Una vita devastata quella di Giuseppe Gulotta. Ma dopo 9 processi e 22 anni di carcere ingiusto, quello che fa più male è che nessuno, fino ad oggi, abbia semplicemente chiesto “scusa” per gli 8mila giorni di vita rubati al muratore siciliano.
Ventidue anni in carcere da innocente. Giuseppe Gulotta vi entrò appena diciottenne, condannato all’ergastolo per il duplice delitto dei carabinieri Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta, crivellati nel sonno nella caserma Alkamar di Alcamo.
Insieme a Giovanni Mandalà (ergastolo), Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli (20 anni). Chiamato in causa con gli altri da Giuseppe Vesco che, dopo essere stato trovato in possesso di armi, fu torturato, costretto a ingoiare acqua, sale e olio di ricino e a subire scosse elettriche ai testicoli, anche lui fu incatenato, circondato da «un branco di lupi», picchiato, insultato, umiliato e torturato, finché – come ha raccontato nel libro Alkamar scritto con Nicola Biondo e pubblicato da Chiarelette «sporco di sangue, lacrime, bava e pipì» – non ha firmato una confessione che, seppure ritrattata il giorno successivo, gli ha distrutto la vita.
Il 13 febbraio 1976 fu arrestato e, dopo ben 9 processi, il 19 settembre 1990 fu condannato definitivamente all’ergastolo. Scarcerato nel 1978 per decorrenza dei termini della custodia cautelare, era stato allontanato dalla Sicilia. I genitori lo mandarono in Toscana, a Certaldo, e qui – fra un processo e l’altro – Giuseppe ha conosciuto Michela, sua moglie, che gli ha dato la forza di resistere nei 15 anni trascorsi in carcere. Nel 2005 ha ottenuto la semilibertà.
Giuseppe Gulotta ammette: “Mi sono autoaccusato, era l’unico modo per farli smettere”
“Per 36 anni sono stato un assassino”, aveva raccontato lo stesso Gulotta, “dopo che mi hanno costretto a firmare una confessione con le botte, puntandomi una pistola in faccia, torturandomi per una notte intera. Mi sono autoaccusato: era l’unico modo per farli smettere”. Finché Renato Olino, un ex brigadiere dei carabinieri che avevano condotto le indagini, si è presentato dai magistrati di Trapani, tormentato da un peso che si trascinava da una vita. E ha raccontato dei «metodi persuasivi eccessivi» usati all’epoca per far «cantare» Vesco. Olino ha raccontato ai magistrati che il Vesco fu condotto in una caserma, costretto a ingurgitare da un imbuto acqua e sale e subire scosse elettriche tramite un telefono da campo. Fino alla confessione. Così Gullotta è finito in carcere additato come omicida.
Al processo di revisione che si è tenuto a Reggio Calabria, il procuratore generale Danilo Riva, che conduceva l’accusa, dopo la testimonianza di Olino, ha chiesto che Gullotta fosse assolto. «Non ce l’ho con i carabinieri» ha detto Gullotta al termine dell’udienza che l’ha riconosciuto innocente: «Solo alcuni di loro hanno sbagliato in quel momento. Mi hanno puntato una pistola e mi hanno detto “confessa o ti uccidiamo”. Bisogna credere nella giustizia: e oggi è stata fatta una giustizia giusta. Dovrei ringraziare il brigadiere Olino. Le sue dichiarazioni hanno permesso di riaprire questo processo e di dimostrare la mia innocenza. Però non riesco a pensare che anche lui ha fatto parte di quel sistema».
La revisione ha portato ad assolvere tutti: Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli, fuggiti in Brasile prima della sentenza definitiva e anche Giovanni Mandalà, morto in cella nel 1998. Nel 2015 la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha disposto per Gulotta un indennizzo di 6,5 milioni di euro. Ma per un anno, ha raccontato il suo avvocato, non ha visto un soldo: “Ottenerli non è stato facile. Dalla sentenza assolutoria sono passati 5 anni in cui Giuseppe e la sua famiglia hanno patito grosse sofferenze”.
Fondazione Giuseppe Gulotta, per aiutare innocenti che subiscono errori giudiziari
Tanto che per tutto questo tempo Gulotta ha tirato avanti grazie al parroco del paese. Quando il denaro è arrivato, Giuseppe si è fatto un regalo “una Porsche Cayenne: è stata una vera occasione. Ma ciò che desidero fare adesso è poter ricambiare chi mi ha sempre aiutato”. E così ha dato vita alla Fondazione che porta il suo nome, con l’intento di riaprire casi di errori giudiziari: “Nel mio percorso carcerario ho incontrato molte persone innocenti come me. Nessuno dovrebbe mai subire una simile ingiustizia”.
Ora che di anni ne ha 60, Gulotta torna all’attacco. La somma inizialmente ottenuta, dicono i legali di Gulotta, è un indennizzo e non un risarcimento. I legali ricordano anche che “è stata la stessa Cassazione a dire di rivolgerci all’Arma per il risarcimento del danno subìto per le torture, perché il giudice è stato indotto nell’errore dalla falsa confessione estorta”.
La richiesta è stata depositata al Tribunale di Firenze: nell’atto vengono citati, tra gli altri, la presidenza del Consiglio e il ministero dell’Interno. Ci sono due aspetti che sono contenuti nell’atto: il primo riguarda la responsabilità dello Stato come tale per non aver codificato negli anni il reato di tortura. Il secondo profilo è quello che attiene agli atti di tortura posti in essere in una sede istituzionale (la caserma dei carabinieri) da personale appartenente all’Arma che ha generato un gravissimo errore giudiziario. Nella nuova richiesta, pari a 66.247.839,20 euro, vengono conteggiati tutti i danni non patrimoniali (morale ed esistenziale).