In risposta alla “piaga sociale” della violenza sulle donne non è più sufficiente l’operato dei singoli centri antiviolenza e le isolate leggi da sole non possono fare molto; è necessario un cambiamento culturale partendo dall’insegnamento di valori, quali il rispetto tra uomini e donne e la possibilità di risolvere i conflitti in modo non violento, ai più piccoli perché loro saranno gli uomini di domani.
I numeri dei femminicidi e delle violenze (fisiche, psicologiche, economiche…) sulle donne rivelano che questi comportamenti da parte di uomini, sempre più spesso conoscenti o parenti delle vittime stesse, che impongono il proprio volere e la propria supremazia con la violenza fisica sono un fattore strutturale della società.
Per fronteggiare questa “piaga sociale” non è sufficiente l’operato dei singoli centri antiviolenza, che da anni seguono le vittime e sensibilizzano la cittadinanza con numerose iniziative sull’argomento, né le isolate leggi possono fare la differenza, anche le denunce talvolta rimangono inascoltate: tutti questi sono interventi posteriori, è necessario agire prima intervenendo sulla mentalità con cui si viene educati e occorre fare rete mediante azioni sinergiche e trasversali che coinvolgono tutta la comunità.
Origine della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne
Ogni anno il 25 novembre si celebra la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, l’apice di un mese interamente dedicato ad iniziative sul tema rientranti nella campagna del Fiocco Bianco.
La sua origine è da ricercare oltreoceano come conseguenza di un tragico fatto di cronaca avvenuto in Canada ventinove anni fa. Il 6 dicembre 1989 Marc Lépine, venticinquenne canadese di origini franco-algerine, entrò nella facoltà di ingegneria dell’école polytechnique di Montreal e sparò sugli aspiranti ingegneri uccidendo 14 studentesse.
A spingere l’uomo a compiere questo folle gesto fu la convinzione di dover ristabilire la superiorità maschile in certi campi del sapere colpendo proprio le donne ree di essersi iscritte a ingegneria, una disciplina ritenuta “maschile”.
Nel 1991 è partita “White Ribbon Campaign” una grande mobilitazione di uomini che, di loro iniziativa, hanno voluto prendere le distanze dal pensiero di Lépine scegliendo come semplice segno di indossare un fiocco bianco a simboleggiare “l’impegno personale a non commettere, a non giustificare e a non rimanere in silenzio davanti alla violenza contro le donne”.
L’impegno degli uomini a non essere complici del silenzio quest’anno viene testimoniato dal cantante Ermal Meta, vincitore con Fabrizio Moro dell’ultima edizione del Festival di Sanremo, testimonial della campagna #alidiautonomia promossa dall’associazione Donne in Rete contro la violenza (Di.Re).
L’iniziativa del Fiocco Bianco, che ha fatto il giro del mondo riscuotendo numerose adesioni, nel nostro paese si ripete dal 2006 grazie all’associazione Artemisia di Firenze che si è fatta aprifila della campagna del Fiocco Bianco in Italia; da allora il mese di novembre è ricco di eventi di informazione e sensibilizzazione promossi da centri antiviolenza ed enti pubblici che cercano di coinvolgere la cittadinanza, le istituzioni e le amministrazioni.
Bambini, studenti, uomini, donne, anziani: tutti sono chiamati a non esser complici del silenzio. Dal 2014 a Milano si può contribuire alla costruzione di un muro, nato come temporanea installazione artistica ma divenuto ora allegoria dell’opposizione a ogni forma di violenza sulle donne.
Quello milanese è un muro di bambole che ha il significato di essere una parete di solidarietà da costruire per non dimenticare, per scuotere le coscienze, per non restare indifferenti di fronte al triste fenomeno, ma questo muro rappresenta anche le sofferenze e la tenacia delle donne.
Preziosa l’adesione di brands del Made in Italy, onlus e artiste, che per primi hanno creato bambole ad hoc, ma anche di cittadini che possono portare la propria bambola. La principale ideatrice dell’iniziativa è stata la cantante Jo Squillo che qualche giorno fa, il 20 novembre, ha presentato a Roma il docufilm ‘Donne e Libertà’ da lei diretto e scritto da Francesca Carollo con i racconti di madri, mogli, fidanzate, sorelle, figlie vittime della prepotenza maschile.
