Ionut Soimosan, 29 anni, rumeno, nel carcere di Busto Arsizio (Varese) dal 4 marzo 2013. Grazie alla sua buona condotta, ha la possibilità di uscire dall’istituto penitenziario e sfruttare permessi premio, fino al termine della pena. Lo incontriamo in Casa Onesimo – struttura che ospita persone straniere in asilo politico e reclusi in libera uscita – a Busto Arsizio, a novembre 2015.
Com’è la vita in carcere e come (e se) ti ha cambiato?
“Bella non è ma… diciamo… mi ha cambiato molto. Sono rinato, è stato un percorso che mi è servito a tutto. Ho perso la libertà pensando di aver lasciato fuori una fidanzata, una famiglia… non era un bel pensiero. E poi non sapevo nemmeno una parola della lingua italiana. Ho visto questo mondo dove tutti parlavano strano.
In realtà, per me non è la prima esperienza in carcere. All’età di 22 anni ho fatto tantissime cose non giuste. Sono stato 4 anni in Romania in carcere, poi sono stato scarcerato nel 2012 e ho commesso lo sbaglio per cui sono qui. Rispetto alla Romania, questo posto l’ho trovato molto più brutto anche perché non era la mia casa, non si parlava la lingua e quindi ero confuso e non avevo nessuno. Il primo impatto è stato abbastanza brutto. Per fortuna sono riuscito a comunicare con qualcuno in inglese e così mi hanno capito. Però poi, uno deve pensare: a stare male non si va avanti. Mi sono rassegnato e mi sono detto che dovevo fare qualcosa. L’ho capito che ho sbagliato e che non è la vita che volevo e chi sbaglia deve pagare. Ho capito quello che ho fatto e mi sono detto ‘ora devo pagare’. Quindi non volevo sprecare il tempo qui.
Il primo obiettivo era l’italiano e così ho conosciuto le mie bravissime professoresse: Lucia, Antonia e Francesca, quindi mi sono inserito al corso di alfabetizzazione. Il mio obiettivo era soprattutto capire cosa mi dicono, sapere la lingua di casa è essenziale e ci sono riuscito. Sapevo un po’ lo spagnolo e le professoresse erano molto brave e poi ci tenevo molto a questa cosa: quando vuoi veramente una cosa, riesci a farla. Così, tutto sommato, dopo circa un anno e mezzo, ho preso il diploma C2, il livello massimo. Quando vuoi una cosa con tutto il cuore, nulla ti può fermare. Volevo imparare l’italiano… ancora non lo so benissimo ma il livello parla chiaro”.
Quindi, come hai passato per il resto la vita in carcere?
“Mi sono detto, ora cosa faccio? Se sai la lingua, leggi qualche libro perché nella mia lingua non si trovavano. Altrimenti facendo le attività. A me hanno salvato le attività tra cui: andare a scuola – mi sono inserito a fare l’Ipc dopo 6 mesi che ho preso il diploma C2, mi hanno inserito nella classe terza (io in Romania avevo già il diploma comunque) – facendo sport e impegnando la testa. Poi, nel novembre 2013 è iniziato il progetto di Voce Libera, è il giornale del carcere che mi ha aiutato tanto”.
Sei tra i fondatori?
“Non tra i fondatori ma tra i primi che ci hanno partecipato. Questo progetto mi ha aiutato tanto. Ho iniziato a scrivere e la voglia di raccontare, ogni mio pensiero, riflessione, mandare messaggi chiari per tutti era tanta. Ho scritto circa 50 articoli in totale”.
Di cosa scrivevi?
“Un po’ su tutto. Non ho mai scritto solo di un argomento. Anche di sport, politica… però tutti gli articoli erano sempre mirati a far riflettere il lettore. E, soprattutto, ciò che ho voluto trasmettere, era un po’ per i giovani. Io ho perso i miei anni più giovani e mi rendo conto che 7 anni della mia vita li ho passati in carcere: vedo tanti altri che sono come ero io, li vedo quando arrivano a 18 anni che li arrestano, vedo che mancano loro molte cose. Mi chiedo se, forse, a molti di loro manca tanto l’educazione: si vantavano per il fatto di essere stati in carcere una volta usciti. Quindi, la mia idea, era di mandare un messaggio e dire ‘non fate come me’, perché fuori si può imparare molto di più, non fate gli stesi errori. È giusto arrivare dove sono io ora. Ciò che ho provato a raccontare, ogni esperienza vissuta, è per far riflettere chi legge.
La mia salvezza, insomma, per passare il tempo in carcere sono state le attività. Oltre a questo facevo anche palestra e tutto ciò che si poteva… ho provato ad inserirmi in tutto ciò che si poteva per tenere la mente occupata e leggevo fino a notte fonda. Poi mi svegliavo alla mattina ed era ora di andare a scuola”.
