Bertolucci, addio a uno sguardo eclettico sulla realtà
Attraverso i suoi occhi ha raccontato sogni, aspirazioni, ironia, drammi quotidiani e grandi eventi storici con uno sguardo sempre innovativo e controcorrente sulla realtà.
Bernardo Bertolucci, poeta, documentarista, regista, produttore, polemista, star del cinema italiano e internazionale con la sua cinepresa dipingeva (anche) la “diversità”. «Confesso di avere sempre provato affetto e curiosità per tutti coloro che vengono definiti “diversi”: socialmente, culturalmente e sessualmente. Il mio lavoro mi ha portato molto lontano e ogni volta mi sono innamorato delle culture che andavo scoprendo, così diverse dalla mia».
Morto all’età di 77 anni per un tumore ai polmoni, quella diversità, di fatto, l’ha dimostrata per il suo amore nella sperimentazione cinematografica. Specchio della società nella seconda metà del ‘900, è ricordato per grandi capolavori come Novecento, Ultimo tango a Parigi, Il té nel deserto, Piccolo Buddha e L’ultimo imperatore (film da nove Oscar).
Ultimo tango a Parigi: “Quel film che mi ha permesso di fare Novecento”
Forse non dovremmo, ma non si può evitare di farlo. È impossibile non ricordare Bertolucci anche per la grande macchia sulla sua carriera, ovvero la fatidica scena del “burro” in Ultimo Tango a Parigi tra Maria Schneider e Marlon Brando.
Un film di grande successo che, come disse il regista, gli diede lo slancio per realizzare Novecento, nel quale però resta l’ombra dell’abuso del corpo di una donna, ai fini del risultato artistico. Durante una “Leçon de cinéma” alla Cinémathèque française nel 2013, Bernardo Bertolucci, riguardo tale incriminata scena, disse: «L’idea è venuta a me e Marlon durante una colazione, mentre spalmava del burro su una baguette. La cosa un po’ atroce è stata che io e Marlon abbiamo deciso di non dire nulla a Maria della scena che avremmo girato, perché volevo la sua reazione di ragazza e non di attrice. Lei è rimasta ferita perché non le avevamo detto nulla, ma quella scena non sarebbe stata la stessa se lei avesse saputo cosa stava accadendo».
Nel corso del tempo, comunque, Bertolucci rivelò di essersene pentito e di aver pure chiesto privatamente scusa all’attrice.
Novecento, il grande capolavoro del maestro che racconta i drammi del secolo scorso
Con Novecento (1976) Bertolucci mise in scena un dramma storico ambientato in Emilia (regione natale del regista) nella prima metà del XX secolo. Qui raccontò l’amicizia di due uomini, il latifondista Alfredo Berlinghieri (Robert De Niro) e il contadino Olmo Dalcò (Gérard Depardieu), tra echi di fascismo e comunismo.
A caratterizzare il film è anche il dipinto che fa da fondo ai titoli di testa (e viene richiamato in diverse scene della pellicola): il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo (1901).
Leo Dalcò:Dalcò Olmo! Olmo, adesso che sei grande… vieni avanti! Ricordati questo: imparerai a leggere e a scrivere, ma resterai sempre Dalcò Olmo, figlio di paesani, andrai a fare il soldato, girerai il mondo, e dovrai anche imparare ad ubbidire, prenderai moglie, eh?… E faticherai per tirare su i figli…
Bernardo Bertolucci e il Sessantotto
“Prima di cambiare il mondo devi capire che ne fai parte anche tu. Non puoi restare ai margini e guardarci dentro”. The Dreamers
Il cineasta italiano del Novecento raccontò la grande rivoluzione del Sessantotto, sia in tempo reale, sia successivamente. Infatti, lo fece con Partnera Venezia e a Cannes proprio nel 1968 e poi con The Dreamers nel 2003.
Partner: Quando scoppiò il maggio francese, Bertolucci non era a Parigi ma a Roma e aveva appena iniziato le riprese di Partner, dal Sosia di Dostoevskij. Così, per non perdere nella sua produzione l’influenza di una palpabile nuova rivoluzione, venne aggiornato ogni settimana dall’attore Pierre Clémenti. Il protagonista del film faceva infatti appositamente da spola nella capitale oltralpe.