Questo docufilm, che nasce dall’esperienza del muro simbolico ‘Wall of Dolls’, era già arrivato al Festival di Venezia, con la partecipazione di Giusy Versace, ma ora è stato presentato nella sala del refettorio alla Camera dei Deputati a studenti e insegnanti; in seguito alla sua visione si è tenuto un dibattito con la stessa Giusy Versace, la senatrice Valeria Fedeli, la sottosegretaria Lucia Borgonzoni e la deputata Mariastella Gelmini.
La potenza delle immagini più che delle parole è il canale che si vuole provare a sfruttare per dire basta alla violenza, un canale cavalcato anche dalla vicepresidente della camera Mara Carfagna, che ha lanciato la campagna di sensibilizzazione con l’hastag #nonènormalechesianormale proponendo a tutti (politici, vip e gente comune) di postare un proprio video contro la violenza sulle donne e contro i femminicidi.
Il Consiglio Europeo già all’inizio degli anni ’90 aveva cercato di contrastare la violenza di genere con alcune isolate iniziative, ma solo nel 2002 fu approvata una “raccomandazione” che invitava gli stati ad adottare una serie di misure per proteggere le vittime e prevenire tali crimini.
Il 1° agosto 2014 è entrata in vigore la Convenzione di Istanbul, il primo strumento europeo che propone alle istituzioni azioni strutturali per proteggere le donne ed affrontare il problema da un punto di vista culturale e politico.
Il fine è di prevenire e correggere un’errata mentalità diffusa partendo dalla definizione di quali siano i comportamenti da giudicare “violenza di genere”, non dimenticando che a fianco dei maltrattamenti più eclatanti di cui ci riferiscono i media, ci sono un elevato numero di donne che nel silenzio subiscono soprusi.
Esistono poi atteggiamenti correlati su cui ancora non si interviene con decisione come la “cattiva informazione” (ad esempio dando risalto al singolo femminicidio e mettendo in secondo piano uccisioni di donne dopo numerose denunce e violenze domestiche), la giustificazione dei colpevoli di questi atti (con “attenuanti” quali raptus, gelosia e motivi economici) e il cyberbullismo che spesso genera “conseguenze psicologiche devastanti per chi lo subisce”.
Si persiste nel trattare queste tematiche con superficialità, spesso se ne parla con disinteresse minimizzandole e contribuendo alla loro riproduzione; questo è il primo errore perché è necessario un cambio culturale per arginare il manifestarsi di comportamenti subdoli e violenti.
I responsabili di questa situazione siamo tutti noi, dai genitori agli insegnanti, dagli educatori agli adulti in generale, ma non solo; i mezzi di comunicazione e di divertimento, trasmettendo troppo spesso messaggi errati e modelli di comportamenti scorretti, influenzano sia i giovani che gli adulti. Per cambiare questa mentalità è necessario iniziare però dall’educazione dei più piccoli nelle scuole e soprattutto in famiglia, pensando che saranno gli uomini di domani.
A volte queste violenze sono di difficile previsione, ma non è impossibile prevenirle e sicuramente l’insegnamento di valori autentici come il rispetto tra uomini e donne e la possibilità di risolvere i conflitti in modo non violento è fondamentale; noi, in quanto società, dobbiamo avere una cura particolare nell’insegnamento di questi valori ai più piccoli.
In alcune scuole superiori, da qualche anno si svolgono cicli di incontri con gli studenti con il duplice fine di far riflettere sulla violenza di genere e di far emergere casi sommessi. Ma sarebbe utile che tutte le scuole di ogni ordine e grado aderissero a simili incontri perché la prevenzione per combattere la discriminazione deve partire dagli adolescenti e ancor prima dai bambini. Perché come ha scritto Ermal Meta nel ritornello della sua canzone “Vietato morire”:
«Cambia le tue stelle, se ci provi riuscirai
e ricorda che l’amore non colpisce in faccia mai
figlio mio ricorda
l’uomo che tu diventerai
non sarà mai più grande dell’amore che dai».