Ti sentivi bene grazie a queste attività?
“È strano dire che mi sentivo bene ma almeno potevo evadere con la mente. Trovandomi solo, visto che all’inizio è stato abbastanza brutto, non potevo parlare con la mia famiglia. Fare le attività e studiare mi ha aiutato tanto. Questa è la mia vita e così sono riuscito a passare questi anni”.
Se ho inteso bene, anche secondo te, sei finito in carcere perché non avevi l’educazione giusta?
“No, io peggio ancora ed è per quello che, tra virgolette, riesco a capire coloro ai quali è mancata l’educazione e vivono in una famiglia con problemi. Capisco quello che va a rubare o cose simili perché non ha da mangiare… io però ho ricevuto un’educazione, mi sono diplomato, ho iniziato un’università che non ho mai finito, mi mancava un anno. Ho rinunciato a tutto questo. La mia famiglia non era ricca ma stava bene. Ho rinunciato a tutto questo, l’ambiente, il mondo in cui vivevo… i motivi sono tanti. Quando sei giovane la mente non va bene. Ora io sono proprio il contrario di ciò che ero, ero molto impulsivo. Anche se ho ricevuto un’educazione ero anche maleducato nel rispondere… tutto il peggio. Purtroppo è questa la mia vita ma, nel mio caso, è stata una salvezza. Tante volte ho detto: ‘Chissà cosa sarebbe successo se io avessi continuato a vivere fuori’. E quindi lo considero come una salvezza. Non provo più nemmeno a lamentarmi anche se ho perso molto, le persone che più amavo. E anche oggi mi confronto con la stessa situazione: la mia zia è morta improvvisamente e non mi hanno lasciato andare nemmeno al funerale. Ora vivo la stessa situazione con mia nonna e non potrò andare da lei. Le persone che ho più amato le ho perse qui. Però non voglio lamentarmi, lo prendo come un insegnamento. Loro mi hanno voluto sempre bene e devono volermi bene e un giorno renderò loro orgogliosi. Tutto sommato è questo che avrei voluto sempre dire, di guardare la parte mezza piena del bicchiere sempre. Perché tutti abbiamo problemi, disagi, ma se ci lamentiamo e non facciamo nulla per cambiare e migliorare… la cosa più facile è puntare il dito”.
Tu hai guardato te stesso invece…
“Io, su me stesso ho puntato il dito. Perché, poi, tutto è particolare si di me. Tra l’altro, in occasione di un cortometraggio che abbiamo girato per il pregiudizio, mi sono reso conto di una cosa. Io, prima di entrare, appena vedevo un detenuto vicino a me, mi comportavo male. Poi sono arrivato a capire com’ero e quanto sbagliavo. Quindi, questa è una cosa da fare: una delle mie battaglie è provare ad abbattere i pregiudizi di ogni tipo, non soltanto sui detenuti ma nella vita in generale. Secondo me è molto importante.
Parlare davanti a tanti giovani, agli studenti di giustizia e pregiudizi… è ciò che voglio da molto. È un’altra cosa che mi piacerebbe fare perché hanno bisogno di conoscere questo mondo nel modo giusto. Prendere degli esempi, anche negativi che possono essere positivi. Purtroppo, la vita che ho avuto mi ha fatto vivere tutto. Quando sei giovane vivi tutto. Anche a scuola hanno bisogno di conoscere esperienze come la mia perché loro sono il futuro. Anche il Papa l’ha detto. E anche per far conoscere un’altra cosa che poco si sa: loro devono anche conoscere proprio il nostro mondo, non solo quello che viviamo noi e come riusciamo ad andare avanti ma anche tutto il processo di reinserimento e come funziona il sistema. Un domani qualcuno sarà un magistrato e quindi per questo voglio parlare ai giovani perché, ad oggi, è un sistema non troppo… adeguato”.
I giovani sono il futuro ma, tu, a 29 anni, hai ancora tutta la vita davanti. Quindi, come sei tu nel futuro e quando uscirai dal carcere cosa vuoi fare?
“Uh, tante cose voglio fare. Per quello ho l’imbarazzo della scelta. Vorrei seguire ciò che mi piace fare tra cui – anche se non faccio più parte della redazione – portare nel mio paese il progetto di Voce Libera perché mi piaceva questa idea molto. Penso che si possa trasmettere molto e si può aiutare. Ho sempre pensato: se tutti i carcerati escono dal carcere riabilitati, tutto è apposto. Entrano solo quelli nuovi quindi la recidiva non ci sarà più. Quindi, se io sono un padre che ho dei bambini, quando esco, se poi insegno delle belle cose, mio figlio non farà più come me.