The Dreamers: Il Sessantotto si ritrova anche in “un film sulla nostalgia di quando giravo Partner”, ha svelato il regista. Ne “I Sognatori”, infatti il ’68 è vissuto dai protagonisti chiudendosi in casa, imprigionandosi nella cinefilia, nel loro amore per il cinema e non per la vita.
“Bertolucci on Bertolucci”, uno sguardo più intimo sul regista
Ad aver vissuto indirettamente il maggio francese (è nato nel 1971) è stato anche Luca Guadagnino. Regista siciliano, la cui fama riecheggia più all’estero che in Italia, ha realizzato “Bertolucci on Bertolucci”. Il documentario, co-diretto con Walter Fasano, riporta una ricostruzione storica dell’opera di Bertolucci attraverso interviste realizzate al regista stesso e ad alcuni suoi collaboratori.
Di fatto, il regista siciliano che per realizzare Call me by your name(ma anche Io sono l’amore) si è ispirato al maestro, riprendendo soprattutto diverse citazioni da Io Ballo da Sola. Dal suo mentore ha ereditato l’insegnamento che gli attori debbano arrendersi alla cinepresa: “Ho deciso di fare cinema guardando Bertolucci, non i film di Bertolucci” ha affermato al Salone del Libro di Torino, a maggio 2018, intervistato insieme a Bertolucci stesso.
Mentre il grande maestro del cinema italiano, al termine della stessa intervista, affermò:
“Noi vogliamo evocare il presente ed è difficile farlo tutti insieme, possiamo solo meditare, come nella meditazione trascendentale. Una delle esperienze più potenti. O si medita o si guarda un bel film, poi le due cose iniziano a toccarsi…”.
Bertolucci e il mondo islamico
Attento alla società e ai suoi cambiamenti, si pronunciò anche attorno al tema del mondo islamico e della diversità culturale. In un’intervista fatta da Brian D. Johnson nel 2001 sulla rivista Maclean’s, Bertolucci disse: «Una delle mie ossessioni da un po’ di tempo a questa parte è stata quella di vedere le culture reciprocamente innamorate.
Quando stavo girando “Il tè nel deserto” nel deserto del Sahara, ci imbattemmo in una piccola cappella creata da un prete francese alla svolta del secolo. La porta era aperta sul tramonto al di là delle dune. Il pavimento della cappella era di sabbia. Nel contenitore per l’acqua santa c’era la sabbia, era come se il cristianesimo stesse accogliendo la sabbia dell’Islam nel contenitore dell’acqua santa e l’Islam stesse offrendo la sua sabbia al cristianesimo. Uno dei maggiori problemi al momento è l’incomprensione culturale. Quando il primo ministro italiano parlò della superiorità della civilizzazione europea su quella islamica, penso, “ecco che ci siamo, un caso di grande ignoranza”. Il tipo non sapeva che gli intellettuali italiani in passato leggevano l’arabo e gli arabi leggevano la bibbia».
Bertolucci, politica, estetica e comunicazione
In un’altra intervista fatta nel 1971 da Amos Vogel sulla rivista “film comment”, Bertolucci espresse invece la natura del suo lavoro. Disse infatti che i suoi film derivano da un’esigenza di comunicazione e rivelò la sua preoccupazione per il bisogno di consapevolezza politica: «Con il Conformista posso parlare a un pubblico più ampio. È possibile che io faccia i miei film perché, nella vita reale, io non sappia comunicare; in questo modo comunico con molte persone».
E ancora: «Temo l’estetismo perché so molto bene che potrei fare un film sulla qualità del vento… l’essenza del vento che non è nulla, e ciò farebbe felice il pubblico di un festival. Ho paura di questo. L’estetismo è sempre un errore, forse in Italia questa parola ha diverse connotazioni, è una parola dalla connotazione negativa. Spero che ci sia in me abbastanza bisogno di consapevolezza politica così come di estetismo. Forse i miei film migliori dovrebbero trattare di politica senza necessariamente parlarne».
Bertolucci e la disabilità
«Diventare disabile significa entrare in una condizione nuova e difficile. All’inizio mi sono auto-recluso, poi grazie anche al mio nuovo film, ho scoperto che potevo avere una vita normale».
Ultimo nella sua biografia ma non per importanza, fu il tema della disabilità che lo toccò in prima persona. Ritrovatosi in carrozzina “incarcerato” in quel di Trastevere, ebbe modo così di riflettere anche attorno al tema barriere architettoniche.
