Nessuno le credeva, pensavano che fosse eccessivamente preoccupata per il marito. Anche quando lui, dopo numerosi insulti verbali, è arrivato a metterle le mani addosso. Anche quando lui stava per essere licenziato dal lavoro.
Ma Angela è andata contro tutto e tutti ascoltando solo se stessa e la sua intuizione. Così, si è rivolta a Telefono Donna, il centro antiviolenza donne presente all’ospedale Niguarda di Milano. Poi, grazie alla fiducia acquisita e la tranquillità di essere seguita da professionisti che potessero proteggerla in caso di bisogno, ha continuato il suo cammino. La sua tenacia l’ha portata a scoprire la fonte di ciò che stava distruggendo la sua vita e la relazione con il marito: un tumore benigno nella zona frontale del cervello.
Oggi Angela e suo marito hanno ripreso a vivere serenamente insieme. Così, in collaborazione con Telefono Donna, abbiamo deciso di intervistarla.
Chi è Angela?
«Sono una donna di 57 anni, sono sposata e ho quattro figli, la prima del primo marito e gli altri tre da mio marito attuale. Sono casalinga ma ho vari interessi. Mi occupo di fare volontariato in parrocchia, faccio catechismo ai più piccoli, dalla comunione alla cresima e questo, negli ultimi anni, mi ha arricchito molto. Cerco di occuparmi anche del mio condominio avendo acquisito in passato delle competenze di contabilità.
Sono una persona precisa e determinata e credo di avere abbastanza coraggio anche se, negli ultimi tre anni, tutto questo è stato messo a dura prova con ciò che mi sono trovata a vivere e che mai mi sarei aspettata».
Cosa è successo?
«Circa 4 anni fa, mio marito ha cominciato ad avere disturbi di comportamento, a cambiare e diventare aggressivo. All’inizio era aggressivo verbalmente nei miei confronti ma dava anche segnali di depressione. A un certo punto, però, ha cominciato a tralasciare le cose di cui lui si occupava di solito. Era una persona molto precisa e un accentratore che pian piano stava cambiando.
La questione che ha accentuato la crisi è stata riguardo alle scadenze del 730 e poi dell’ISEE. Lui non riusciva più a ricordare le scadenze di pagamento. Io, nonostante sia la moglie, senza una delega di mio marito non potevo accedere alle informazioni né dell’INPS né del CAF. Mi sono sentita una nullità.
Insomma, l’unico che poteva risolvere la questione dei pagamenti era mio marito. Ho dovuto sollecitare la questione e lì è scoppiata la sua aggressività. Ho subito due aggressioni da parte sua. Mi accusava di essere assillante all’inizio e così è andato avanti per mesi. La seconda volta che gliel’ho chiesto mi ha aggredita anche fisicamente.
Se non ci fosse stato in casa mio figlio, che è un ragazzone, non sarei riuscita a bloccare mio marito. Mi ha messo le mani al collo e non riuscivo a staccarlo. Per fortuna c’è riuscito mio figlio. Grazie a lui posso raccontare cosa ho vissuto. Anche perché mio marito è arrivato a minacciare di ammazzarmi. All’inizio mi chiedevo se stesse scherzando ma, quando gli chiedevo perché reagisse così, non avevo risposta.
Solo in seguito ho capito che, purtroppo, mio marito aveva un tumore benigno nella zona frontale del cervello, quella che blocca l’iniziativa e il controllo. Era un tumore molto grosso di cui nessuno sospettava l’esistenza.
Prima di scoprire le cause di questi suoi comportamenti, però, mi sono ritrovata sprofondata nel baratro del terrore, nella paura, nell’angoscia. La domanda che mi sono fatta è stata: “Ma sta succedendo proprio a me?”. “Sì”, mi sono risposta, “sta succedendo proprio a me quello che di solito senti al telegiornale”.
Così mi sono resa conto che nessuno dei miei familiari poteva aiutarmi, tanto meno i miei figli. A parole ti aiutano tutti, tutti ti danno consigli ma, quando riguarda te, devi chiederti a che cosa stai andando incontro, cosa stai rischiando, cosa stanno rischiando i tuoi figli.
Tra l’altro, dopo essere stata aggredita fisicamente, mi si è alzata la pressione e sono caduta per terra mentre ero fuori casa, quindi sono andata al pronto soccorso e mi hanno messo il collare. In quel momento mi sono chiesta chi potesse aiutarmi. Avevo visto la pubblicità dei centri antiviolenza per donne, quindi ho aperto Internet e ho cercato il centro più vicino a me.
