Allarme, sospetto, divisione: le parole chiave nel racconto del fenomeno migratorio in Italia

Presentato il VI Rapporto della Carta di Roma  “Notizie di chiusura”. L’alta visibilità mediatica, le cornici della sicurezza e della criminalità, la marginalizzazione dell’accoglienza e del soccorso in mare, la sovrapposizione dell’agenda della politica hanno determinato un inasprimento dei toni e del lessico non tanto in chiave allarmistica quanto di divisione e di inconciliabilità tra noi e gli “altri”.

È stato presentato alla Camera dei Deputati il VI Rapporto della Carta di Roma “Notizie di chiusura”, un’analisi dei media italiani aggiornata al 31 ottobre 2018 e realizzata con l’Osservatorio di Pavia.
Il rapporto 2018 conferma alcune tendenze già rilevate negli anni precedenti: la centralità del fenomeno migratorio nella comunicazione mediatica e la permanenza di alcune cornici di allarme, sospetto e divisione.

Nel suo saluto, Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, ha parlato di come il significato di alcune parole sia stato rovesciato nel racconto mediatico: «Vorrei introdurre un modulo di contrasto alle parole d’odio condiviso e obbligatorio per tutti. Tutti dovrebbero conoscere e rispettare la Carta di Roma».

«Pacchia, crociera, clandestino, la paghetta dei 35 euro, invasione, sono le parole con cui la politica fa la sua propaganda, ma che rimbalzano su tutti i giornali e su tutti i telegiornali, senza contraddittorio», afferma invece Valerio Cataldi. Il Presidente dell’Associazione Carta di Roma ribadisce anche la centralità delle parole che “possono trasformare la realtà” soprattutto rispetto ai concetti di responsabilità e di correttezza dell’informazione di chi scrive e riproduce quelle parole.

«La funzione sociale del giornalista è quella di essere arbitri del linguaggio utilizzato – sostiene il vicedirettore de L’Espresso Lirio Abbate – Pacchia e invasione sono parole disumanizzanti e anche migrante è diventata una parola politica. Io penso che sia la strumentalizzazione che si fa del migrante a generare paura. Oggi abbiamo paura di avere paura, e questo ci fa fare tanti errori, anche giornalistici».

L’attenzione sul fenomeno migratorio è stata maggiore nella tv e minore nella carta stampata. Sulle prime pagine dei principali quotidiani nazionali, si assiste a una riduzione di notizie sul tema rispetto agli anni precedenti: nel 2018 sono 834, contro le 1.006 del medesimo periodo nel 2017. Invece nei telegiornali di prima serata delle reti Rai, Mediaset e La7, aumenta il numero di notizie: 4.058 nei primi dieci mesi del 2018, il 10% in più rispetto all’anno precedente.

«Fare la conduttrice di talk show significa spesso fare da mediatori tra le diverse posizioni in campo – sottolinea la conduttrice di Agorà Serena Bortone – Bisogna parlare di tutto quello che succede perché il compito del giornalismo è quello di raccontare il mondo per favorire gli strumenti al politico per cambiarlo e ai cittadini per comprenderlo». Sul tema dell’immigrazione aggiunge, «si sono vinte e perse elezioni su questo argomento. La critica alla gestione del fenomeno è diventata una critica al fenomeno stesso, risultata poi nella criminalizzazione del migrante».

«C’è stato un cambiamento di clima nei confronti dell’immigrazione – sostiene il politologo Ilvo Diamanti – Fino a qualche anno fa, l’immigrazione veniva raccontata con i segni dell’accoglienza. Oggi non è più così. Siamo passati dalla comprensione e la pietà verso l’altro alla paura. E aver paura dell’altro mostra una crisi di identità da parte nostra. Sarebbe vantaggioso non avere paura, ma integrare, perché è ovvio che non possiamo soltanto subire un fenomeno».

Un filo conduttore dell’informazione nei sei anni analizzati è quello dell’emergenza permanente, il lessico adoperato delinea una cornice di «crisi infinita», endemica, che muta nel tempo e dilaga dalla cronaca al dibattito politico, interno all’Italia e tra istituzioni europee. Le parole simbolo degli anni esemplificano le mutazioni delle cornici della crisi: Lampedusa nel 2013, Mare nostrum nel 2014, Europa nel 2015, muri nel 2016, Ong nel 2017 e Salvini nel 2018.

Nel racconto delle migrazioni, si assiste a una specie di sovrapposizione tra l’agenda della politica e quella mediatica: 875 notizie in un mese (quello di giugno con la vicenda della nave Aquarius), il valore più alto dal 2015 a oggi.

La presenza di immigrati, rifugiati e richiedenti asilo nei notiziari del 2018 passa dal 7% dell’anno precedente, al 16%, ma non è una buona notizia perché i contesti tematici principali in cui sono presenti sono due: le aggressioni e gli attacchi di matrice razzista e i casi di caporalato e sfruttamento lavorativo.

«L’analisi del dibattito sulle pagine Facebook dei principali quotidiani italiani, in concomitanza del raid razzista a Macerata il 3 febbraio 2018, ha scatenato reazioni, anche feroci, sui social, mettendo in luce alcuni aspetti della comunicazione online – spiega il ricercatore Giuseppe Milazzo dell’Osservatorio di Pavia – la presenza e permanenza di un linguaggio apertamente ostile e discriminatorio, declinata in vari livelli, che vanno dagli insulti al turpiloquio, all’apologia della violenza contro un gruppo su base etnica».

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