La sedia a rotelle gli permise infatti di vedere il mondo da un’altra prospettiva a cominciare dalla difficoltà di utilizzarla a Roma. Così decise di raccontarlo, in modo ironico, attraverso un filmato autobiografico in cui mostrava ruote impazzite, alle prese con marciapiedi disastrati e sanpietrini ingestibili.
Della disabilità non ne fece mai motivo di vergogna. Anzi, continuò a lavorare fino all’ultimo, smuovendo anche polemiche e battaglie con il sindaco di Roma del tempo, Giovanni Alemanno. Di fatti, sul set di Io e te, accolse i giornalisti spiegando di aver trovato il modo di girare un film a pochi metri da casa per aggirare le problematiche legate agli spostamenti e continuare a vivere la sua passione fino all’ultimo: «Vivere a Trastevere è diventato impossibile per me, Roma ormai è una città proibita per i disabili. Uscendo di casa mi sono reso conto che sono circondato da un percorso di guerra».
E lanciò l’accusa contro Alemanno: «Quando ho denunciato di non essere potuto andare al matrimonio del mio amico Mario Martone nella Sala Rossa in Campidoglio perché non c’era la possibilità di accedere per un disabile, è arrivata la patetica risposta del sindaco Alemanno su Youtube. Dice che costruire una rampa su una facciata cinquecentesca di Michelangelo l’avrebbe deturpata. Ma quale rampa? Sarebbe stato sufficiente una rampa mobile da tirar fuori quando deve entrare in Campidoglio un disabile. Una risposta in totale malafede: in ogni parte del mondo c’è attenzione verso i disabili. Sono un personaggio noto, per questo ho deciso di farmi portavoce di questa denuncia e spero che tutto questo clamore serva a qualcosa».
Addio Bernardo Bertolucci
Ora non ci resta che salutare il grande regista con una citazione che ha iniziato a girare sui social alla notizia della sua morte. La frase pronunciata dall’anziano patriarca Burt Lancaster, in Novecento:
“Quando la festa sta per finire, dì che sono morto. Digli che sono morto, ma che continuino a ballare”.
Bertolucci, addio a uno sguardo eclettico sulla realtà
Attraverso i suoi occhi ha raccontato sogni, aspirazioni, ironia, drammi quotidiani e grandi eventi storici con uno sguardo sempre innovativo e controcorrente sulla realtà.
Bernardo Bertolucci, poeta, documentarista, regista, produttore, polemista, star del cinema italiano e internazionale con la sua cinepresa dipingeva (anche) la “diversità”. «Confesso di avere sempre provato affetto e curiosità per tutti coloro che vengono definiti “diversi”: socialmente, culturalmente e sessualmente. Il mio lavoro mi ha portato molto lontano e ogni volta mi sono innamorato delle culture che andavo scoprendo, così diverse dalla mia».
Morto all’età di 77 anni per un tumore ai polmoni, quella diversità, di fatto, l’ha dimostrata per il suo amore nella sperimentazione cinematografica. Specchio della società nella seconda metà del ‘900, è ricordato per grandi capolavori come Novecento, Ultimo tango a Parigi, Il té nel deserto, Piccolo Buddha e L’ultimo imperatore (film da nove Oscar).
Approfondimento realizzato in collaborazione con I. Ceriani e I. Capitanio
Ultimo tango a Parigi: “Quel film che mi ha permesso di fare Novecento”
Forse non dovremmo, ma non si può evitare di farlo. È impossibile non ricordare Bertolucci anche per la grande macchia sulla sua carriera, ovvero la fatidica scena del “burro” in Ultimo Tango a Parigi tra Maria Schneider e Marlon Brando.
Un film di grande successo che, come disse il regista, gli diede lo slancio per realizzare Novecento, nel quale però resta l’ombra dell’abuso del corpo di una donna, ai fini del risultato artistico. Durante una “Leçon de cinéma” alla Cinémathèque française nel 2013, Bernardo Bertolucci, riguardo tale incriminata scena, disse: «L’idea è venuta a me e Marlon durante una colazione, mentre spalmava del burro su una baguette. La cosa un po’ atroce è stata che io e Marlon abbiamo deciso di non dire nulla a Maria della scena che avremmo girato, perché volevo la sua reazione di ragazza e non di attrice. Lei è rimasta ferita perché non le avevamo detto nulla, ma quella scena non sarebbe stata la stessa se lei avesse saputo cosa stava accadendo».
