Still I Rise, un’associazione per un grande aiuto umanitario che ci crede con tutto il cuore. Una causa nobile che offre ai bambini più bisognosi e disagiati un porto sicuro in cui poter tornare a vivere la propria età.
Fondata nel 2018 da Nicolò Govoni, Giulia Cicoli e Sarah Ruzek, la missione della no profit è garantire un avvenire a questi meravigliosi ragazzi che hanno bisogno solo dell’opportunità di potersi esprimere e fiorire. Per questo si rimboccano le maniche ogni giorni e si danno un gran da fare.
Aiutarli e sostenerli è possibile in vari modi.
Spesso si trovano a scontrarsi con la mancanza di vera volontà politica per risolvere determinate situazioni, dove non c’è collaborazione, ma piuttosto intralcio.
“Cambiamo il mondo, un bambino alla volta” è il loro motto. Conosciamoli di più grazie alle parole di Vanessa Cappella, responsabile ufficio stampa & PR del team.
Still I Rise. Il nome della onlus si ispira alla poesia “Still I Rise” di Maya Angelou: un inno contro il pregiudizio, le ingiustizie e le discriminazioni. Come e quando è nata questa organizzazione?
Still I Rise nasce nel 2018 come risposta a un vuoto di sistema incontrato sull’isola di Samos, in Grecia. Qui sorge infatti uno dei peggiori hotspot del continente europeo: un luogo pensato per ospitare una popolazione rifugiata di 648 persone, ma che nel corso degli anni ha raggiunto picchi vicini alle 8mila persone, che vivono in condizioni alienanti e continue violazioni di diritti umani. Nicolò Govoni, Giulia Cicoli e Sarah Ruzek erano tre volontari che operavano in un’associazione locale, occupandosi soprattutto di bambini e adolescenti. Dopo aver sperimentato in prima persona ciò che non funzionava nel sistema della gestione dei profughi sull’isola e aver constatato che per la fascia d’età dagli 11 ai 17 anni non era previsto alcun programma educativo specifico, hanno deciso di creare qualcosa di nuovo e di diverso, che fosse indipendente da organismi governativi nazionali o sovranazionali e si focalizzasse più sull’efficacia e l’impatto delle azioni sui diretti destinatari. Con il supporto di altri 7 volontari dall’Italia, è nata così la nostra organizzazione.
Una causa nobile. Anche le persone che ne prendono parte e che sposano questa causa devono essere speciali e avere un cuore immenso. È così?
Ci crediamo con tutto il cuore, questo è sicuro. Fare parte di una realtà come Still I Rise significa sposare una causa con ogni parte di se stessi, dare il massimo per fare in modo che le cose cambino davvero, senza avere paura di rimboccarsi le maniche e di passare dal dire al fare. La forte motivazione è il carburante di ogni nostra iniziativa.
È bello sapere che ci sono persone che partecipano alla vostra “missione” con dedizione, riuscendo a donare un sorriso ai bambini più bisognosi e a far credere nei loro sogni e un futuro migliore. Quanto vi ripaga tutto questo?
Vedere i nostri studenti letteralmente sbocciare nell’arco di poco tempo dà il senso del nostro agire. Ci impegniamo a creare luoghi protetti, in cui si possano sentire al sicuro e al centro delle nostre attenzioni: sono ragazzi meravigliosi, che hanno bisogno solo dell’opportunità di potersi esprimere e di fiorire, esattamente come qualsiasi bambino e adolescente. Spesso i nostri team sul campo ci raccontano della straordinaria forza di reazione che questi ragazzi dimostrano ogni giorno, nonostante spesso abbiano storie molto dure alle spalle e vivano un presente difficile. Il fatto che vivano le nostre scuole come un porto sicuro in cui poter tornare a vivere la propria età è per noi di fondamentale importanza.
Invitiamo tutti i lettori a visitare il vostro sito Internet. Li si possono trovare tutte le modalità per effettuare delle donazioni. Volete elencarci comunque le varie possibilità e ricordarci perché è così importante dare un contributo alla vostra organizzazione?
Certo, con piacere! Come dicevo, siamo un’organizzazione totalmente indipendente: non accettiamo fondi da governi, né da istituzioni nazionali e sovranazionali. Questo perché vogliamo preservare una libertà di azione che risponda nel modo più efficace e diretto possibile alle reali necessità che incontriamo nei nostri campi di operazione, ma anche sentirci liberi di denunciare tutto ciò che non funziona, senza compromessi. Le nostre attività sono possibili solo grazie alle donazioni di singoli cittadini che credono nella nostra causa, ma anche di aziende e fondazioni eticamente in linea con i nostri principi. Ci sono tanti modi per contribuire: impostando una donazione regolare mensile, anche di pochi euro; facendo una donazione una tantum oppure organizzando una raccolta fondi su Facebook per il proprio compleanno; donando a Still I Rise il 5×1000, oppure acquistando i prodotti del nostro merchandising, i nostri libri, le nostre bomboniere solidali. Sul nostro sito è inoltre possibile scegliere direttamente dei regali per i nostri studenti. Siamo sempre aperti anche a nuove idee, quindi qualora ci sia voglia di organizzare anche dei piccoli eventi di raccolta fondi o altro, siamo a disposizione per fornire tutto il supporto.
