“La mia vagina mi appartiene”: stop al “finger test”, il test di verginità per confermare la “purezza e l’onore” delle donne fino al matrimonio in Marocco. Lo chiede la campagna d’informazione lanciata dal Movimento Alternativo marocchino per le Libertà Individuali (MALI) in occasione del 70esimo anniversario della Dichiarazione dei diritti umani.
Per ora la pratica, dettata da abitudini religiose e culturali, viene realizzata con un’esame tattile interno da parte del medico. Chiamato “finger test” (“test con le dita”), consiste nel controllo dell’imene per verificarne l’integrità. Un test inutile, visto che la verginità di una donna non è dimostrabile, neppure in caso in cui l’imene risulti ancora “immacolato”. Di fatto, in alcune donne questa rottura non si verifica se non a seguito di un’operazione medica.
Nonostante tutto, però, il “finger test” spesso è voluto proprio dalla famiglia della futura moglie. Così, per sfuggire all’umiliazione e alla paura, in caso in cui la promessa sposa non sia più vergine, non è raro che la stessa si sottoponga a un’operazione chirurgica, l’imenoplastica, per ricostruire l’imene.
Una pratica considerata «inutile, umiliante, dolorosa e traumatica» da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che, ad ottobre, ha invitato alcuni Paesi a vietarla tra cui l’Egitto, India, Brasile, Afghanistan, Libia e Giamaica. Secondo l’Oms, infatti, questo test non dovrebbe essere praticato in nessuna circostanza e «molte donne a causa del test soffrono di ansia, depressione e stress post-traumatico. In casi estremi, donne e ragazze si suicidano o finiscono per essere uccise in nome dell’onore».
Così, spiega la portavoce del gruppo Mali, Ibtissam Lasghar: «Chiediamo alla società civile di denunciare le violenze sessiste e sessuali che il test di verginità comporta, non ha alcun valore scientifico e la consideriamo uno stupro. Nessuno può sapere se una donna è vergine, nemmeno un ginecologo, nessuno, l’unica persona che può sapere se è vergine è la donna stessa».