Antigone (nome d’arte di Eugenia Giancaspro), trasmette in un attimo la sua passione per la poesia e la lingua dei segni (Lis). Lo capisci subito quando si esibisce ai Poetry Slam, le competizioni (in tutta Italia) in cui i poeti gareggiano tra loro recitando i propri versi.
Ma non solo. Eugenia, originaria di Benevento, classe 1990 e da poco trasferitasi a Milano, ha sfruttato appieno il suo anno di servizio civile (2017-2018) ideando il “Progetto Margini”. Andando oltre il compito iniziale, quello di realizzare iniziative per l’inclusione dei migranti in città, ha esteso l’iniziativa anche alle persone sorde. L’abbiamo intervistata.
Intervista realizzata in collaborazione con I. Capitanio
Presentati…
«Sono Eugenia, nata a Benevento. Da ottobre sono interprete e assistente alla comunicazione per le persone sorde a Milano. E poi sono anche Antigone».
Allora, chi è Antigone?
«Antigone è il mio alter ego, è la parte esteriore, che viene fuori quando mi interfaccio con persone che conosco poco, quando organizzo eventi culturali o sociali e quando scrivo e recito poesie».
Da quanto scrivi e cosa scrivi?
«Recito pubblicamente dal 2017. Scribacchio però nella mia stanza da tempo e ho collaborato con qualche giornale universitario. Quando ero più piccola tenevo diari. Due anni fa ho iniziato a partecipare ai Poetry Slam. Le tematiche sono varie».
Oggi accompagni i tuoi Slam Poetry con la Lingua dei Segni (LIS). Lo hai introdotto fin da subito nelle tue esibizioni?
«No, ho introdotto la lingua dei segni dopo aver cominciato a fare slam assiduamente. All’inizio non avevo la giusta disinvoltura. L’ho inserita in una piccola poesia e a poco a poco ho notato che le persone si incuriosivano molto.
Così, slam dopo slam, le ho tradotte tutte. Mi sono sentita sempre più a mio agio, e ho superato l’esame da interprete Lis recitando “Tamburi di settembre” davanti alla commissione esaminatrice».
Non tutti i segni che utilizzi sono già esistenti. Come fai a crearli per le tue poesie?
«Io scrivo di getto, oppure canticchio. Poi appunto un’immagine, un concetto su qualche quaderno. In un secondo momento lavoro sullo slam, gioco con le parole e soltanto alla fine aggiungo i segni a scopo estetico.
Non sempre le parole che scrivo le ritrovo nella LIS o nei video-dizionari, per cui vado di immaginazione. E poi cerco di trasformare alcuni segni già esistenti per renderli più “morbidi”, eleganti. Esistono assonanze, rime, sfumature di significato anche nella lingua dei segni».
Arriviamo al Progetto Margini con il quale hai coniugato l’accoglienza dei migranti con la comunità dei sordi. Come nasce l’idea?
«Ho ideato il Progetto Margini insieme a Erasmo Timoteo, il mio responsabile, il progetto prevedeva una scuola popolare il cui obiettivo era quello di includere i migranti nella vita cittadina.
Io ho semplicemente fatto un collegamento: anche la comunità sorda guarda a se stessa come una comunità di parlanti di lingua straniera, minoritaria. Insomma, si comportano come un gruppo etnico culturalmente e linguisticamente connotato. Quindi, ho proposto di puntare l’attenzione più sulla differenza linguistica e culturale, che sulla disabilità o assistenzialità che in genere si affibbiano a sordi e a migranti».
Allora il Progetto Margini è destinato a proseguire? Hai già in mente qualcosa?
«Oggi il progetto è fermo e, innanzitutto, cerco fondi e con chi interagire, essendomi da poco trasferita da Benevento a Milano. La nuova edizione del progetto si chiamerà Rovesci: il titolo si ispira al campetto da tennis del Viale Atlantici di Benevento – nasce tutto da lì – dal “dritto” e dal “rovescio” sul campo.
Se per “dritto” pensiamo a tutto ciò che è norma, normalità, l’essere udente, l’essere bianco, lavoratore, mai debole, attento all’apparenza, al selfie in cui sorride o mostra il suo vigore e la sua personalità carismatica, allora il suo “rovescio” sarà il sordo, il nero, lo zingaro, colui che non lavora, non è felice, è duro e resistente come la pietra, è rabbioso e rifiuta di mostrarsi bello e sano, rifiuta di mostrarsi perché sta progettando la sua rivoluzione folle… Ed è quindi ben più saggio mantenere riservata la propria identità.
