Emiliano Rubbi non è solo un produttore discografico e uno sceneggiatore. Molti di noi lo conoscono come la voce amica che su Facebook esprime quotidianamente il proprio pensiero politico, attirando talvolta odio, ma sempre più spesso anche il consenso di chi difficilmente si rispecchia in una determinata classe politica. In questa intervista ci parla di ciò che lo motiva a esporsi in prima linea, della responsabilità e dell’impegno che per lui si concretizzano in un progetto al quale tiene particolarmente, il film Go-Home, a casa loro.
Chi è Emiliano? Autopresentati
«Autopresentarmi è piuttosto complicato, è difficile fare un riassunto di quello che faccio, sono un produttore discografico, uno sceneggiatore per il cinema, scrivo delle cose sui giornali quando me le chiedono e faccio radio, Radio Rock il giovedì mattina, e mi occupo, in linea di massima, di immigrazione, diritti umani e società… queste cose qui».
Da cosa nasce la tua voglia di impegnarti costantemente sui social?
«Nasce da un’idea piuttosto naif, ossia lo sperare, la speranza che in qualche maniera possa servire a cambiare la percezione di qualcuno, non succede quasi mai a dire la verità, ma ogni tanto mi è capitato e quelle volte in cui è successo, valgono la pena rispetto allo sforzo di tutto ciò che scrivo».
Cosa pensi del ruolo dei media oggi e dal punto di vista del tuo lavoro di comunicatore?
«Cosa penso dei media… allora questo sarebbe un discorso piuttosto ampio. Ci sono alcuni media che si occupano di politica e di società. Come avviene sempre in Italia, nel momento in cui una parte politica va al governo si tende a dare più spazio e più voce a quella parte politica, così accade quel fenomeno per il quale si dice: “Salgono tutti sul carro del vincitore“.
In questo momento i vincitori sono i 5 Stelle e Salvini. Il problema è che la narrazione tossica salviniana è stata sdoganata molto tempo fa, prima ancora che andassero al Governo e secondo me un certo tipo di esternazioni in teoria sarebbero state anche passibili di denuncia per la violazione della legge Mancino prima che loro andassero al governo.
È difficile chiedersi dove arriva la libertà di parola e dove si può spingere la libertà d’opinione e quando diventa reato. Molto spesso le idee di Salvini sono portate avanti sul filo del rasoio, per non risultare propaganda razzista, vietata dalla legge Mancino. Lui è stato bravo a fare questo genere di comunicazione di propaganda e probabilmente non si è agito prima perché non si poteva farlo.
Per quanto riguarda la comunicazione adesso è divisa, c’è la stampa d’opposizione e la stampa che invece tende a dare spazio a questo Governo e queste idee, a questo modo di intendere la società e il mondo. A me personalmente non piace, come penso sia abbastanza ovvio».
Come potrebbero i media portare una narrazione positiva?
«Comunicare in questo momento storico è diventato sempre più difficile. Parliamo di comunicazione via internet che si è spostata verso una semplificazione sempre assoluta dei contenuti e quindi la maggior parte degli iter politici parlano per slogan o hashtag.
Riuscire a contrastare uno slogan o un hasthag con un ragionamento, l’esposizione dei fatti, le argomentazioni, una determinata legge o condizione, è complessissimo. Necessità uno sforzo ulteriore da parte di chi legge e purtroppo quello sforzo sta svanendo.
Quindi l’unico modo è insistere e fare informazione. Se vogliamo riuscire a contrastare un certo tipo di narrazione non si può ridurre la narrazione contrapposta a uno slogan, perché si farebbe il gioco di chi ragiona in quel modo. Un concetto complicato non è riducibile a quattro parole e un hashtag, bisogna andare più a fondo e spiegarlo».
Qual è la tua opinione sulla responsabilità individuale a livello sociale e politico?
«Credo che la responsabilità individuale in questo momento sia quella di schierarsi apertamente e fare politica, ognuno nel proprio piccolo, anche perché è diventato sempre più difficile essere rappresentati da un qualche partito per chi sta sulle mie posizioni, più volgarmente “a sinistra”. È diventato difficile essere rappresentati da un partito di quelli grandi, di quelli strutturati e storici. Qualcosa si sta muovendo per fortuna, non voglio fare endorsement, ma speriamo che presto torneremo ad avere una casa e una rappresentanza parlamentare».
Come vedresti il futuro di una nuova sinistra\opposizione?
«Spero possa esistere… la sinistra, quella che volgarmente chiamiamo così ma che in realtà non lo è – il Pd – in questi anni ha dato segnali di vita nel momento in cui c’era da contrapporsi a qualcuno. In questo momento la sinistra si sta contrapponendo a Salvini e molto spesso la ex sinistra si sta contrapponendo in questo modo, dicendo per esempio sulla Flat Tax: “Noi l’abbiamo già fatta”.
Oppure sui respingimenti dei migranti: “Noi ne abbiamo fatti di più e meglio e anche prima con Minniti”. Quindi questo dà la misura del fatto che quella chiamata sinistra non c’è più. Bisogna riuscire a costruire qualcosa un po’ più in là. Ora forse qualcosa si sta muovendo per creare una rappresentanza politica per tutti noi che effettivamente come individui e come persone proviamo a portare avanti queste idee».
I tuoi commenti sono spesso “incendiari” e attirano molto odio e risposte negative. Cosa pensi di tutto quest’odio contro chi esprime la propria opinione politica?