Ho trovato Telefono Donna nell’ospedale Niguarda. Non ci ho pensato su un attimo. Ho capito che avevo bisogno di specialisti, di persone che capivano quello che stavo vivendo anche perché avevo vergogna e non volevo dirlo a nessuno. Tutti mi accusavano di essere la causa delle reazioni aggressive di mio marito, mi dicevano: “Sei sempre la solita”, soprattutto i miei figli. Insomma, mi trovavo nella paura e nel terrore e mi rendevo conto che non avevo nessuno».
Cosa intende quando dice “nessuno può aiutarti ma ti devi aiutare da sola”? Perché tutti le giravano le spalle oppure perché bisogna agire in prima persona altrimenti non si esce da una situazione problematica?
«Perché a parole tutti ti dicono che, se hai bisogno, ci sono. Nei fatti concreti non ci sono. Neppure i figli sono in grado di dare l’aiuto idoneo. Così ho chiamato il centro antiviolenza Telefono Donna per raccontare quello che mi stava succedendo. Già solo raccontare quello che mi è accaduto mi ha aiutato.
Questa prima accoglienza è stata davvero positiva: mi hanno fissato un colloquio e ho iniziato il percorso seguita dalla psicologa e, nello stesso tempo, ho avuto anche modo di avere l’assistenza legale grazie a loro, aspetto importantissimo. Pensiamo di sapere tante cose dall’esterno ma, quando siamo coinvolti in prima persona, ne scopriamo molte altre. Essere seguita dal centro antiviolenza Telefono Donna mi ha fatto scoprire molte questioni che non immaginavo esistessero».
Cosa ha scoperto rivolgendosi al centro antiviolenza Telefono Donna?
«Ad esempio, ho scoperto come funziona per le denunce. Ho sporto denuncia anche perché, parlando con un avvocato, ho capito che era un modo per far sì che mio marito si rivolgesse a un medico. Questo perché mio marito sosteneva di stare bene, non era conscio di ciò che gli stesse succedendo, ma io capivo che c’era qualcosa che non andava.
Purtroppo il medico mi ha detto che non poteva obbligare mio marito a farsi visitare ma, grazie alla denuncia, l’avvocato di mio marito avrebbe potuto consigliare una visita medica per smentire la mia posizione.
In ogni caso, ho scoperto anche che, se sporgi denuncia, e il fatto non si ripete, tutto rimane fine a se stesso. La questione su cui bisogna lavorare a livello di legge è questa. Questa cosa mi ha lasciata allibita».
Come è riuscita poi a scoprire il tumore di suo marito?
«Il peggiorare della malattia ha portato mio marito a perdere quasi totalmente la vista, così sono riuscita a portarlo da un oculista. Dopo due visite, questo specialista ci ha detto di non poter trovare la causa. Così, mi sono chiesta per 3 giorni se dovessi portarlo da uno psichiatra, da uno psicologo, da un neurologo. Tutto ovviamente da sola, perché nessuno mi dava credito e io, accanto a lui, non ero considerata.
A un certo punto, però, ho capito che non sarebbe stato uno psicologo la soluzione. Così sono andata da un neurologo che ha capito subito la situazione e mi ha fatto le richieste degli esami di urgenza. Quando hanno visto la TAC si sono spaventati. Mio marito è stato ricoverato subito l’indomani mattina.
Tra l’altro, visto che non bastano i guai, mio marito stava per essere licenziato dal lavoro. Solo poche settimane prima del ricovero ho scoperto che aveva ricevuto una prima lettera di avviso per assenze ingiustificate e, non avendo risposto a questa (visto che non ci vedeva quasi più), anche una seconda.
Ero quasi convinta di essere io la causa dei suoi comportamenti aggressivi ma, quando ho scoperto che non andava neanche più a lavorare, ho capito che, probabilmente, non ero io la causa. Mi hanno detto che non portava a termine i compiti che gli affidavano e non rispettava correttamente gli orari lavorativi.
