Ormai L., 38enne del varesotto, ha finalmente ottenuto il divorzio dal marito. Ora può rifarsi una vita con il nuovo compagno, pensare di sposarsi e allargare la famiglia. Prima di arrivare a questa serenità conquistata a denti stretti, però, ha attraversato più di dieci anni di sofferenze e lotte, nel nome del riscatto di tante che, come lei, sono vittima della violenza contro le donne. Ci racconta la sua storia…
Dall’idillio iniziale alle prime forme di violenza
“Ho conosciuto mio marito nel 2003, per vicissitudini familiari personali siamo andati a vivere subito insieme. Avevo 26 anni e lui aveva 3 anni in meno di me. Delle avvisaglie del suo essere manesco le ho avute quando mi ha raccontato di alcuni episodi con la sua ex, mi diceva di averla presa a sberle.
Con lui, comunque, ho passato un paio di anni bellissimi, era un bravissimo ragazzo, gran lavoratore, diplomato, anche lui viveva già da solo da quando era andato a fare il militare. Abbiamo quindi cercato il bambino, è stata una gravidanza voluta, non uno sbaglio. Però, quando ho iniziato ad essere abbondante, verso i 5 mesi, lui ha iniziato a dare di matto.
I primi mesi ricamava il cuscinetto da appendere fuori dalla porta, mi accompagnava alle visite dal ginecologo, era preso dall’evento. Poi ha iniziato a venire a casa tardi alla sera. Non aveva mai bevuto con me se non in occasione di aperitivi. Veniva a casa ubriaco e diventava aggressivo, gli chiedevo se ci fosse qualcosa che non andava e mi diceva di no. Ha così iniziato con uno schiaffo, uno spintone… intanto stavamo organizzando il matrimonio e io ero oberata da tutti gli incarichi per i preparativi visto che lui lavorava.
Quando il bambino è nato, a giugno, si è presentato in ospedale con un anello bellissimo. Qualche settimana prima del matrimonio (in programma per settembre), invece, mi ha lanciato in faccia l’anello dicendomi ‘io non ti sposo’. Gli ho chiesto cosa ci fosse e lui mi ha solo detto ‘niente’. Arrivati i suoi genitori, abbiamo fatto una riunione di famiglia e siamo riusciti ad acquietare le acque, abbiamo pensato fosse solo un po’ esaurito da tutta la situazione.
Dopo il matrimonio, un giorno verso le 11 di sera, il bambino si è svegliato per la poppata notturna, ha continuato a svegliarsi quella notte, quindi sono stata sul divano fino alle sei del mattino per non svegliare mio marito. Lui, quando si è svegliato, mi ha trovato ancora sul divano: mi ha preso per i capelli e mi ha scaraventato a terra con il bambino ancora in braccio, sono caduta addosso al bambino. Poi si è fatto una doccia, è andato a lavorare e, tornato alla sera, si è giustificato dicendo che era nervoso per il lavoro e per il bambino che non lo faceva dormire di notte nonostante io stessi in soggiorno apposta per non disturbarlo.
Dopo due mesi di matrimonio mi ha detto ‘io ho sbagliato, voglio il divorzio’. Nonostante ci fossero stati questi minimi episodi di violenza (e quella volta sul divano mi aveva scioccato), mai più pensavo arrivasse a sbottare in questa maniera e non ha saputo neppure dare una spiegazione. Quella sera stessa abbiamo chiamato i nostri genitori e lui si è giustificato dicendo ‘ho sbagliato, volevo provare cosa si prova ad essere padre’. Questa cosa, dopo dieci anni, non me la dimentico. Mi ha letteralmente scioccata. Come si fa a provare? Puoi provare un motorino, ad arrampicarti in montagna, a fare bungee jumping, non a fare un bambino.
Da lì, abbiamo convissuto un altro anno da separati in casa, lui dormiva sul divano e io in cameretta con il bambino. È stato l’anno peggiore della mia vita. Tutte le sere arrivava a casa ubriaco e ha iniziato veramente a picchiarmi. Ho referti medici con prognosi di 15 giorni: spalle lussate, capelli strappati… tante volte ho chiamato in aiuto mio fratello. Più di una volta lui è arrivato a casa e hanno cercato di parlare anche perché erano amici. Pensavo magari avesse un’altra ma non c’era nessuna. Ancora oggi non so cosa avesse avuto in quel periodo. Ho giustificato la cosa solo pensando che avesse avuto lui l’esaurimento post partum. Il problema è che mi ha rovinato la vita: ho perso tutta la fiducia nel prossimo. Quando l’ho conosciuto era la persona più spettacolare del mondo, avevo una brutta situazione famigliare perché a 17 anni sono andata a vivere da sola, i miei si sono separati quando ero ragazzina e lui mi aveva dato quella sicurezza che io cercavo e quindi mi ero follemente innamorata. Trovarmi in casa una persona che, da un momento all’altro, solo con una mezza parola si scatenava e tirava in aria piatti, tovaglie e quant’altro, scene da film… una sera, stavo facendo salamini alla griglia e lui ha preso la padella, uscito dalla vasca dopo la doccia, ha buttato a terra gli spiedini, ha preso la padella e io ho fatto in tempo ad uscire dalla porta finestra e andare dal vicino mentre mi rincorreva con questa padella. Ho preso il cellulare, sono uscita fuori dal cancello e ho chiamato il 112 per sentirmi dire ‘signora, purtroppo abbiamo le mani legate, non possiamo fare niente’.