«A me sono arrivate minacce di morte e di tutto, ormai un po’ ci sono abituato ma, se ti dovessi dire che mi lasciano indifferente, ti direi una stupidaggine. “Quando arriva qualcuno che ti dice: “Ti vengo a cercare con la pistola”… ecco, queste cose piacere non fanno.”.
Questa è una deriva che ormai vediamo tutti quanti ed è difficile da arginare come singoli. Dovrebbe cambiare prima la società, la cultura e molto altro prima di riuscire a cambiare questo tipo di fenomeno. Come mi pongo io? Denuncio qualcuno? Francamente evito, perché so che sono scemenze scritte da qualcuno che in quel momento sta sfogando il proprio odio e la propria rabbia contro una foto su Facebook di qualcuno che con conosce, probabilmente le stesse cose non le direbbe se si trovasse di fronte a una persona vera. Da un altro punto di vista un po’ di inquietudine c’è…».
A proposito di Go-home, a casa loro, film che hai scritto e prodotto con Luna Gualano, che sarà alla Festa del Cinema di Roma (selezionato in Alice nella città). Qual è il messaggio di questo lavoro?
«Go-Home, a casa loro è un film un po’ particolare perché è completamente autoprodotto da piccolissimi finanziatori e da tutte le persone che ci hanno lavorato dentro (sono in parte produttori, attori compresi). Moltissimi degli attori erano, al tempo, richiedenti asilo e adesso alcuni ricevono asilo, altri protezione umanitaria, altri sono ancora in attesa.
Sostanzialmente il film si ambienta in un centro di accoglienza, quelli che fanno la parte dei richiedenti asilo sono veramente richiedenti asilo, altri sono attori professionisti. Fuori da questo centro di accoglienza, durante una protesta, scoppia un’invasione di zombie.
Un ragazzo di estrema destra che stava protestando rimane chiuso all’interno del centro di accoglienza. Da lì in poi si segue ciò che succede dentro, anche perché fuori c’è l’invasione degli zombie. È, naturalmente, un film d’amore in qualche maniera. Gli zombie sono sempre stati utilizzati storicamente nel cinema horror.
Lo zombie, dopotutto, si presta molto perché è una figura particolare, non è né buona, né cattiva. Sostanzialmente ha fame e va avanti spinta da esigenze primarie primitive. Dalla fame poi, ti divora e si muove in branco. Insomma, abbiamo provato a proporre una metafora anche abbastanza semplice da rilevare e abbiamo provato a fare questo film come risposta, come uno sforzo, un tentativo di fare qualcosa di diverso e di dare un segnale. Ora non è ancora uscito ma sarà alla festa del cinema di Roma».
Visto che nel film si parla di un’invasione di zombie, pensi che ci sia una cura per… “dezombificare” un popolo?
«Per “dezombificare” (ride ndr.) la società, in realtà l’unico mezzo credo che sia attraverso la cultura. Bisogna informare, insegnare, far vedere cose belle e conoscere cose belle. Credo che sostanzialmente la società sia diventata quello che è in questo momento perché questo elemento è carente. Poi, c’è a chi piace e a chi no. A me in parte naturalmente piace, in parte no. Però la parte che non mi piace vorrei cambiarla, per farla risultare qualcosa di diverso e per togliere questa aggressività e questo odio. Principalmente per togliere quest’odio sotto la pelle che tutti i giorni respiriamo. Penso che l’unica maniera sia fare opposizione con la bellezza e con la cultura, con tante cose che effettivamente si vanno a opporre e vanno a curare questo virus che ci ha infettati».
Sei stato moderatore alla Casa del cinema per il documentario “La Libertà non deve morire in mare”. Su Facebook hai scritto che avresti avuto molto da imparare…
«Ho imparato che, principalmente, ci sono tante persone che fanno della solidarietà e aiutano gli altri. Queste persone ne fanno un mestiere, una ragione di vita molto più di quanto lo faccia la maggior parte di noi o anche gli attivisti. Lo fanno in maniera totale e totalizzante.
Ho imparato che, molto spesso, anche le persone preposte ad occuparsi di una serie di emergenze sono mosse da esigenze umane oltre che lavorative. Mi riferisco, ad esempio, all’emergenza migranti e al ruolo di Colonnelli e Guardie di Finanza, personale presente anche Lampedusa, per ricordare l’ambientazione del film che ho presentato.
Effettivamente, tantissime di quelle persone stanno lavorando ma sono soprattutto esseri umani, uomini che nel momento stesso in cui qualcuno sta per annegare, si trovano di fronte ad altri uomini. È un uomo di fronte a un altro uomo e la divisa conta quello che conta. È difficile da immaginare per noi che molto spesso leggiamo i comunicati stampa ma non ci rendiamo conto che c’è della gente vera in carne ed ossa che soffre. Loro si rendono conto delle situazioni meglio di noi che le viviamo da terra».
Hai qualche altro progetto che possiamo citare nel breve termine?
«Ne ho, ma sono talmente tanto in là che ne vorrei parlare più avanti… per quanto riguarda adesso sono concentratissimo sul film in uscita e tutte le varie cose che riguardano la musica, la scrittura e la radio. Ma il film, diciamo, è una cosa alla quale tengo veramente tantissimo».
La tua canzone preferita?
«È veramente complesso. Col lavoro che faccio, mi metti un po’ in difficoltà (ride ndr.). Ho molte canzoni preferite. Nel film, però, abbiamo messo una serie di canzoni che mi piacevano e una di queste, oltre ad essere quella di un disco che ho fatto uscire (quello di Daniele Coccia Paifelman), è una canzone bellissima e si chiama “Il cielo di sotto“».