Voi operate in zone, dove la povertà e le condizioni di vita sono disumane, deplorevoli e impensabili. Quanto è frustrante vedere tanta violenza e a volte nessuna collaborazione da parte delle autorità? Quello che è successo a Moria è una tragedia immane.
È molto frustrante e fa davvero tanta rabbia: io mi trovo in Italia, lavoro nella sede centrale, ma sono costantemente in contatto con i nostri team sul campo e condividiamo lo stesso sentimento per queste situazioni. Il problema spesso è la mancanza di vera volontà politica per risolvere determinate situazioni. Purtroppo c’è la tendenza a considerare la popolazione rifugiata come un problema, un insieme di numeri da gestire, come se dietro a quei numeri non ci fossero in realtà persone, esseri umani, che cercano esattamente ciò che tutti noi vogliamo: vivere una vita serena e garantire ai nostri figli un futuro lontano da guerre, da abusi, da violenze. Ci sono storie dietro ai numeri. Ci sono nomi dietro le etichette. Ognuno di noi potrebbe essere dietro quei numeri e quelle etichette, per questo la distinzione tra “noi” e “voi” non dovrebbe esistere. Siamo tutti esseri umani: è questo che spesso si dimentica.
Ci sono storie che meritano di essere raccontate e per questo sono stati scritti dei libri. Frutto di tanto amore e di tante esperienze. Vi farebbe piacere renderci partecipi di alcuni particolari episodi?
Dal campo arrivano spesso storie dei nostri studenti: tra quelle a cui sono più affezionata c’è la storia di Nahid, una ragazza afghana di 15 anni che era arrivata a Mazì, il nostro centro educativo a Samos, molto timida e introversa. Nell’arco di poco tempo, invece, sentendosi protetta e al sicuro è sbocciata, rivelando una grandissima forza interiore e trasformandosi in un punto di riferimento per tutti i suoi compagni. Quando è stata trasferita poi nel campo di Ritsona, nella Grecia continentale, è diventata un’attivista e si è unita a un movimento di giovani rifugiati per rivendicare il diritto allo studio di ragazzi e ragazze come lei. Diritto che non viene affatto rispettato. Ha allora organizzato delle classi per i più piccoli, insegnando loro l’inglese e tutto ciò che aveva appreso nella nostra scuola. Ora però, dopo due anni passati ad aspettare inutilmente che qualcosa cambiasse, ha intrapreso con la sua famiglia il viaggio per la rotta balcanica, nella speranza di trovare un posto che possa accoglierla e farle vivere una vita normale. Nahid è un grande esempio di forza e intelligenza: eppure il suo potenziale è completamente trascurato ed è allucinante che questi ragazzi possano rimanere per anni, in Europa, senza essere inseriti nei percorsi scolastici, vivendo praticamente dimenticati nei campi profughi.
Insegnare a questi bambini, e donare loro speranza e amore deve essere un’esperienza alquanto unica. Sono soprattutto le persone giovani, che desiderano cambiare qualcosa nel mondo a collaborare o ci sono persone più grandi che riescono a uscire dalla loro zona di comfort e cambiare il loro stile di vita per dedicarsi agli altri?
Non è una questione di età, è una questione di predisposizione e di voglia di rimboccarsi le maniche, secondo me. È vero che a Still I Rise l’età media è bassa: Nicolò Govoni, il nostro CEO e Presidente, ha 28 anni, così come Michele Senici, Direttore dell’Educazione, mentre Beatrice Marzi, la nostra Direttrice delle Operazioni, ne ha 29, ma ci sono anche persone più grandi nei nostri team, che credono con forza nel progetto, mettendoci ugualmente anima e corpo. L’età è solo una convenzione, se si vogliono davvero cambiare le cose non c’è anagrafe che tenga.
In Italia é ricominciata la scuola. Non è mai stata così attesa e temuta. Un luogo dove i bambini hanno la loro seconda casa, un luogo abitato da adulti che sviluppano con chi cresce la relazione più continuativa e formativa della vita. È una situazione già difficile qui, nei Paesi dove operate spesso i bambini non hanno un tetto sopra la testa, cibo, o una famiglia. Voi siete una grande speranza di vita per loro. Quanto ha negativamente influito questa pandemia, oltre a tutte le problematiche già esistenti?