Inoltre, ognuno di noi ha il suo “rovescio della medaglia”, qualcosa che non vogliamo mostrare, che sta sotto ed è anche più vicino alla nostra pelle, al nostro intimo: la medaglia, la parte esterna, la vedi facilmente, spicca luccicante e lucidata, ma è la parte nascosta che è quella a contatto con la nostra pelle. È quella che non vuoi mostrare. Ho usato la parola al plurale perché i rovesci sono diversi».
A proposito di Rovesci, l’evento sportivo e culturale che hai organizzato, è stata una giornata per ragionare su come lo sport possa essere uno strumento di inclusione sociale…
«Sì, esatto. Rivolsi l’invito a un centinaio di persone. Arrivarono diversi studenti, cittadini. Si giocò a tennis, ci fu un dibattito sullo sport inteso come metodo d’inclusione sociale, un Poetry Slam tradotto in LIS e un bellissimo concerto della Banda del Bukò con vista panoramica».
Da cosa nasce il tuo interesse per il LIS?
«È stato un interesse accademico, all’inizio. Tutto è cominciato con un corso di laurea di livello specialistico all’Università Ca’Foscari di Venezia, ossia il corso in “linguistica per la sordità e disturbi del linguaggio”. Lì ho conosciuto il primo professore universitario sordo italiano: Gabriele Caia. Quando penso a un sordo che mi ha insegnato qualcosa, penso spesso a lui».
Cosa hai imparato dalle persone sorde?
«Sono persone molto schiette. Uno, scherzando, mi ha detto: “Il tuo nome LIS è Sopracciglia perché hai le sopracciglia spesse come quelle di una scimmia”. Insomma, i sordi mi hanno insegnato che non bisogna avere timore di dire le cose visibili, sono schietti e molto sinceri.
Inoltre, avendo un flusso di linguaggio differente, non aggiungono riflessioni “frivole” nella loro comunicazione. Secondo me, le persone sorde non conoscono certi sentimenti indotti, negativi, che nascono dal linguaggio.
Ecco, questo ho imparato dal mondo sordo. Ma se c’è qualcosa che mi hanno donato, qualcosa di prezioso, quella è la loro lingua, la lingua dei segni italiana, una lingua stupenda che mi ha cambiato la vita… In meglio».
Pensi che sia necessario cambiare l’approccio all’educazione delle persone sorde?
«È importante capire che la prima rivoluzione da fare è quella culturale, i sordi amano fare lavori più pratici, bisogna capire questo. Cognitivamente i sordi potrebbero apprendere tutto. La rivoluzione sarebbe insegnare al sordo a “voler leggere” e aver accesso alla cultura scritta che loro non hanno. I testi complicati non li leggono, ma la burocrazia è ovunque.
Esiste il metodo bimanuale bimodale. Lo hanno sperimentato a Salerno per insegnare ai sordi la fonetica e dunque la scrittura: solo leggendo e scrivendo i sordi avranno le stesse opportunità degli udenti, solo così potranno colmare il gap culturale fino ad estinguerlo».
Vuoi lanciare un appello ai milanesi per aiutarti nel Progetto Rovesci?
«Sì, ecco il mio appello ai milanesi: “Vogliamo tessere un progetto itinerante di città in città, che si espanda e faccia rete?”
Sordi, migranti e luoghi abbandonati sono i tre cardini del Progetto Rovesci. Milano è piena di luoghi marginali da far rinascere. Quindi, l’idea è di poter fare delle attività culturali e di analizzare i bisogni di queste comunità.
Ora con la Lega Italiana di Poetry Slam stiamo lavorando per rendere accessibile il campionato nazionale. Se la Lis entrasse a livello nazionale nello slam poetry, significherebbe che i sordi avrebbero l’accesso a poesia slam di alto livello. In questo modo, lo slam sarà noto anche ai sordi italiani (e non), e i segni della LIS voleranno tra mani e mani ed entreranno nella vita quotidiana di molte più persone, non soltanto sorde segnanti, ma anche artisti, poeti, scrittori e performer (etc…)».
Per concludere, chiediamo sempre la canzone preferita. Nel tuo caso chiediamo la tua poesia…
«Sto leggendo molto le poesie di Valerio Magrelli, in particolare il suo libro “Le Cavie”. Delle mie, invece, è “Tamburi di settembre” dove parlo delle persone sorde e della lingua dei segni; (ma nel video che vedrete recito il mio cavallo di battaglia degli slam: “Bambola gonfiabile”!».