Mancava poco a Natale quando visitai per la prima fuggevole volta il centro di Edimburgo. Arrivai col treno alla stazione Waverley. Sapevo che avrei avuto solo poche ore serali a disposizione per assaggiare questa città. Ci sarei tornata poi, tante volte, per visitarla a pieno solo un anno dopo.
Appena emersi dalla sotterranea stazione, venni invasa da una sensazione sfavillante ed inconfondibile: era Natale. Era Natale dappertutto nel centro di Edimburgo! E non avrebbe potuto essere altrimenti.
Mi trovai subito circondata da persone che camminavano frettolose, tenendo per mano i loro bambini che corricchiavano e scappavano verso le luci e i giochi. A volte qualcuno procedeva più lento, assaporando, come me, ogni angolo e ogni dettaglio di quel tripudio di gioia.
Mi incamminai lungo la famigliare Princes Street, un ampio viale pressoché interamente pedonale, dove decine di negozi di ogni genere si susseguono allegramente. Vetrine coloratissime, decoratissime, pienissime di tutte quelle cose che non ci servono nemmeno, ma che è bello ammirare nel loro splendore di brillii e luccichii quando arrivano le feste.
Eppure ciò che mi colpì fu proprio al di fuori di quegli infiniti negozi. Mi addentrai, infatti, nella città del Natale, l’area dell'”Edinburgh’s Christmas”. “Non fa poi così freddo”, pensai, e mi inoltrai volentieri tra le stradine del mercatino natalizio all’aperto.
Fui subito attirata da una grande casetta di legno ricolma di cappelli pelosi, colbacchi, guanti morbidi e vaporose muffole. Nonostante la noncuranza iniziale, mi accorsi dei miei piedi gelati e comprai due paia di simpatici calzettoni a righe grigie e argentate: un ottimo rimedio contro il secco freddo dicembrino che cala su Edimburgo e resta con lui fin sul finir dell’inverno.
Le lucide casette emanavano forti sapori: a volte acri e decisi, di specialità tedesche e austriache, a volte dolcissimi, di zuccherosi biscotti, di cup cakes e frittelle. I visitatori, forse in cerca di un po’ di calore, si schiacciavano nelle casette più tiepide, chiacchieroni e ridenti, come in una festa.
Mi imbattei d’improvviso in una piccola parata scozzese. Gruppi di bambini e ragazzi sfilavano in marcia e si fermavano a conca per suonare e cantare a gran voce delle belle melodie del passato. Li vidi portare con orgoglio il tipico kilt scozzese, dai colori più vari. Ce n’erano di blu scuro, di verde, di rosso, di viola, …
Nonostante le uniformi leggere, i suonatori parevano non sentir freddo. Rullavano, rimbombavano i tamburi, strillavano le trombe, sbattevano i piatti. Si innalzavano forti le voci, richiamando tutti: bambini e grandi, indaffarati e perditempo, per un breve spettacolo immancabile nel Natale di Edimburgo.
Proseguii la mia passeggiata, saltellando al ricordo di quei ritmi esultanti, finché mi accattivò all’improvviso una curiosa struttura. Si trattava di un autobus rosso brillante, di quelli che si vedono in Gran Bretagna, che si disegnano sui libri di inglese e su cui ognuno di noi vorrebbe salire almeno una volta.
Ma ecco la sorpresa: non era un normale autobus, bensì un’originalissima caffetteria, con tè, caffè e pasticcini. Erano proprio le cinque: mi fermai per una tazza di tè caldo, salendo al secondo piano dell’autobus fermo. I suoi sedili in velluto castano erano morbidissimi e accoglienti. Non conoscevo nessuno ma con gli altri passeggeri ci scambiammo fin da subito occhiate ridenti e sorrisi divertiti. Chi mai non vorrebbe prendere un tè natalizio su un autobus rosso a due piani?
Arrivò la mia fermata immaginaria e scesi presso una grande briosissima giostra. Ho sempre amato le giostre dorate con i cavallini che saltano, trottano, galoppano. Quella era davvero una giostra dei sogni. I bambini ci salivano estatici, scegliendo con cura la loro carrozza o il loro destriero e vi saltavano in groppa sicuri o con la mano di mamma o papà.
Poi iniziò la passeggiata rotonda. I cavallini splendevano nella luce già scura del pomeriggio scozzese, la musica tintinnava allegrissima, i colori si mescolavano in arcobaleni di risa e brillii di pensieri. Nel cielo si vedevano verdi ghirlande, palline liscissime e lustre, lucine indecise che apparivano, scomparivano, singhiozzavano nei riflessi di specchi radiosi.
Ferma per un attimo in quell’andirivieni, osservai la grande ruota panoramica che dominava la visuale, coprendo un po’ il severo Scott Monument, simbolo indimenticabile di Princes Street Gardens. Lo Scott Monument un po’ fosco, corrucciato, costruito com’era in memoria dello scrittore scozzese Sir Walter Scott, la cui statua di pietra grigia troneggia immutabile e riparata al suo interno. Si trattava di una rocciosa pedana appuntita e aghiforme, che vide la sua completezza nel 1846 e nacque dal progetto di George Meikle Kemp, il quale annegò per disgrazia in una sera di nebbia e ricordi nel 1844.
Forse è per questo che lo Scott Monument appare sempre un po’ triste, così gotico, così vittoriano al contempo. Tuttavia in quella sera scozzese anche lui mi sembrò un po’ più vispo di quando lo vidi altre volte. Forse un raggio di sole, spuntato di sorpresa sul far del tramonto, ricordò che, in fondo, era Natale, e gli intimò di guardare i bambini, la gente, la festa che c’era, ricordandogli che non era solo.