rock. Quello è stato il via alle varie collaborazioni con Hans Zimmer e Netflix. Fino a conoscere Chester, il cantante dei Linkin Park. Eravamo molto amici, ho fatto una canzone con lui. È uscita su Mtv Italia per 3 mesi, era una canzone dentro il mio album Tearstone.
Ora ho accantonato gli album a mio nome mettendo in prima fila la collaborazione per la realizzazione di colonne sonore».
Chi è stato il tuo primo gancio?
«Ho conosciuto Mike Mangimi, batterista dei Dream Theater. Lui è stato il mio gancio. Così sono entrato nella RoadRunners Records. In seguito ho iniziato a produrre da solo e ho aperto la mia casa discografica, Understudios. Da qui produco le varie colonne sonore per le serie tv e i miei album. Ci sono 47 dipendenti a cui faccio capo io, la maggior parte sono negli Usa».
Come gestiti la tua casa discografica?
«Ho avuto agganci negli Usa per iniziare. Fin da subito mi hanno affiancato il personale del dipartimento legale e il marketing, loro sono negli Usa e prendono una percentuale di diritti sul lavoro che svolgo. L’altra metà dei dipendenti è in Italia, mi aiutano personalmente per diversi lavori».
Com’è stata la collaborazione con le personalità note con le quali hai collaborato?
«Purtroppo sono sempre state chiacchierate via Skype. Non potevo spostarmi dall’Italia per via della scuola. Ma con Chester ci sentivamo tutti i giorni. Qui invece ho conosciuto Dodi Battaglia dei Pooh, che è diventato un carissimo amico».
Invece cosa pensi dei Dream Theater?
«Per me sono il gruppo di massima esponenza del progressive rock».
Com’è stato ricevere la richiesta da Mtv?
«Non me lo aspettavo. Andava già su Mtv Usa dal 2014 ma in Italia no, qui arriviamo sempre ultimi, andiamo a rilento. Quindi non me l’aspettavo. Ci hanno proposto di mandare su Mtv il video per 3 mesi».
Hai realizzato per la prima volta un’audizione. Per scegliere la nuova voce della terza stagione della sigla La Casa di Carta in Italia. Com’è andata?
«È stato bello e stressante. La cantante scelta si chiama Emma Patrini. Ha una splendida voce. Eravamo bloccati su 3 voci una semplice, una molto grave e la sua che era nel mezzo. Abbiamo scelto la sua perché rispecchiava il nostro intento.
Ho visto persone da paesini lontani del Piemonte, cambiando un sacco di treni per venire qui. È stato emozionante, mi hanno trasmesso molte delle loro emozioni».
Il disco d’oro invece te lo aspettavi? Avevi 17 anni…
«Me l’aspettavo. Non è stato una sorpresa perché vedevo le vendite di mese in mese. In ogni caso è stata una grande emozione».
Ti dà fastidio che le persone vedano la tua età prima della tua attività?
«Sì. Ci sono state pure molte critiche su questo aspetto. Molte persone si dimostrano gelose e molte nel tempo si sono rifiutate di collaborare con me e penso si siano mangiate poi le mani. Poi capisco che è normale che ci sia invidia».
Critiche pesanti ricevute?
«Sì, ad esempio due settimane fa, su LinkedIn. Mi hanno chiesto una produzione porno. Non è un ambito che mi interessa e ho risposto di no. Questa persona mi ha risposto che mi avrebbe denunciato, aggiungendo che tremano quelli che sentono il suo nome».
Cosa ti dà più fastidio?
«Quando mi scrivono una mail o un messaggio e mi chiedono una produzione discografica, distribuzione, video clip… gratis. È la cosa più brutta. Un conto è la gavetta iniziale… un conto ora. La mia risposta è no. Perché è il mio lavoro, non vivo d’aria. Certo. È una passione e aiuto i miei amici. Ho aperto un contratto con un gruppo di amici e non ho fatto pagare loro nulla. Ma di certo non lo faccio con chi non conosco nemmeno.
Mi dà fastidio anche quando mi dicono che sono troppo piccolo per quello che ho fatto. Viene fuori la gelosia delle persone. Fa male quello che dicono nei tuoi confronti. Frasi minatorie di ogni tipo o ragionamenti contorti che fanno male soltanto a me. Fanno male davvero all’artista in generale ma sono una piccola minoranza rispetto al grande pubblico che mi segue».
Come vivi questo successo nella tua vita privata?
«Bene, a volte male. Più indietro negli anni non sentivo la mia ragazza per diversi giorni di fila per l’impegno con il mio lavoro. Poi ho deciso di creare l’Understudios e dare compiti ad ognuno. Ora respiro».
Com’è il tuo processo creativo?
«Prima di tutto penso al contesto del film: giallo, horror etc. In seguito analizzo le personalità dei personaggi e le loro azioni. Quindi utilizzo certe scale armoniche che vanno a richiamare quei relativi sentimenti, piuttosto che delle arie orchestrali. Nei film, poi, accosto in base all’umore dei personaggi la loro specifica colonna sonora. In alcuni casi utilizzo strumenti musicali ad hoc come il fagotto o l’oboe che delineano un personaggio goffo ad esempio. Oppure il flauto che accompagna un uccellino o un bambino che corre».
Lo stesso vale per i tuoi album?
«Sì, i miei sono concept album. Invento la storia e da lì tiro fuori le canzoni. Per ora non sto lavorando a miei nuovi album però».
Hai dei musicisti dai quali trai ispirazione?
«Dream Theater tutta la vita, in Italia i Pooh, specialmente per la loro Parsifal, è orchestrale e richiama molto il mio tipo di lavoro».
Sei più conosciuto all’Estero o a chi è nel settore?
«Per il mio lavoro come artista, all’Estero sicuramente: Usa, Canada, Gran Bretagna, Germania, Francia, Cina, Giappone. Sul lato cinematografico, invece, un po’ ovunque. Si parla anche di produttori dalla Russia o dalla Spagna (vedi la Casa di Carta)».
Perché in Italia meno?
«Beh, basta ascoltare chi passa sempre su Mtv. Ci sono i soliti nomi: Ghali, Jimmy Taiz, Young Signorino. Questo sarebbe il futuro della musica? Eppure abbiamo un grosso bagaglio culturale dietro».
E a questo bagaglio culturale tu ti ispiri. La musica classica è una delle tue basi…
«Sì, ho iniziato a suonare chitarra classica alle scuole medie. Il mio professore mi ha introdotto a questo mondo. La musica classica è alla base di tutto. Il jazz invece è alla base della musica contemporanea, anche il rap stesso deriva dal jazz».
Cos’è per te la musica?
«Il mio mondo, la mia vita. Vuol dire tutto. Quando ho uno strumento in mano suono anche 4 ore di seguito. Per me è come trovarsi in Paradiso».
Sogni per il futuro?
«Sogno un futuro che mi veda al 100% impegnato nella musica. Vorrei vivere solo di quello».
Vuoi dare un messaggio ai giovani?
«Il mio messaggio è quello di buttarsi. Ci sono tante piattaforme che danno la possibilità di farlo: YouTube, Instagram, Facebook. C’è un pubbblico enorme che cerca nuovi talenti e persone per svariati mondi. Per me, se qualcuno ha una dote, di qualsiasi tipo, quello è il punto giusto da cui partire».
La tua canzone preferita?
«Un’orchestrale: Concerto per violino e orchestra di Tchaikovsky».
Tra le tue personali?
«Tearstone, la canzone che dà nome all’album, dura 20 minuti. È una delle più faticose e meglio riuscite».