Nel corso del tempo, comunque, Bertolucci rivelò di essersene pentito e di aver pure chiesto privatamente scusa all’attrice.
Novecento, il grande capolavoro del maestro che racconta i drammi del secolo scorso
Con Novecento (1976) Bertolucci mise in scena un dramma storico ambientato in Emilia (regione natale del regista) nella prima metà del XX secolo. Qui raccontò l’amicizia di due uomini, il latifondista Alfredo Berlinghieri (Robert De Niro) e il contadino Olmo Dalcò (Gérard Depardieu), tra echi di fascismo e comunismo.
A caratterizzare il film è anche il dipinto che fa da fondo ai titoli di testa (e viene richiamato in diverse scene della pellicola): il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo (1901).
Leo Dalcò: Dalcò Olmo! Olmo, adesso che sei grande… vieni avanti! Ricordati questo: imparerai a leggere e a scrivere, ma resterai sempre Dalcò Olmo, figlio di paesani, andrai a fare il soldato, girerai il mondo, e dovrai anche imparare ad ubbidire, prenderai moglie, eh?… E faticherai per tirare su i figli…
Bernardo Bertolucci e il Sessantotto
“Prima di cambiare il mondo devi capire che ne fai parte anche tu. Non puoi restare ai margini e guardarci dentro”. The Dreamers
Il cineasta italiano del Novecento raccontò la grande rivoluzione del Sessantotto, sia in tempo reale, sia successivamente. Infatti, lo fece con Partner a Venezia e a Cannes proprio nel 1968 e poi con The Dreamers nel 2003.
Partner: Quando scoppiò il maggio francese, Bertolucci non era a Parigi ma a Roma e aveva appena iniziato le riprese di Partner, dal Sosia di Dostoevskij. Così, per non perdere nella sua produzione l’influenza di una palpabile nuova rivoluzione, venne aggiornato ogni settimana dall’attore Pierre Clémenti. Il protagonista del film faceva infatti appositamente da spola nella capitale oltralpe.
The Dreamers: Il Sessantotto si ritrova anche in “un film sulla nostalgia di quando giravo Partner”, ha svelato il regista. Ne “I Sognatori”, infatti il ’68 è vissuto dai protagonisti chiudendosi in casa, imprigionandosi nella cinefilia, nel loro amore per il cinema e non per la vita.
“Bertolucci on Bertolucci”, uno sguardo più intimo sul regista
Ad aver vissuto indirettamente il maggio francese (è nato nel 1971) è stato anche Luca Guadagnino. Regista siciliano, la cui fama riecheggia più all’estero che in Italia, ha realizzato “Bertolucci on Bertolucci”. Il documentario, co-diretto con Walter Fasano, riporta una ricostruzione storica dell’opera di Bertolucci attraverso interviste realizzate al regista stesso e ad alcuni suoi collaboratori.
Di fatto, il regista siciliano che per realizzare Call me by your name (ma anche Io sono l’amore) si è ispirato al maestro, riprendendo soprattutto diverse citazioni da Io Ballo da Sola. Dal suo mentore ha ereditato l’insegnamento che gli attori debbano arrendersi alla cinepresa: “Ho deciso di fare cinema guardando Bertolucci, non i film di Bertolucci” ha affermato al Salone del Libro di Torino, a maggio 2018, intervistato insieme a Bertolucci stesso.
Mentre il grande maestro del cinema italiano, al termine della stessa intervista, affermò:
“Noi vogliamo evocare il presente ed è difficile farlo tutti insieme, possiamo solo meditare, come nella meditazione trascendentale. Una delle esperienze più potenti. O si medita o si guarda un bel film, poi le due cose iniziano a toccarsi…”.
Bertolucci e il mondo islamico
Attento alla società e ai suoi cambiamenti, si pronunciò anche attorno al tema del mondo islamico e della diversità culturale. In un’intervista fatta da Brian D. Johnson nel 2001 sulla rivista Maclean’s, Bertolucci disse: «Una delle mie ossessioni da un po’ di tempo a questa parte è stata quella di vedere le culture reciprocamente innamorate.
