1 camper, 9 mesi, 40 stati, 45mila km senza tecnologia. Sono Silvana e Francesco Zilio, una coppia di appassionati viaggiatori, ex professori in pensione che, a 69 lei e 70 anni lui (nel 2013), hanno intrapreso il viaggio dei loro sogni: gli Stati Uniti in camper.
Ad aiutarli e affiancarli per una tratta dell’avventura, la figlia Francesca. Prima di allora, insieme (e sempre in camper), hanno girato tutta l’Europa e il Nord Africa. E proprio grazie a questi numerosi viaggi hanno visto, apprezzato e amato la realtà che ci circonda, oltre i confini italiani.
La straordinaria esperienza dei 9 mesi in camper l’hanno raccontata in un blog, “viaggiatori analogici” e da qui hanno raccolto interesse e curiosità di tantissimi. Soprattutto per l’essere partiti senza smartphone, né navigatore. Un po’ perché non ne avevano dimestichezza, un po’ grazie alla loro preparazione culturale (lui ex docente con tre lauree – lettere, filosofia e scienze politiche –, lei ex docente di inglese).
E così, anche Sguardi di Confine ha deciso di intervistarli e approfondire tale spirito di avventura…
Intervista in collaborazione con Valentina Colombo
Da dove è nata l’idea del vostro viaggio e quando siete partiti?
Francesco: Era una vita che avevamo voglia di vedere gli Stati Uniti in camper, perché noi abbiamo viaggiato solo ed esclusivamente con questo mezzo. In aereo ci vanno in tanti ma è una cosa diversa. Per andarci bisognava avere tempo e non avere più impegni familiari. L’intenzione c’era, così mia figlia ha concretizzato il progetto: “Papà ora o mai più”.
Infatti, io ho compiuto 68 anni a San Antonio in Texas, quindi non ero proprio un ragazzino. Mia moglie invece ne ha qualcuno in meno. Abbiamo iniziato a costruire un progetto non facile, anche perché l’intenzione era di andare da soli. Un po’ di compagnia fa piacere, ma ognuno è fatto a modo suo e bisogna saper vivere in camper per tanto tempo. È difficile fare un viaggio e volevamo farlo da soli, altrimenti ci saremmo guastati il soggiorno. E di viaggi ne abbiamo fatti molti, a conti fatti, sommando ogni singola volta, sembra che abbiamo vissuto 9 anni in camper!
Francesca: È vero che per arrivare a fare un viaggio del genere ci sono una serie di ostacoli pratici: avere il tempo, non avere necessità familiari, conoscere l’inglese, essere in grado di guidare molto oppure avere qualcuno che aiuti con un computer. Tutto questo è vero, ci sono tanti ostacoli pratici, ma il primo era mentale. Uno sogna e pensa a come sarebbe bello fare un giro degli Stati Uniti in camper non essendoci mai stato. Il problema è come passare dalla teoria alla pratica?
Come si fa a organizzare un viaggio in camper negli USA?
Francesca: L’idea è uscita chiacchierando a pranzo, come era uscita mille altre volte. Ma la differenza è stata che in quel momento io ho chiesto: “Siete seri? È una cosa che davvero vi sentite di fare e a cui tenete?“. “Sì”. Allora possiamo parlarne e iniziamo a organizzare oggi, perché altrimenti non si farà mai. Quando si decide, poi si trovano anche le soluzioni per realizzare.
Quanto ci ha messo a preparare tutto e come si organizza un viaggio del genere?
Francesco: Per dire una cifra tonda, un anno. Una volta alla settimana ci mettevamo a organizzare dividendoci i ruoli.
Silvana: La cosa più importante era trovare come trasportare il camper. Ci abbiamo provato tramite uno spedizioniere di Livorno. La soluzione di spedirlo coperto non era possibile, perché per 5 cm restavano scoperte porte e finestre. Una signora dell’azienda ci ha quindi sconsigliato così la spedizione.
Francesco: Anche avere i pezzi di ricambio là sarebbe stato un problema, era troppo rischioso. Così, ci siamo divisi i compiti. Mia moglie ramo lingue, io specialista dei climi e mia figlia aspetto informatico.
Francesca: È difficile quantificare il tempo dell’organizzazione pre-partenza. Il lavoro tecnico\burocratico l’ho fatto in un mese lavorando quasi a tempo pieno. Ho insistito che iniziassimo a pensare concretamente al viaggio in quel periodo perché in quel momento potevo dedicare del tempo al progetto dato che ero alla fine del mio dottorato. Ero in attesa di sapere la data della discussione quindi avevo un momento di pausa in cui potevo dedicarmi a questo.