Così, si arriva al 20 luglio quando, dopo la seconda lettera arrivata dalla sua azienda, lettera che ero riuscita a trovare, siamo andati a colloquio con un sindacalista. È stata una doccia fredda. Abbiamo scoperto che ormai era stato avviato il procedimento disciplinare per licenziarlo per assenteismo. Questo comportava perdere tutti i diritti e, nel giro di 15 giorni, sarebbe stato licenziato con entrata zero.
L’incontro ufficiale per firmare le carte era fissato per il 31 luglio. Mio marito è stato ricoverato proprio pochi giorni prima e così, grazie al certificato del pronto soccorso e gli esami medici effettuati, siamo riusciti a bloccare il licenziamento.
Fortunatamente gli sviluppi dell’operazione sono stati positivi a parte delle complicazioni post operatorie. Mio marito ha ripreso il lavoro da circa un anno e ha ripreso le sue mansioni. Ha riacquistato tutto quello che aveva abbandonato. Si è reso conto pian piano di quello che stava succedendo e ha recuperato il 98%.
Sono rimasti degli episodi di rabbia fuori controllo ma sono molto contenuti. Se gli si fa notare che sta cambiando comportamento si “corregge” subito. Una delle difficoltà maggiori tra noi ora è che lui non si ricorda e non è consapevole dei suoi vuoti di memoria. Per quanto riguarda le aggressioni, non ne parliamo ma so che ne ha parlato con altre persone».
Quindi poi non ne ha mai parlato in modo diretto con suo marito delle aggressioni?
«È stato in ospedale due mesi e mezzo e ha avuto anche delle complicazioni quindi è stata dura. Quando c’è l’occasione, però, gliene parlo. Lui si è rivelato un uomo molto forte come è sempre stato ma all’inizio sembrava non capire cosa avesse vissuto. Poi, anche gli altri gli hanno raccontato qualcosa riguardo l’accaduto.
Da tutta questa storia, però, mio marito si è accorto che so fare qualcosa oltre ad essere una casalinga. Oltre a capire e gestire tutto ciò che gli è successo, sono intervenuta per lui per rimproverare la cooperativa che portava il cibo in ospedale visto che lavoravano in modo molto superficiale. Inoltre, mio marito si è accorto anche che ho risolto tutte le questioni burocratiche legate al suo lavoro e ai pagamenti delle tasse in casa.
Quindi ha capito il mio valore maggiormente grazie a questa storia. Ecco, di tutto questo mi ha dimostrato la sua gratitudine. Mi ha sempre sminuita molto, ora è diverso.
Vivere questa esperienza mi ha anche fatto riflettere sulle altre donne. Uno dei problemi che hanno sicuramente tante donne che subiscono violenza è che non hanno il coraggio di ribellarsi perché hanno paura di rimanere senza soldi. Il fattore economico conta molto purtroppo ma con coraggio si affronta anche questo aspetto».
Secondo lei una donna senza un lavoro può ribellarsi al compagno violento e trovare un aiuto nel centro antiviolenza Telefono Donna?
«Assolutamente, anche perché da sole non si riesce a fare nulla. Se sei una donna “normale”, come noi tutte siamo, da sola non ce la fai. Come è successo a me, le altre persone ti additano e ti giudicano, ti ostacolano. Io ero terrorizzata e avevo cominciato a non avere speranze mentre poi, pian piano, ho trovato il coraggio».
Prima di questi episodi com’era la vostra relazione?
«Abbiamo sempre avuto una relazione faticosa ma credo che, purtroppo, questo tumore sia insorto vent’anni fa. È un tumore a crescita lenta quindi, se è arrivato alle dimensioni di un’arancia, risale a quando ci siamo conosciuti. Per questo ho visto lentamente il suo comportamento cambiare. All’inizio era la persona più rispettosa ed educata del mondo. Alla fine stava quasi morendo, era diventato letargico e non vedeva più niente.
Per fortuna non ho smesso di amare quest’uomo. Con il carattere che ho io, e come ho già fatto una volta, se capisco che non c’è più nulla da fare, non voglio più andare avanti. Se qualcosa non funziona più, devi fare tutto quello che puoi per cambiare. Di fronte a tutti questi episodi di violenza, però, io ho fede e credo. Quando il Papa dice che abbiamo il diavolo in famiglia, io gli credo».
Quindi quello che è successo non ha toccato la sua fede? Lei crede in Dio?
«La mia fede è aumentata. Quando ho deciso di portare mio marito da uno specialista del cervello e non da uno psicologo, è stata grazie ad una illuminazione che ho avuto durante la messa. È come se avessi sentito una voce che mi diceva: “Devi portarlo da un neurologo”.
