Il cuore rallenta la testa cammina
in quel pozzo di piscio e cemento
a quel campo strappato dal vento
a forza di essere vento*
La storia di Dragan, un racconto liberamente ispirato dalle note di Khorakhané
Dragan è un ragazzo rom di 12 anni. Ha origini montenegrine e vive in Italia. I suoi genitori sono immigrati agli inizi degli anni 90 a causa dell’aggravarsi della situazione politica nell’ ex-Jugoslavia.
Guardando la televisione italiana, si accorge di non essere come la maggior parte dei suoi coetanei, si accorge che gli altri vanno a scuola; si accorge che gli altri non vivono nelle baracche o nelle roulotte; gli altri vivono in appartamenti, più o meno belli.
Si chiede il perché di tutto questo.
Inizia a fare ricerche e comincia anche a scoprire di far parte di un popolo perseguitato da centinaia di anni.
Perché il mio popolo è discriminato?
Chiede alle persone che non fanno parte del suo popolo.
Come risposta a questa domanda trova tanto odio, tanti insulti. Riceve frasi del tipo:
Se il tuo popolo è così discriminato, dovreste farvi un esame di coscienza. Ci sarà un motivo, no?!
Il ragazzo non si fa prendere dallo sconforto e continua a studiare la storia del suo popolo, tra libri trovati nel campo dove abita e tra domande fatte a persone anziane o più istruite di lui. Viene a sapere del nazismo e del “Porrajmos”.
Lo viene a sapere solo in quel momento, in quell’esatto momento inizia a chiedersi perché se ne parli così poco, perché tanto dolore è stato dimenticato, come se fosse passata un’improvvisa folata di vento che ha spazzato via la memoria.
Il popolo Rom non ottenne niente dal processo di Norimberga, nessun risarcimento: vittime di persecuzione, colpevoli di asocialità. Proprio l’“asocialità” fu la giustificazione al genocidio, come se non fossero morte delle persone, come se al posto di essere umani, dai campi di concentramento fosse passato solo il solito vento. Il vento si può percepire ma rimane comunque invisibile.
Oltre al dolore, nel cuore di Dragan cresce anche il rancore. Inizia a mal sopportare insulti e discriminazioni. Vorrebbe far capire a chi lo odia che devono rispettarlo anche in memoria di tutti rom uccisi dal nazismo, in memoria dei triangoli di colore marrone.
Ma Dragan continua a credere nel cambiamento, crede nel suo popolo ed è orgoglioso di farne parte. Ogni anno dedica tanta passione alla preparazione della festa di San Giorgio. In quella occasione si può ristorare lo spirito. Una parentesi di felicità portata dai fiori, dalla musica, dalla compagnia, dalla primavera.
Crescendo prova a riscattarsi. Cerca di entrare in contatto con tutti, non solo con persone rom. Prova a farsi degli amici, a cercare un lavoro: nessuno vuole entrare in contatto con lui, chi lo odia da una parte e chi ha paura dall’altra.
Sono passati tanti anni – pensa – e siamo ancora vento
Dopo tanti giorni tutti uguali, giorni passati a cercare il suo riscatto e quello del suo popolo, Dragan si arrende. A forza di essere vento, inizia a odiare il mondo. Inizia a non credere più nel bene, inizia a vedere solo il male che è stato fatto a lui e al suo popolo.
E così inizia una nuova vita. Non riesce più a sopportare di vedere sua madre, come tante altre, chiedere elemosina. Non sopporta più di vedere la sua gente rovistare nei cassonetti a caccia di cibo.
Inizia a girovagare per mercati e a sfilare portafogli. Non gli importa più del prossimo, lo fa con odio. Vuole ricambiare l’odio che le persone hanno verso di lui. La sua vita, quindi, prende un’altra piega. Dragan non è nato delinquente perché rom ma ha cominciato a delinquere per “colpa” di essere rom, una vita sbagliata in un mondo sbagliato.
Con una sola differenza. Lui può cambiare, lui sa di sbagliare, è cosciente dei propri errori. Il mondo, invece, crede di essere giusto.
…e se questo vuol dire rubare
questo filo di pane tra miseria e sfortuna
allo specchio di questa kampina
ai miei occhi limpidi come un addio
lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca
il punto di vista di Dio.*
Cit. Khorakhané (a forza di essere vento) – Fabrizio de André