Nel bel mezzo dell’ennesima ondata di calore che da giorni mette a dura prova l’Europa con nuove temperature da record, tre notizie comparse nelle ultime ore e riguardanti l’ambiente hanno tracciato con precisione il quadro della situazione, riuscendo a trasmettere pienamente la criticità del momento e l’estrema necessità di un’azione seria e immediata nella lotta al cambiamento climatico.
Islanda: Okjokull, il primo“dead ice”
La prima notizia ci porta in Islanda dove il prossimo Agosto verrà inaugurata una targa commemorativa dedicata all’Okjokull, il primo ghiacciaio al mondo ad aver perso il proprio status a causa dei devastanti effetti dell’attività umana (foto apertura). Gli scienziati concordano, infatti, che l’Okjokull non corrisponda più alla descrizione scientifica di “ghiacciaio” e che debba, quindi, considerarsi ciò che, in termini tecnici, viene definito “dead ice”.
Descrivere l’immensità della perdita sembra ormai superfluo. La scienza ha ripetutamente illustrato l’impatto ambientale dello scioglimento dei ghiacciai, descrivendo nei particolari la perdita progressiva delle riserve idriche del pianeta e l’innalzamento del livello dei mari che ne deriveranno.
Gli autori della targa commemorativa hanno dichiarato che “i memoriali non sono per i morti, ma per i vivi” e, a partire da questa convinzione, hanno scelto di evidenziare due idee principali che dovranno guidare “i vivi” del presente e quelli del futuro: la necessità di invertire subito la rotta affinché gli altri ghiacciai del pianeta non siano condannati allo stesso inevitabile destino e la totale assunzione di responsabilità per le condizioni critiche della situazione odierna.
Nel memoriale, infatti, gli scienziati confessano apertamente ai posteri di avere piena coscienza della gravità della situazione e di sapere esattamente cosa va fatto. Starà alle generazioni del futuro giudicare se avremo fatto abbastanza e, in caso positivo, il memoriale costituirà un monito a non commettere i nostri stessi errori.
Brasile: la foresta amazzonica ha perso un’area grande quanto Londra
Allo stato attuale delle cose, però, non solo non si sta facendo abbastanza ma, in alcuni casi, si sta addirittura scegliendo di ignorare la gravità della situazione rifiutando di “credere” all’evidenza scientifica in nome di profitti a breve termine. È il caso del Brasile, paese in cui le politiche chiaramente anti-ambientaliste del Presidente Bolsonaro stanno mostrando le loro devastanti conseguenze.
A pochi giorni dalla fine di luglio, infatti, gli scienziati hanno dichiarato che è ormai possibile affermare che la foresta amazzonica ha perso, solo in questo ultimo mese, un’area grande quanto Londra. Questo dato appare allarmante quando pensiamo che la foresta amazzonica è un elemento centrale nella stabilità del clima mondiale e che se essa può compiere il suo ruolo di “polmone del pianeta” è proprio grazie alle sue dimensioni. Ridurle significa alterare l’equilibrio di un ecosistema ricco e complesso, limitare le sue capacità di assorbimento di anidride carbonica e di produzione di ossigeno, con danni che si estendono all’intero pianeta e a tutte le specie che lo abitano, umani inclusi.
Di fronte a questa situazione sempre più critica, però, alcuni membri dell’attuale governo brasiliano, eletto con grande favore delle industrie operanti nei settori dell’allevamento intensivo e delle attività di estrazione di risorse minerarie, hanno definito la scienza climatica come uno strumento al servizio di un “complotto Marxista”. Anteporre gli interessi economici a quelli dell’ambiente invalidando l’operato della scienza ha, ovviamente, ripercussioni gravissime. Negare l’evidenza scientifica porta a conseguenze che vanno ben oltre la negligenza perché significa non solo trascurare il problema, ma non ammettere di averne uno. E non si può risolvere un problema che si ritiene inesistente.
Il tempo scade: le azioni politiche più significative per la riduzione delle emissioni dovranno essere compiute prima della fine del prossimo anno
Mentre in Brasile la scienza viene accantonata e la foresta amazzonica raggiunge un altissimo ritmo di distruzione, la BBC divulga nuovi dati scientifici che, invece, evidenziano uno stato di emergenza estremo.
L’anno scorso l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) aveva stabilito la necessità di tagliare le emissioni del 45% entro il 2030 per riuscire a mantenere l’innalzamento delle temperature al di sotto degli 1,5 gradi. Tuttavia, come riportato negli ultimi giorni dalla BBC, alla luce dei nuovi dati, appare evidente che le azioni politiche più significative per la riduzione delle emissioni dovranno necessariamente essere compiute prima della fine del prossimo anno.
Il 2020 sembra segnare una scadenza e, a questo riguardo, Hans Joachim Schnellnhuber, fondatore e direttore del Potsdam Climate Institute afferma che “la matematica del clima è brutalmente chiara: sebbene il pianeta non possa essere curato entro i prossimi anni, esso può, tuttavia, essere ferito irrimediabilmente dalla nostra negligenza già entro il 2020”.
Abbiamo circa 18 mesi per fare in modo che il cambiamento climatico si mantenga a livelli che permettano la nostra sopravvivenza. Sebbene molti governi, tra cui anche quello italiano che rifiuta di dichiarare lo stato di emergenza climatica, mostrino negligenza nelle questioni ambientali negando il problema, considerandolo lontano, secondario o perfino la battaglia per “salvare il pianeta” di una élite di ambientalisti, la realtà è che il nostro egocentrismo ci impedisce di vedere l’ovvio: questa battaglia non riguarda la vita del pianeta, ma la nostra.
Non dobbiamo lottare per “salvare” un pianeta che con o senza di noi continuerà la sua vita. Quello che dobbiamo fare è impedire che il nostro egoismo finisca, paradossalmente, per renderci ciechi verso i nostri stessi interessi, il principale dei quali è proprio la sopravvivenza. Nessuna ricchezza, nessun prestigio e, purtroppo, nessuna delle altre giuste battaglie che le nuove generazioni stanno combattendo con impegno avrà senso di esistere se non ci sarà nessuno che possa beneficiarne. Abbiamo 18 mesi per capirlo e fare la cosa giusta per tutti “i vivi” di cui abbiamo la responsabilità: gli esseri umani del presente, quelli del futuro e tutti gli abitanti non umani di questo pianeta.