Quando stavo girando “Il tè nel deserto” nel deserto del Sahara, ci imbattemmo in una piccola cappella creata da un prete francese alla svolta del secolo. La porta era aperta sul tramonto al di là delle dune. Il pavimento della cappella era di sabbia. Nel contenitore per l’acqua santa c’era la sabbia, era come se il cristianesimo stesse accogliendo la sabbia dell’Islam nel contenitore dell’acqua santa e l’Islam stesse offrendo la sua sabbia al cristianesimo. Uno dei maggiori problemi al momento è l’incomprensione culturale. Quando il primo ministro italiano parlò della superiorità della civilizzazione europea su quella islamica, penso, “ecco che ci siamo, un caso di grande ignoranza”. Il tipo non sapeva che gli intellettuali italiani in passato leggevano l’arabo e gli arabi leggevano la bibbia».
Bertolucci, politica, estetica e comunicazione
In un’altra intervista fatta nel 1971 da Amos Vogel sulla rivista “film comment”, Bertolucci espresse invece la natura del suo lavoro. Disse infatti che i suoi film derivano da un’esigenza di comunicazione e rivelò la sua preoccupazione per il bisogno di consapevolezza politica: «Con il Conformista posso parlare a un pubblico più ampio. È possibile che io faccia i miei film perché, nella vita reale, io non sappia comunicare; in questo modo comunico con molte persone».
E ancora: «Temo l’estetismo perché so molto bene che potrei fare un film sulla qualità del vento… l’essenza del vento che non è nulla, e ciò farebbe felice il pubblico di un festival. Ho paura di questo. L’estetismo è sempre un errore, forse in Italia questa parola ha diverse connotazioni, è una parola dalla connotazione negativa. Spero che ci sia in me abbastanza bisogno di consapevolezza politica così come di estetismo. Forse i miei film migliori dovrebbero trattare di politica senza necessariamente parlarne».
Bertolucci e la disabilità
«Diventare disabile significa entrare in una condizione nuova e difficile. All’inizio mi sono auto-recluso, poi grazie anche al mio nuovo film, ho scoperto che potevo avere una vita normale».
Ultimo nella sua biografia ma non per importanza, fu il tema della disabilità che lo toccò in prima persona. Ritrovatosi in carrozzina “incarcerato” in quel di Trastevere, ebbe modo così di riflettere anche attorno al tema barriere architettoniche.
La sedia a rotelle gli permise infatti di vedere il mondo da un’altra prospettiva a cominciare dalla difficoltà di utilizzarla a Roma. Così decise di raccontarlo, in modo ironico, attraverso un filmato autobiografico in cui mostrava ruote impazzite, alle prese con marciapiedi disastrati e sanpietrini ingestibili.
Della disabilità non ne fece mai motivo di vergogna. Anzi, continuò a lavorare fino all’ultimo, smuovendo anche polemiche e battaglie con il sindaco di Roma del tempo, Giovanni Alemanno. Di fatti, sul set di Io e te, accolse i giornalisti spiegando di aver trovato il modo di girare un film a pochi metri da casa per aggirare le problematiche legate agli spostamenti e continuare a vivere la sua passione fino all’ultimo: «Vivere a Trastevere è diventato impossibile per me, Roma ormai è una città proibita per i disabili. Uscendo di casa mi sono reso conto che sono circondato da un percorso di guerra».
E lanciò l’accusa contro Alemanno: «Quando ho denunciato di non essere potuto andare al matrimonio del mio amico Mario Martone nella Sala Rossa in Campidoglio perché non c’era la possibilità di accedere per un disabile, è arrivata la patetica risposta del sindaco Alemanno su Youtube. Dice che costruire una rampa su una facciata cinquecentesca di Michelangelo l’avrebbe deturpata. Ma quale rampa? Sarebbe stato sufficiente una rampa mobile da tirar fuori quando deve entrare in Campidoglio un disabile. Una risposta in totale malafede: in ogni parte del mondo c’è attenzione verso i disabili. Sono un personaggio noto, per questo ho deciso di farmi portavoce di questa denuncia e spero che tutto questo clamore serva a qualcosa».
Addio Bernardo Bertolucci
Ora non ci resta che salutare il grande regista con una citazione che ha iniziato a girare sui social alla notizia della sua morte. La frase pronunciata dall’anziano patriarca Burt Lancaster, in Novecento:
“Quando la festa sta per finire, dì che sono morto. Digli che sono morto, ma che continuino a ballare”.
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