Così, mentre il mio lavoro è stato molto concentrato, la parte di organizzazione tecnica è iniziata solo dopo la fase di studio di mio padre, quando mi ha dato una serie di elementi su cui potevo iniziare a lavorare. Abbiamo iniziato ordinando un atlante cartaceo dagli Stati Uniti, ha fatto questa cosa per mesi e poco alla volta l’itinerario è nato.
Francesco: Sapevamo anche il più piccolo paese che volevamo vedere, abbiamo seguito il piano. Chiaro che se uno conosce bene l’aspetto tecnologico si organizza in un altro modo, ma nel modo in cui abbiamo fatto noi, non abbiamo avuto particolari problemi. Gli amici che ci conoscono erano tutti prodighi di consigli sbagliati perché non erano mai stati negli Stati Uniti… ci consigliavano di vedere anche il Canada e il Messico, ma anche se sono vicini ci possono essere problemi con i confini e le assicurazioni. Abbiamo visto i confini, ma siamo stati solo negli Stati Uniti.
Non avete utilizzato la tecnologia per scelta?
Francesco: Io sono una bestia in informatica (ride ndr.). Sono rimasto ai libri, avrei dovuto impegnarmi quando ero un po’ più giovane. Sono fortunato perché, lo dico senza vantarmi, ho una memoria visiva incredibile, quindi quando vedo una cartina, ricordo tutto. Alla mattina guardavo la cartina e facevo anche dei cambiamenti, questo faceva ridere e preoccupare gli americani, ci dicevano che ci saremmo persi. Poi perdevo la pazienza e gli dicevo, ridendo: “Chi ha scoperto l’America?“. Di fatto, non ci siamo mai persi.
Francesca: Insomma, la scelta non è stata quella di non usare la tecnologia per fare gli alternativi, la scelta è stata quella di fare il viaggio nonostante la mancanza di competenze in quell’ambito. Il ragionamento è questo: per fare un viaggio del genere servono tantissimi tipi di competenze. Serve saper usare un computer, un navigatore, serve conoscere l’inglese, la geografia, serve avere competenze organizzative per evitare eventuali problemi dato che le cose da conoscere sono tantissime. Serve anche non avere paura dell’isolamento etc. Non esiste nessuno che ha il cento per cento di queste caratteristiche, ma non è un buon motivo per rinunciare. Noi come famiglia, in tre, abbiamo tutti delle competenze diverse che si compensano e abbiamo usato quello che avevamo.
Silvana: Ci avevano dato una guida che viene pubblicata annualmente di tutti i campeggi e le aree di sosta americane, un volume alto quattro o cinque dita. Con quello e una buona cartina geografica dettagliata non abbiamo mai avuto problemi.
Avete avuto imprevisti?
Francesco: Incidenti zero. Al massimo, mia moglie chiedeva indicazioni in inglese quando serviva. In generale facevamo delle gran chiacchierate nelle sere in cui ci fermavamo dopo giornate molto lunghe. Ci si fermava in qualche campeggio o nei posti sperduti che sono ovunque, quello permetteva di chiacchierare e scambiare pareri. Una volta io avevo messo giù l’itinerario ma un vicino di piazzola mi ha consigliato dove andare, perché è ovvio, chi è del posto conosce meglio. Il viaggio è stato pieno di deviazioni continue. Guasti meccanici non ne abbiamo mai avuti.
Consigliereste di fare un viaggio come il vostro? Se sì, cosa può insegnare il fatto di stare senza tecnologia?
Francesco: Se uno sa usarla questo è di grande aiuto indubbiamente. Per fare viaggi così, come quelli che abbiamo fatto in Nord Africa e in tutta Europa, il problema non è la tecnologia. Ma è vero che la tecnologia a volte può aiutare e facilitare le cose. Ad esempio, c’è la catena di supermercati Walmart. Nella catena di Walmart si può andare a dormire nei piazzali davanti ai supermercati, alcuni sono aperti 24h e ci sono le guardie giurate. Basta chiedere al gestore del punto vendita andando a fare la spesa la sera prima o la mattina dopo e si risolvono anche problemi di ordine pratico. Quindi se avessi avuto un navigatore che mi indicava se un Walmart era aperto di notte, mi avrebbe fatto comodo.
La tecnologia è un aiuto in più ma quello che spinge a fare i viaggi è una passione interna. Per esempio molti ci chiedevano se avessimo fatto il Coast to Coast o la Route 66, ma quella non esiste nemmeno più. Esiste in alcuni tratti ed è percorribile, quindi abbiamo visto qualche paese sperduto con l’indiano Navajo e ambientazioni da film western.