Poi, avrei già un’altra offerta lavorativa da valutare. Insomma, il futuro è incerto. Ora, tra l’altro, è caduta dal cielo proprio il mio angelo e stavo pensando a un futuro. Parlo della mia fidanzata, ci siamo conosciuti all’Expo, lavorava insieme a me. Comunque, la prima cosa che ho apprezzato di lei e quindi penso che la speranza ci sia, è quella di abbattere i pregiudizi: lei mi ha trattato come una persona, come tanti altri. Questo è stato il bello e vedo il futuro insieme a lei”.
Quanto tempo ti manca prima di uscire dal carcere?
“Esco il 10 maggio, quindi non manca molto. Però, quando l’amore è grande, ogni secondo che non sei con la persona… e questa è una delle cose che non ho capito, anche questo permesso, sono qui in questa casa ma non posso uscire fuori. Per sei mesi ho lavorato all’Expo. Dopo l’Expo ho pensato che mi avrebbero dato la possibilità di uscire, anche per coltivare il rapporto. Non toglietemi il diritto all’affettività perché io vorrei solo passeggiare nel parco con lei per un’ora. Dopo sei mesi che sono andato ad Expo da solo con il treno la mattina e la sera e per 5 ore potevamo fare quello che potevamo… ora non posso uscire da questa struttura. La legge è strana. Bollate (che è un carcere sperimentale), appena finito Expo, i detenuti hanno continuato a lavorare. Io aspetto ancora mesi e ancora non so nulla. Credo sia un lavoro non fatto bene. Secondo me, c’è una parte di educatori e psicologi, tutto il team, che provano ad aiutarci con attività e proposte e vogliono reinserirci ma purtroppo c’è un confronto con l’altra parte, quella della sorveglianza che ha problemi con queste cose, a loro interessa la sicurezza e basta. Quando riusciranno a collaborare al 100% su tutto, secondo me cambierà molto”.
Raccontami la tua esperienza ad Expo…
“È stato un progetto del dottor Pagano iniziato nel 2011. A febbraio ci hanno detto se volevamo lavorare all’Expo ed eravamo tutti commossi e felici, ci è sembrata una notizia irreale. Era un periodo non molto bello per me, con poche aspettative di futuro, tutto andava male… ero un po’ bloccato e non riuscivo a scrivere tanto. Un giorno è arrivata la responsabile, la dottoressa Gaeta e mi ha detto ‘ti devo parlare, vorresti lavorare all’Expo?’. Ho detto subito di sì. Ho sentito la voglia per la prima volta di scappare in cella, mi sono commosso… non riuscivo a crederci. Proprio un mese prima si parlava dell’Expo e pensavamo fosse un peccato perdercelo. Ad aprile, quindi, ci hanno spiegato che saremmo stati in cento detenuti in totale, 5 da Busto Arsizio. Abbiamo fatto un corso di formazione sulla sicurezza sul lavoro, primo soccorso e antincendio. Il primo giorno è stato il più bello e anche il più confusionario. Tendenzialmente ci hanno detto di andare ognuno al proprio paese e quindi sono andato al padiglione Romania e ho chiesto se ci fosse bisogno di qualcosa. Ho spiegato che ero un detenuto, non è una cosa che nascondo ma non sapevo neppure cosa dir loro. Sono stato lì e, se qualcuno veniva a chiedere qualcosa, davo delle informazioni. Poi, si sono organizzati diversamente e ci hanno messo agli ingressi. Quelli fuori dai tornelli smistavano le file e gli altri stavano all’interno, davano cartine e informazioni e così abbiamo iniziato.
Sono successe tante cose belle. La prima, quella sui pregiudizi che è la mia più grande soddisfazione. Appena arrivati, c’era sempre un po’ di timore per tutti. Non c’erano saluti con sentimento, c’era distanza e sfiducia nei nostri confronti. A volte mi proponevo per stare da qualche parte a indirizzare le persone e non si fidavano. Il bello è stato che, con il tempo, sempre di più, il buongiorno ormai veniva anche seguito da un come stai, si sentiva il piacere di salutarsi e abbiamo iniziato a bere il caffè insieme e a chiacchierare e già sentivi che, piano piano, il muro alzato cadeva.
