Come ogni anno, il 27 gennaio si celebra la Giornata della Memoria. Si tratta della ricorrenza internazionale istituita per commemorare le vittime dell’Olocausto. La data fa riferimento al 27 gennaio 1945, giorno in cui le truppe sovietiche entrarono nel campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia.
La barbarie nazista, le camere a gas e la cinica ragione dello sterminio degli esseri umani, che di ragione non aveva nulla, divennero così note al mondo con il termine Shoah. L’associazione solitamente diretta è al popolo ebraico deportato nei campi di sterminio e quindi ucciso.
Ma gli ebrei non furono le sole vittime della bestia nazista. Come riporta lo United States Holocaust Memorial Museum furono circa 15-17 milioni le persone che persero la loro vita a causa del processo di “arianizzazione” tra il 1933 e il 1945. Tra loro anche rom, omosessuali, disabili, dissidenti politici, dissidenti religiosi e asociali. Tutti loro furono costretti a subire aberranti esperimenti medici, torture ed umiliazioni.
“Porrajmos”, l’Olocausto di Rom e Sinti
Per questo è importante ricordare anche il termine associato allo sterminio dei rom: “Porrajmos” ovvero “grande divoramento”. Così rom e sinti fanno riferimento all’uccisione dei membri del proprio popolo che provocò la morte di più di 500mila persone. Per identificarli, i nazisti utilizzavano un triangolo di colore marrone.
Come ci ha ricordato anche Musli Alievski, operaio 30enne, fondatore di Stay Human, di etnia rom, «molti non ne conoscono l’esistenza ma neppure i rom stessi ne hanno conoscenza. Questo perché non c’è mai stata una storia che ne parlasse a riguardo. “Porrajmos” significa divoramento, significa qualcosa che viene strappato, annientato. È già un tabù la parola stessa».
E ce ne ha parlato, in un’altra intervista, anche Giorgio Bezzecchi, il “consulente rom” di Fabrizio de André: «Mio padre e mia madre sono finiti nel campo di concentramento di Tossicia, in Abruzzo. Invece i miei nonni, più sfortunati, sono finiti ad Auschwitz… e sono passati per il camino».
E proprio per questo è importante parlarne. È importante diffondere anche questo tipo di memoria visto che i rom, oltre ad essere state vittime dei nazisti, lo sono su tutti i livelli ancora oggi a causa (in particolar modo) della mancanza di conoscenza riguardo questo tragico evento. A fatica ne parlano le istituzioni così come le scuole mentre sarebbe il caso di iniziare a fare il contrario per aiutare a smettere di demonizzare un intero popolo attraverso la parola, discriminatoria e offensiva, “zingari”.
Interessante, a tal riguardo, la mostra Mémoire Rom (memoria rom) organizzata dall’organizzazione Yahad-In Unum e l’associazione Dignité Roms in occasione del 70esimo dalla deportazione. Qui, sono riportate le testimonianze dei sopravvissuti, appartenenti a diversi gruppi (Calderari, Rudari, Ursari, Gabor). Come ogni rom, prima della deportazione avevano proprie “normali” abitazioni in Europa dell’Est, dalla Romania alla Russia. Alcuni lavoravano il ferro, alcuni il legno, altri erano addestratori d’orsi o venditori di cavallli. Ma la furia nazista li stigmatizzò, dando luogo al più grande pregiudizio infondato della storia, quella del nomadismo dei rom. Guarda qui le foto.
Omocausto, l’Olocausto delle persone omosessuali
Manco a dirlo, anche gli omosessuali non furono risparmiati dal sanguigno desiderio nazista di “normalizzazione” e “purificazione” della razza. Così persero la vita migliaia di uomini e donne omosessuali, marchiate con un triangolo rosa, colpevoli di provare attrazione per persone dello stesso sesso. Per questo si parla anche di omocausto.
Come ricorda Arcigay in un report, «questa tragedia ha riempito pagine e pagine dei libri di storia. Tuttavia, alcune parti di essa sono cadute nel silenzio, dimenticate per decenni. Tra queste quello che in tempi recenti è stato definito l’“Omocausto”: la persecuzione e lo sterminio di migliaia di omosessuali, uomini e donne. Ritenuti un pericolo per la società e per la “purezza della razza”, gli omosessuali tedeschi, e successivamente anche quelli dei paesi invasi dalla Germania, si ritrovarono travolti dalla folle selezione razziale, dapprima ricercati e braccati, e in seguito aggrediti, perseguitati e sterminati».
L’Omocausto non risparmiò neppure gli omosessuali italiani, ovviamente. «Furono perseguitati dal regime fascista in maniera diversa, meno cruenta ma non per questo meno efficace – spiega Arcigay – Non ne fu pianificato lo sterminio di massa, ma l’ampia discrezionalità delle forze di polizia e l’utilizzo frequente del confino inasprì il già difficile quadro culturale con cui dovevano fare i conti le donne e gli uomini omosessuali dell’Italia prefascista».
E il dramma non terminò con la fine della guerra. Come precisa Arcigay, gli omosessuali furono «considerati “colpevoli” anche da chi aveva liberato i campi di sterminio, molti continuarono a scontare in carcere le pene inflitte dal regime nazista, così, nel timore di ulteriori persecuzioni, per la vergogna imposta da secoli di repressione, chi visse in prima persona l’Omocausto si chiuse nel silenzio. Per decenni del dramma di migliaia di uomini e donne imprigionati, torturati e uccisi per il loro modo di amare “diverso” non si seppe più nulla».
A tal riguardo rimandiamo anche alla lettura del libro Homocaust di Massimo Consoli, giornalista e scrittore, nonché tra i fondatori del movimento LGBT italiano.
Sergio Mattarella: «Ciascuna persona è diversa da ogni altra»
Chiudiamo con le parole del Presidente Sergio Mattarella in occasione della commemorazione della Giornata della Memoria 2019 in Quirinale dedicata a “Le donne della Shoah”: «Noi italiani abbiamo il dovere morale non solo di ricordare ma anche di combattere, senza remore e senza opportunismi, ogni focolaio di odio, di antisemitismo, di razzismo, di negazionismo, ovunque esso si annidi. E di rifiutare, come ammonisce sempre la senatrice Liliana Segre, l’indifferenza: un male tra i peggiori».
E ha concluso: «Quando il benessere dei popoli o gli interessi delle maggioranze si fanno coincidere con la negazione del diverso, dimenticando che ciascuna persona è diversa da ogni altra, la storia spalanca le porte alle più immani tragedie».