Silvana: Per esempio siamo rimasti bloccati a -7 gradi, i ranger ci hanno aiutato portando 7 coperte da un albergo vicino che le metteva a disposizione per questi casi. Abbiamo passato la notte così. Se dovessi dire la cosa più importante per un viaggio del genere è comunque avere spirito d’avventura, coraggio e non spaventarsi. A noi è capitato di passare la notte in un bosco isolato, nel parco delle sequoie. C’era la luna piena ed era completamente deserto, non c’era nessuno. Non avevo paura ma avrei preferito essere in mezzo ad altre persone.
I vostri viaggi vi hanno reso una famiglia più unita?
Francesca: Non abbiamo fatto la prima parte del viaggio insieme. Loro sono partiti a gennaio e io li ho raggiunti a giugno, quindi sono arrivata più o meno a metà. Io ho fatto un mese con loro negli Stati Uniti e ho fatto viaggi più lunghi prima. Sicuramente ci ha uniti nel senso che oggettivamente la nostra vita sarebbe stata diversa se i miei genitori non avessero comprato il camper.
Perché io ho avuto la fortuna, grazie a questo, di girare per tutta l’Europa da quando avevo 5 anni. Sicuramente la mia vita sarebbe stata diversa se non avessi avuto questa opportunità. È qualcosa che ha cambiato la vita di tutti perché ci ha fatto fare delle esperienze che altrimenti non avremmo mai potuto permetterci. Per esempio non potremmo dire “abbiamo vissuto nove anni in albergo”, una cosa del genere non te la puoi permettere, non è solo una questione economica ma è anche una questione di esperienza diversa.
Quando avevo 8 anni siamo andati in Turchia e siamo andati quasi al confine con l’Iraq con zone che all’epoca erano davvero estremamente remote. Non c’erano nemmeno i telefoni pubblici per chiamare a casa. Lì ho visto come vivevano le persone e i bambini della mia età. Cose che non avrei mai visto se fossimo andati in un villaggio. Questo mi ha permesso di avere sensibilità e rispetto a ciò che accade fuori dai confini dell’Italia, a persone diverse da me, che difficilmente avrei potuto avere se avessi cominciato a viaggiare a 25 anni al posto che a 5.
Francesco: Io non ho mai acquistato un auto, ho sempre avuto il camper e con il camper si va dove si vuole. La famiglia è rimasta unita credo anche per merito del camper.
Francesca: Quando loro erano ancora negli Stati Uniti e dovevo partire per raggiungerli, parlavo del loro viaggio con un amico che non li conosceva. Mi ha detto: “Certo che i tuoi genitori devono essere veramente una coppia molto unita e molto felice per stare così tanto tempo loro due da soli dentro a un camper“. Prima di quel momento non ci avevo mai pensato, però ho detto sì hai ragione c’è gente che stare 24 su 24 ore insieme si strapperebbe i capelli…. L’anno prossimo festeggeranno 45 anni di matrimonio.
Ci raccontate qualche episodio particolare avvenuto nel vostro viaggio negli Stati Uniti?
Silvana: Questo è buffissimo e fa ridere: eravamo a Yellowstone, nella parte alta. Avevano appena aperto la pesca e gli orsi erano usciti dal letargo. C’era un uomo che stava pescando, sono arrivati gli orsi e con una zampata l’hanno buttato in acqua. E’ stato fortunato perché potevano ammazzarlo! Poi, dato che avevano chiuso i campeggi è arrivata una signora che mi ha chiesto: “Scusi, ha visto gli orsi? Perché io vorrei fotografarli“. Le ho risposto che avevano chiuso i campeggi perché era pericoloso. Ho cercato di convincerla come meglio potevo ma potrebbe essere stata anche azzannata!
Poi, un altro episodio: ci siamo ritrovati in un piccolo campeggio in cui non c’era nessuno. Alla mattina, mi sono seduta al tavolo per bere il tè e ho visto una sagoma. Era un bisonte ma io non lo sapevo e pensavo che qualcuno avesse voluto fare uno scherzo. Quando sono scesa dal camper, invece, ho visto che il bisonte ha roteato l’occhio e l’ha aperto. Mi sono resa conto che era in carne ed ossa! Sono anche pericolosi perché corrono molto velocemente e quando l’ho visto ho lanciato un urlo… e così il bisonte è scappato via.
Com’era l’America nei vostri pensieri e quali miti avete sfatato dopo averla vista?