Dopo la messa, ho affidato mio marito a San Giuseppe. San Giuseppe è il protettore dei papà. Mio nonno si chiamava Giuseppe, così anche il nonno di mio marito. Ho detto: “Se non mi aiuti tu chi mi aiuta?”. Così ho trovato la forza di fare tutto, di reagire e di rivolgermi a un neurologo. Era la cosa migliore che potessi fare per lui».
Cosa prova oggi per suo marito?
«L’amore c’è. Non è sempre facile, a volte ha ancora questi scatti ma in due secondi poi recupera. Vedo comunque che lui è il mio compagno di vita, è l’uomo che ho scelto e con il quale ho avuto tre figli.
A lui dicevo sempre, quando litigavamo, che non saremmo invecchiati insieme. Ora invece gli dico, ridendo, che stiamo proprio invecchiando insieme. Poi sarà quel che sarà, non possiamo sapere tutto. Ma so che ho la forza di affrontare le situazioni».
Quanto è contato l’aiuto del centro antiviolenza donne Telefono Donna al quale si è rivolta?
«È stato indispensabile. Grazie all’accoglienza e alle vicinanza della psicologa soprattutto. È stato importante scoprire l’opportunità, nel caso in cui mi fossi sentita in pericolo, di andare in un rifugio protetto per donne.
Per me il centro antiviolenza Telefono Donna di Milano è stato un’ancora di salvezza. Mentre tutti non capivano la questione fino a che mio marito non è stato ricoverato, io avevo bisogno di qualcuno che mi ascoltasse.
Tutti danno per scontato tutto, tutti pensano di sapere tutto ma la tua vita quotidiana la sai solo tu. Al limite la conoscono i tuoi figli che la vivono insieme a te. Chi è fuori non deve permettersi né di giudicare, né di sentenziare. Ho avuto grosse difficoltà in questo senso.
Mi sono rivolta anche agli assistenti sociali del mio Comune ma sto ancora aspettando una risposta. Ho chiesto di avere un aiuto e di sapere cosa si potesse fare in questi casi ma mi hanno solo risposto che mi avrebbero fornito un supporto psicologico per imparare a convivere con la situazione e a gestire mio marito in quelle condizioni».
Cosa consiglia alle altre donne che si trovano in una situazione di violenza con il proprio marito o compagno?
«Esorto tutte le donne che si trovano in difficoltà a non aspettare l’amica, la mamma, la parente, la vicina di casa che aiuta. Perché, pur volendoci bene, non sono all’altezza di aiutarci. Devono rivolgersi a un centro antiviolenza ed è meglio se questo si trova in un ospedale come nel caso di Telefono Donna, qui al Niguarda. Trovandolo in un ospedale abbiamo l’idea che sia un posto dove trovare una cura.
All’inizio tante donne hanno vergogna di andare in un centro antiviolenza. Difatti io ho pensato di non dirlo ai miei figli. Pensa, avevo detto loro di provare a portare il padre dal medico ma dicevano che ero io che non capivo la situazione mentre mio marito non aveva bisogno di un medico.
Insomma, spesso da fuori gli altri non si rendono conto della situazione, qualsiasi essa sia, quindi dico a tutte le donne: “Prendete in mano il telefono, andate sul computer, cercate il centro antiviolenza vicino a voi e chiedete aiuto”.
Purtroppo molte donne sono restie a chiamare il centro antiviolenza. Siamo vittime di un retaggio mentale vecchio, antico e insano e siamo convinte che ci meritiamo quello che ci sta succedendo. E invece non è così. La nostra vita è importante. La vita di ognuno è importante e nessuno ha diritto di trattarti male. Né di mancarti di rispetto né di farti del male. Non dobbiamo farci abusare, né fisicamente né mentalmente. Non dimentichiamo che esistono anche le violenze psicologiche, come quelle che ho vissuto io per tre anni prima di subirle anche fisicamente».
Cos’è per lei la vita?
«La vita è un dono di Dio che si manifesta tramite l’amore dei i nostri genitori.
La mia vita è la mia famiglia e i miei figli ma senza annullare me stessa e i miei interessi personali».
Qual è la tua canzone preferita?
«Mi piacciono molto le canzoni di Laura Pausini quindi sceglierei La Solitudine».