Così con i visitatori, tanti non sapevano ma mi ha colpito un episodio: una scolaresca delle medie, arrivata davanti a me, ha visto la pettorina e ha capito che ero un detenuto… aveva visto l’intervista fatta per la Rai. Tutti i bimbi erano stupiti e gli insegnanti hanno detto loro di non preoccuparsi e li hanno rassicurati. Così, sono passati tutti a darmi la mano. La stessa scolaresca, verso sera, è passata per ringraziarmi per l’accoglienza fatta al mattino. Questa è stata una delle prime soddisfazioni. Però poi, ogni giorno, mi sono sentivo utile per dare informazioni, ero contento per un lavoro ben fatto. Mentre ero lì, ad agosto, è anche deceduto un visitatore. Due detenuti l’hanno soccorso subito facendogli il massaggio cardiaco, l’hanno tenuto in vita fino a che è arrivata l’ambulanza e poi, all’ospedale, è morto. Ma, tra tutti i presenti, di fronte alle forze dell’ordine, vedere proprio i detenuti a fare il massaggio cardiaco è stato bello. Hanno applicato quello che abbiamo appreso al corso.
È stata insomma un’esperienza unica su tutto. Expo era un camaleonte anche per le persone che incontravi, ogni giorno facevi il giro del mondo. I primi tre mesi abbiamo avuto un programma uguale per tutti, dalle 8 alle 16 e tornavamo per le 17.30. Dopo tre mesi, ci hanno dato un premio per il lavoro ben svolto e ci hanno prolungato il trattamento fino alle 21, potevamo rimanere all’interno o ritornare. Così ho avuto un’opportunità in più per conoscere Expo, ogni giorno restavo per 4 ore a visitare. Tante volte ho anche continuato ad aiutare gli altri padiglioni.
La più grande soddisfazione l’ho avuta alla fine. Ogni giorno si viveva una storia differente e belle esperienze. Abbiamo incontrato milioni di persone. Però, alla festività di chiusura, ero presente là, in mezzo. E quando il commissario Giuseppe Sala ha fatto i ringraziamenti, ha nominato anche i cento detenuti: anche ora mi viene la pelle d’oca perché si sono alzati tutti in piedi. Ero là in mezzo e mi guardavano tutti. È stato un ringraziamento a livello mondiale. In quel momento ho pensato di essere orgoglioso di essere rinato e aver potuto partecipare all’Expo.
E non ho mai pensato un minuto di vergognarmi. Tanti dicevano di non dirlo. Poi, abbiamo fatto l’intervista per la Rai abbiamo pensato di dirlo tranquillamente a chiunque. O dicevi bugie o lo ammettevi. Io ho scelto di dirlo. Come ho detto sempre: mi vergogno per quello che ho fatto, quello sicuramente, so di aver sbagliato e che devo pagare. Ho ricevuto la mia condanna ma, oggi, sono un’altra persona. Non giudicatemi per quello che ero ma per quello che sono oggi. E per quello non volevo nascondermi, ho detto: oggi non mi vergogno più.
Tra l’altro, avevamo una pettorina solo per noi, con scritto Expo Milano 2015. E quella non si poteva togliere, era la nostra divisa. Pensavamo che tutti sapevano che quelli con le pettorine gialle erano detenuti e avevamo paura di essere etichettati. Poi, d’estate faceva anche caldo e alcuni si lamentavano. Alla fine, abbiamo pensato di tenerle e basta. Ora dico che la pettorina la porto ancora, per orgoglio.
Per la prima volta nella vita, mi sono sentito che ho fatto qualcosa di buono. E sono soddisfatto per il lavoro che ho fatto. Mi aiuta anche vedere con altri occhi il futuro. Per la prima volta che sono ritornato dentro il carcere e mi sono guardato dentro, mi sono chiesto ‘cosa faccio io qui’? Ho capito che non c’entro nulla con il carcere. Mi è servita l’esperienza di Expo per rinascere che poi si è conclusa nel migliore dei modi perché proprio verso la fine ho conosciuto la mia fidanzata. Meglio di così non poteva succedere. Quindi, dire che sono stato fortunato è dire poco”.
Com’è iniziata la storia con la tua fidanzata?
“Ci siamo conosciuti in modo strano, tramite uno scambio di spillette…. Le collezionavo per averne una di ogni paese. Lei non voleva darmi una spilletta, io le ho offerto un caffè… e così è iniziato tutto. Poi, abbiamo iniziato a passare i pomeriggi insieme, ogni giorno.
La mia vita è un messaggio che si può fare: nessuno deve mai perdere la speranza. Lucia, la mia insegnante, o la mia fidanzata me lo hanno insegnato. Finito Expo pensavo che la nostra storia non potesse finire e lei mi ha detto di essere speranzoso. E, infatti, la nostra storia continua. Ho fatto anche una cosa un po’ antica… mancava un anello e gliel’ho dato. Non ho mai avuto il desiderio di comprare un anello con altre, è un pensiero che è arrivato con lei”.