Francesco: Conoscendola bene per motivi di studio e lavoro, la cosa che più mi ha colpito è quanto sia sterminata. Anche mia figlia non riusciva a crederci. Non si arriva mai, il viaggio non è mai finito. Se uno segue un canyon si ferma a guardare con gli occhi fuori dalle orbite per le meraviglie che vede. Ci sono Stati quasi disabitati, l’Arizona, il New Mexico, sono enormi e le meraviglie naturali infinite. Noi abbiamo girato parecchio e con il camper ci si può fermare dove si vuole. Nessun altro paese ha meraviglie come questo, molto più di quanto non pensassimo. Siamo rimasti contentissimi di aver fatto questo viaggio. Per quanto riguarda i pregiudizi, noi due non siamo portati ad averne…
Bene o male abbiamo avuto sempre esperienze positive, tantissima popolazione è mista, ci sono bianchi con gli occhi a mandorla. Sono stati tutti sempre gentilissimi nei nostri confronti. Per loro l’Italia è un bel Paese, si mangia bene e ci si veste bene. Un po’ pregiudizio… un po’ verità.
Pensa, Papa Benedetto si è dimesso proprio mentre eravamo negli USA. Molti di loro associano l’Italia al Vaticano, come se fossero la stessa cosa insomma. Quindi ci hanno chiesto cosa stesse succedendo… mia moglie ha avuto l’idea di dire che a me piace la storia e così ho tenuto una lezione su Celestino V all’intero campeggio. Venivano lì di sera e facevano le domande.
Silvana: Pensando alle particolarità, possiamo ricordare i regolamenti. Sono diversi per ogni Stato e alcuni sfociano nel ridicolo. In alcuni Stati gli alcolici sono totalmente vietati e non li vendono nei supermercati, ma se si esce dallo Stato, nel primo negozio vicino, c’è tutto quello che vuoi. Per esempio, in uno Stato, se una persona di 40anni voleva una bottiglietta di birra, doveva essere interrogata e dissuasa dal bere. In un altro Stato ho spiegato che mio marito aveva più di 40anni, ma lì non si poteva bere indipendentemente dall’età. Allora hanno fatto le domande a me e hanno chiesto: “Da quando ha cominciato a bere? Lo aiuta a smettere?” …avevamo solo comprato due bottigliette di birra da due gradi.
Oppure un’altra volta, comprando una birra, la commessa è diventata tutta rossa ed è scoppiata a piangere. La capo commessa ci ha detto che la ragazza non aveva 18anni e non poteva toccare gli alcolici.
Francesco: Sì, ci sono divieti assurdi, mi sono divertito a farne una raccolta nel mio diario. Per esempio davanti a una casa di riposo, abbiamo letto: “Vietato buttarsi giù dai muri” oppure “vietato pattinare” e “andare in bicicletta”.
Silvana: un altro divieto incredibile: vietato camminare avanti e indietro davanti ai negozi. Questo perché si potrebbe star preparando un attentato o si potrebbe essere un ladro che vuole rubare.
Francesco: Eppure resta il fatto che noi siamo entrati e usciti dagli Stati Uniti senza alcun controllo! Avevamo portato molti medicinali e per farlo avevamo chiesto al medico e avevamo fatto la scorta. Avevamo messo le medicine sopra le valigie con il foglio timbrato e tutto fatto in regola. Quando siamo arrivati a Miami i due uomini al gate ci hanno detto che dovevamo parlare con il capo. Lui ha risposto che non parlava con le donne e si è messo a parlare con me, così io gli ho parlato in spagnolo e gli ho detto di essere italiano. Risposta: “Niente ispezione agli amici italiani“.
Silvana: Al ritorno, invece, avevamo l’aria stanca. Da Philadelphia dovevamo andare a Venezia. Una signora delle pulizie ci ha fatto sedere nei posti dei disabili e ha fatto arrivare un trenino per noi.
C’è una canzone che associate a questo viaggio?
Francesco: Io sono appassionato di Jazz e quando siamo arrivati a New Orleans abbiamo letto i nomi di pezzi famosi che indicano le strade, Bourbon Street Parade etc. Davanti al palazzo di giustizia c’era un gruppo di ragazzi di venti, trentanni, che suonava i pezzi più famosi nello stile di New Orleans e ci ricordava quando noi da giovani, lungo i Navigli a Milano, andavamo a sentire musica. Per me sono questi pezzi da ricordare, più che le canzoni.
…abbiamo ancora voglia di viaggiare e di tornare negli USA…