Violenza contro le donne, quando la legge non c’era
Non avevi posto altre denunce prima?
“C’erano già state denunce da parte mia ma c’erano leggi diverse (grazie a Dio oggi cambiate). Ho risposto al maresciallo: ‘Va bene, vorrà dire che quando (e se) avrò un coltello nello stomaco, riuscirò a chiamarvi, vi chiamerò, altrimenti venite al mio funerale’.
Oggi almeno le leggi allontanano la persona dall’abitazione e fanno in modo che lui non si possa avvicinare entro tot metri. All’epoca io non avevo nessun diritto di mandarlo fuori casa”.
Perché vivevate lo stesso insieme dopo la separazione? Non potevi mandarlo fuori casa?
“Eravamo in affitto, tutto era intestato a lui. Se io me ne fossi andata, sarei incorsa nell’abbandono del tetto coniugale, non avrei potuto portare via il bambino. Inoltre ero disoccupata. Era tutto a mio sfavore. Non avevamo intrapreso ancora nessuna azione legale in realtà, vivevamo solo separati in casa. E poi continuavo a non concepire il fatto che questa persona fosse cambiata proprio dal giorno alla notte. Quindi dicevo ok, dormo in un’altra stanza, proviamo. Magari il bambino, crescendo, gli ‘dà meno fastidio”.
E lui cosa diceva?
“A lui stava bene. Trovava lavato, cucinato, riordinato e i genitori in casa di sicuro non l’avrebbero ripreso. Per un anno e mezzo la situazione è andata avanti così. Poi è diventata insostenibile. Una sera si è chiuso in bagno con la fotocamera, si è preso a schiaffi da solo, si è fotografato ed è andato a denunciare me dicendo ‘questo è quello che mi combina mia moglie’”.
Dopo tue varie denunce…
“Esatto. Questo anche dopo che era venuta a casa la mia migliore amica trovandomi in un bagno di sangue dopo che lui mi aveva picchiata e lei mi ha soccorso… lui, ancora oggi, dice che sono cose che mi ero inventata. Dice che non è successo nulla (e neppure i suoi genitori mi hanno mai creduta, con i lividi addosso e i referti medici in mano). Alla fine siamo andati da un avvocato e abbiamo intrapreso una separazione giudiziale dopo un anno e mezzo circa. Io non ce l’ho fatta più. Mi sono resa conto che avrei fatto una vita di inferno io.
Ad esempio, al parto (a giugno) pesavo 70 kg… al giorno di Natale ero 38. Ho perso il latte, ho avuto un decadimento, mi è crollato il mondo addosso. Ma io, prima di essere donna, sono mamma. Pensavo al benessere di mio figlio. Pensavo che non l’avrei potuto crescere con questo esempio. Pensavo che sarebbe diventato un bambino violento.
Tra l’altro, al bambino era venuta una sorta di anoressia infantile perché, caso vuole, che mio marito iniziava a litigare con me sistematicamente quando arrivava l’ora di cena. Il bimbo aveva circa sei mesi, stava iniziando lo svezzamento e stava andando tutto bene nonostante fosse nato molto piccolo. Durante lo svezzamento, mio marito mi dava spintoni e gomitate mentre ero a tavola con il bimbo. Ho portato il bimbo da un neurologo infantile per chiedere come mai il bambino, da un giorno all’altro, avesse smesso di mangiare. Il neurologo è stato chiaro: per proteggere la mamma – nella sua testolina di sei mesi – siccome il papà litigava nel momento del pasto, se lui smetteva di mangiare, il papà non si arrabbiava più. Ora mio figlio pesa 40 kg… è proprio cambiato”.
Mi dicevi che vi stavate separando ufficialmente…
“Esatto, abbiamo iniziato questa separazione giudiziale perché io puntavo a toglierli la patria potestà tenendo conto che sarei andata avanti anni conoscendo l’esperienza dei miei genitori. Ho iniziato il percorso perché ero molto incazzata. Dopo qualche mese, visto che le udienze erano molto lente, ho deciso di fare la consensuale: ho chiesto di stare lì dove abitavamo e 500 euro di mantenimento per il bambino, cifra che si poteva permettere benissimo con lo stipendio che aveva. Cosa ha fatto? Ha falsificato la busta paga con il supporto del suo datore di lavoro, ha fatto in modo di risultare assunto part-time. Quindi, il giudice ha stabilito 200 euro di mantenimento: io ero disoccupata e senza nemmeno un motorino. Ho accettato lo stesso per mettere fine a tutto. Da lì i rapporti sono anche migliorati, lui è andato a vivere dai suoi genitori e passava a trovare suo figlio pochissime volte”.