La pandemia ha messo a dura prova i nostri ragazzi e il lockdown nei campi profughi come quello di Samos rende la situazione ancora più difficile. Quando abbiamo dovuto chiudere a più riprese le nostre scuole, ci siamo attivati subito per far sentire la nostra presenza nella loro quotidianità e continuare i percorsi educativi attraverso la didattica a distanza. A Samos, ad esempio, abbiamo ricaricato i cellulari per garantire le connessioni internet e distribuito powerbank, oltre a kit igienici e pacchi alimentari. In Siria il Covid è stato “l’ennesimo problema” e ha aggravato quelli già devastanti che la popolazione si trova a vivere quotidianamente. Tuttavia, nell’area in cui operiamo per fortuna i casi sono stati relativamente sotto controllo e la nostra scuola non ha dovuto fare chiusure troppo lunghe. In Kenya invece il lockdown è arrivato in modo inaspettato a inizio aprile, a causa di un aumento di casi nel Paese. Ci siamo subito organizzati, fornendo tablet a tutti gli studenti e attivando la DAD nella baraccopoli di Mathare, a Nairobi. Tuttavia essere vicini a loro solo con le lezioni online non ci permetteva di farli sentire davvero al sicuro: si tratta di bambini molto vulnerabili, facilmente esposti alla violenza di strada. Inoltre – venendo meno l’ingresso nella nostra scuola – stavano perdendo anche la garanzia di poter mangiare tutti i giorni con regolarità. Il nostro team a Nairobi, allora, si è attivato ed è riuscito a ottenere dalle autorità locali il permesso di accogliere a piccoli gruppi i bambini ogni giorno, per garantire loro almeno un pasto e supporto psicosociale. Il 10 maggio però potremo riaprire regolarmente e ne siamo molto felici. Chiudere le scuole per il lockdown è un dramma ovunque, ma per questi ragazzi lo è ancora di più.
Facebook per diffondere e condividere il vostro progetto. Il passaparola è un buon mezzo di comunicazione?
Se Still I Rise esiste ed è quello che è oggi, molto lo deve ai social network. Io stessa non ci sarei forse mai arrivata se non mi fossi imbattuta, ormai tre anni fa, nella pagina facebook di Nicolò Govoni, attraverso la quale ho seguito passo passo la nascita della onlus, prima poi di entrare a farne parte nel 2019. Ancora adesso Facebook ha un ruolo fondamentale: attraverso gli aggiornamenti quotidiani, restiamo costantemente connessi con i nostri sostenitori, li informiamo di tutto ciò che accade, c’è un rapporto estremamente trasparente e un clima di grande fiducia e partecipazione. I nostri sostenitori sono davvero parte integrante della famiglia di Still I Rise.
Ho tralasciato di chiedervi qualcosa che per voi è importante far sapere? Ad esempio la vostra filosofia, se avete un vostro motto o altro?
Il nostro motto è “Cambiamo il mondo, un bambino alla volta” e riassume molto bene la filosofia di Still I Rise: non puntiamo ai grandi numeri, ma alla qualità del nostro impatto. Non ci interessa aiutare parzialmente, pur di raggiungere migliaia di bambini. Preferiamo concentrarci su un numero minore, ma dare tutto il massimo che possiamo. Il nostro approccio è duplice: apriamo centri educativi in contesti di emergenza, come a Samos e nel Nord Ovest della Siria, e scuole internazionali di alta qualità in contesti più stabili, come in Kenya e Turchia. In questo secondo caso, proponiamo percorsi di studio della durata di 7 anni e la possibilità di conseguire un diploma riconosciuto in tutto il mondo, che possa aprire a questi ragazzi la possibilità di accedere alle borse di studio delle migliori università. Siamo l’unica no profit al mondo a offrire tutto questo, gratuitamente, ai minori profughi e vulnerabili. La qualità della proposta potrà davvero, un giorno, trasformarli nei leader di cui abbiamo bisogno per sperare in un mondo diverso.
È usuale terminare le nostre interviste chiedendo qual è la vostra canzone preferita. C’è una canzone preferita che i bambini cantano nelle vostre scuole? Perché sicuramente anche la musica è una componente importante nell’ambito scolastico e contribuisce a una bella atmosfera.
Non c’è una canzone in particolare che viene cantata ovunque, in quanto ogni scuola ha una propria specificità legata al Paese e al contesto in cui si trova. Di certo, però, posso dire che la musica, il teatro, la danza, la fotografia fanno parte integrante della nostra proposta educativa e queste lezioni sono molto amate dai nostri studenti.
Grazie per il vostro tempo e buon lavoro!